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Zénon Yoga Novara

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taijiquan Novara

Articoli    qi gong    Tai Chi Chuan    Taoismo

Tai Chi Chuan: esercizio fisico o pratica terapeutica?

20 Ottobre 2021 di Marco Invernizzi

Il Tai Chi Chuan (o Tai ji Quan usando la traduzione degli ideogrammi cinesi con lo standard “pinyin”) è una pratica che nasce in Cina dall’incontro tra arti marziali e pratiche tradizionali per la salute e la longevità.

Non vi è chiarezza sulle sue origini che pare siano contenute nelle antichissime radici stesse della cultura cinese. Alcune leggende infatti fanno risalire la nascita di questa pratica al V° secolo e a Bodhidarma, il monaco buddista che dall’India si recò in Cina portando con sé l’insegnamento Buddista e fondando il monastero di Shaolin. Altre leggende lo fanno risalire al X° secolo ad opera dell’eremita taoista Zhang San Feng che viveva sul monte Wudan. Testimonianze invece concrete riguardo la sua codifica negli stili moderni risalgono al XVIII° secolo con lo stile della famiglia Chen, tra i principali stili presente a tutt’oggi e praticato.1Carlo Moiraghi, Tai Ji Quan, la forma breve e la forma lunga, Edizioni XX

Monaci sul Monte Huashan, una delle cinque montagne sacre taoiste, fotografati nel 1935.

Il Tai Ji Quan è un’antica disciplina che permette di armonizzare e di ottimizzare il proprio stato vitale ed il proprio flusso energetico attraverso l’uso combinato di movimenti lenti e armonici e un uso consapevole del respiro. Per questo motivo è parte fondamentale delle pratiche tradizionali cinesi della prevenzione e della longevità e, a buon titolo, fa parte in maniera integrante del corpus medico tradizionale cinese.

Oltre all’aspetto salutistico-preventivo, il Tai Ji Quan contiene anche un aspetto marziale e in esso sono contenute e fuse insieme le complesse e multiformi radici culturali da cui nasce la cultura cinese e il suo corpus medico, cioè Buddhismo, Confucianesimo e Taoismo. Le sue più evidenti diversità rispetto ad altre arti marziali sono costituite dal ruolo centrale assegnato ad azioni difensive basate sulla cedevolezza, e dall’impiego nei confronti dell’avversario della elasticità del corpo invece che della forza.2Carlo Moiraghi, Tai Ji Quan, la forma breve e la forma lunga, Edizioni XX

Da alcuni anni è andato crescendo l’interesse della medicina occidentale verso questa pratica, intuendone il potenziale benefico in numerose patologie. Infatti diversi studi hanno evidenziato come il Tai Chi Chuan possa portare a significativi miglioramenti o comunque a dei benefici nelle patologie più disparate, dall’osteoporosi, ad alcune malattie neurologiche, fino a patologie cardiovascolari e polmonari croniche.3Leung RW, McKeough ZJ, Alison JA. Tai Chi as a form of exercise training in people with chronic obstructive pulmonary disease. Expert Rev Respir Med. 2013 Dec;7(6):587-92

Questo perché? Il mondo scientifico occidentale, e in particolare l’OMS, nel tentativo di catalogare tutto ciò che è considerabile come tecnica terapeutica ma “alternativa” alla medicina occidentale basata sulle evidenze, ha introdotto una complessa categorizzazione di cui fa parte anche la medicina tradizionale cinese e quindi il Tai Chi, definito come tecnica “psico-corporea”.4NCCAM, National Center for Complementary and Alternative Medicine
World Health Organization 2000: General guidelines for methodologies on research and evaluation of traditional medicine, Geneva, WHO, 2000.

Il Tai Chi Chuan appartiente a tale categoria proprio perché a differenza di una attività fisica generica non si focalizza soltanto sull’attività muscolare finalizzata al movimento, ma anche su altri aspetti come la respirazione, il mantenimento di una postura corretta, l’equilibrio, l’eliminazione di rigidità fisiche e di tensioni mentali, il tutto finalizzato a generare un’armonia tra corpo e mente, giustificando quindi appunto la definizione di tecnica psico-corporea.

Pratica del Tai Chi Chuan con pazienti affetti dal morbo di Parkinson

Recentemente è stata pubblicata una ricerca sulla rivista New England Journal of Medicine,5Li F, Fisher KJ, Harmer P, Irbe D, Tearse RG, Weimer C. Tai Chi and self-rated quality of sleep and daytime sleepiness in older adults: a randomized controlled trial. J Am Geriatr Soc 2004;52:892-900 una delle più autorevoli dal punto di vista scientifico per quanto riguarda la medicina occidentale basata sulle evidenze.

Questo studio randomizzato controllato, svolto dall’Oregon Reasearch Institute e finanziato dal fondo di ricerca nazionale statunitense (NIH), aveva come obiettivo il determinare se un programma di Tai Chi potesse migliorare il controllo posturale in pazienti affetti da Morbo di Parkinson.

Il razionale di questo studio si basa sul fatto che alcuni lavori in passato hanno già dimostrato come l’esercizio fisico possa rallentare il deterioramento delle funzioni motorie e prolungare il periodo di indipendenza nei parkinsoniani.6Li F, Harmer P, Glasgow R, et al. Translation of an effective Tai Chi inter- vention into a community-based falls- prevention program. Am J Public Health 2008;98:1195-8 Tuttavia la ricerca è sempre più focalizzata a cercare approcci a metodiche di esercizio alternativo che possano apportare benefici anche in ambito non unicamente motorio.
Per questo i 195 pazienti arruolati in questo studio sono stati suddivisi in maniera casuale in tre gruppi: uno in cui veniva praticato solamente il Tai chi, un secondo in cui veniva svolto un classico programma di esercizi contro resistenza come da linee guida e un terzo gruppo in cui si praticava unicamente stretching. I pazienti di ciascun gruppo eseguivano quindi 2 sessioni di allenamento settimanali della durata di un ora per un totale di 24 settimane.

I risultati di questo studio sono stati sicuramente interessanti, in quanto il gruppo di pazienti trattati con Tai Chi ha dimostrato un miglioramento rispetto agli altri due gruppi statisticamente significativo dell’equilibrio accompagnato da un aumento dell’ampiezza del passo, della velocità del cammino, e conseguentemente una riduzione significativa del numero di cadute.

Quindi il Tai Chi sarebbe in grado di sovvertire i meccanismi che determinano i deficit di movimento e di coordinazione nei pazienti Parkinsoniani producendo contemporaneamente un aumento dell’equilibrio e da ultimo un miglioramento netto nell’espletare le attività del vivere quotidiano.

Secondo gli autori tutto ciò sarebbe ascrivibile a diverse caratteristiche della pratica del Tai Chi ed in particolare alla forma specificamente utilizzata in questo studio che è descritta nell’appendice all’articolo.7Li F, Fisher KJ, Harmer P, Irbe D, Tearse RG, Weimer C. Tai Chi and self-rated quality of sleep and daytime sleepiness in older adults: a randomized controlled trial. J Am Geriatr Soc 2004;52:892-900

Infatti in generale i movimenti del Tai Chi stressano lo spostamento del peso e il movimento delle caviglie mantenendo il centro di gravità dell’individuo ai limiti della stabilità, alternando tra posizioni con i piedi a distanze molto diverse per cambiare continuamente la base di supporto.

Inoltre anche a livello muscolare gli arti inferiori sono molto sollecitati (e quindi allenati) sia per il tempo in cui devono mantenere la posizione, sia in quello in cui devono muoversi. Inoltre un ruolo importante è svolto anche dal controllo del tronco che viene sottoposto a numerose rotazioni con contemporaneo mantenimento della corretta postura della parte superiore del corpo. Tutti questi meccanismi insieme sicuramente concorrono ai miglioramenti ottenuti da questi pazienti per quanto riguarda l’equilibrio e la velocità del cammino.

Un altro dato molto interessante riguarda la diminuzione del numero di cadute statisticamente significativa nei pazienti trattati con Tai Chi rispetto agli altri due gruppi. Questo dato sicuramente è una conseguenza diretta dei miglioramenti ottenuti da questi pazienti relativamente a cammino ed equilibrio.

Tuttavia un altro dato su cui gli autori di questo studio non si sono soffermati – ma che sicuramente ha una rilevanza notevole – è che il rischio di caduta, nella popolazione anziana in genere, ma soprattutto nei parkinsoniani,8Invernizzi M, Carda S, Viscontini GS, Cisari C. Osteoporosis in Parkinson’s disease. Parkinsonism Relat Disord. 2009 Jun;15(5):339-46 è direttamente correlata con il rischio di frattura di femore da “fragilità”.9Rosen C. Primer on on the Metabolic Bone Diseases and Disorders of Mineral Metabolism, Eighth Edition 2013
Stalenhoef PA, Diederiks JMP, Knottnerus JA, Crebolder HFJM. A risk model for the prediction of recurrent falls in community-dwelling elderly: a prospective cohort study. J Clin Epidemiol 2002;55:1088–94
Dargent-Molina P, Favier F, Grandjean H, Baudoin C, Schott AM, Hausherr E, et al. Fall-related factors and risk of hip fracture: the EPIDOS prospective study. Lancet 1996;348(9021):145–9
Fink HA, Kuskowski MA, Orwoll ES, Cauley JA, Ensrud KE. Osteoporotic frac- tures in men (MrOS) study group. Association between Parkinson’s disease and low bone density and falls in older men: the osteoporotic fractures in men study. J Am Geriatr Soc 2005;53:1559–64
Taylor BC, Schreiner PJ, Stone KL, Fink HA, Cummings SR, Nevitt MC, et al. Long-term prediction of incident hip fracture risk in elderly white women: study of osteoporotic fractures. J Am Geriatr Soc 2004;52:1479–86
Kanis JA, Odén A, McCloskey EV, Johansson H, Wahl DA, Cooper C; IOF Working Group on Epidemiology and Quality of Life. A systematic review of hip fracture incidence and probability of fracture worldwide. Osteoporos Int. 2012 Sep;23(9):2239-56
Hernlund E, Svedbom A, Ivergard M, Compston J, Cooper C, Stenmark J, McCloskey EV, Jonsson B, Kanis JA. Osteoporosis in the European Union: medical management, epidemiology and economic burden. A report prepared in collaboration with the International Osteoporosis Foundation (IOF) and the European Federation of Pharmaceutical Industry Associations (EFPIA). Arch Osteoporos. 2013 Dec;8(1-2):136
Tale evento si differenzia dalle fratture traumatiche di femore perché avviene in condizioni in cui normalmente non dovrebbe verificarsi come ad esempio una caduta dalla propria altezza.

Breve animazione di alcuni movimenti di Tai Chi

I meccanismi alla base di tale “fragilità” sono da ascriversi a modificazioni quantitativo-qualitative dell’osso e della muscolatura prossimale dell’anca in grado di mantenere la stazione eretta e prevenire appunto le cadute.Tale infausto evento infatti ha dei risvolti devastanti in termini sia di mortalità (il 20% dei pazienti fratturati di femore muore ad un anno indipendentemente dall’età), che di recupero, infatti meno della metà dei pazienti ritorna a valori di indipendenza sovrapponibili al pre-frattura.10Kanis JA, Odén A, McCloskey EV, Johansson H, Wahl DA, Cooper C; IOF Working Group on Epidemiology and Quality of Life. A systematic review of hip fracture incidence and probability of fracture worldwide. Osteoporos Int. 2012 Sep;23(9):2239-56

Inoltre i costi sia sanitari che sociali, diretti e indiretti, sono altissimi: basti pensare che in Italia ogni anno si registrano circa 100mila fratture di femore da fragilità all’anno; infine, considerando il progressivo invecchiamento della popolazione, si stima che entro il 2050 tale problematica sarà un vero cataclisma per i sistemi socio-sanitari dei paesi occidentali.11Reginster JY. Bone 2006;38:S4-S9
WHO Scientific Group. WHO Technical Report Series: 921,2003:1
Wen CP, Wai JP, Tsai MK, et al. Minimum amount of physical activity for reduced mortality and extended life expectancy: a prospective cohort study. Lancet 2011; 378:1244

In conclusione quindi ormai da anni è assodato che l’esercizio fisico, eseguito anche soltanto per pochi minuti al giorno, è capace di determinare effetti positivi su svariati aspetti della salute in soggetti di qualunque età, persino over 80 anni.12Liu T, Lao L. Tai Chi for Patients with Parkinson’s Disease. COrrespondence. New Eng J Med 2012 3 May 366;18 Partendo da questo assunto, i risultati di questo studio pongono sicuramente una pietra miliare per quanto riguarda l’utilizzo a fini terapeutici del Tai Chi.

Tuttavia, nonostante gli autori vedano e sottolineino le potenzialità per un utilizzo non solo limitato al Parkinson ma in ambito più ampio alla Neuroriabilitazione, non si sbilanciano sugli effetti terapeutici del Tai Chi e dichiarano la necessità di investigare più in dettaglio i meccanismi alla base di tali risultati, non ancora del tutto compresi.

In realtà una considerazione che nasce spontanea leggendo questo articolo e i suoi risultati, anche in un non addetto ai lavori, è come il Tai Chi esprima un qualcosa “di più” in termini di efficacia rispetto al classico esercizio fisico. Tuttavia che cosa determini questo valore aggiunto non emerge in maniera così immediata e le spiegazioni meccanicistiche fornite dagli autori, per loro stessa ammissione, sono incomplete e non esaustive.

Tuttavia a mio parere questo valore aggiunto è da ricercare nelle radici stesse di questa pratica. Infatti già l’essere stata definita tecnica psico-corporea la rende sta a significare che ne è stata intuita una natura più profonda e complessa rispetto ad una qualunque tecnica di esercizio fisico. Tuttavia per comprendere meglio questa problematica è interessante citare un commento che è stato pubblicato a seguito di questo articolo:

Tai chi is definitely more than a mere set of body movements. At the core of tai chi is a unique theory based on ancient Chinese culture about the value of moving vital energy, or qi, throughout the body. Tai chi can hardly be practiced in the absence of its cultural underpinnings.
(In definitiva il Tai Chi è molto di più di una mera serie di movimenti corporei. Alla base del Tai Chi vi è una unica teoria, basata sull’antica cultura Cinese, riguardo l’importanza di muovere l’energia vitale, altrimenti detta qi, attraverso il corpo. Difficilmente si potrà praticare il Tai Chi in assenza delle sue radici culturali.)

Quindi per comprendere, o almeno cercare in parte di farlo, questa disciplina è necessario considerare le profonde radici filosofico-culturali su cui essa poggia, pena una svalutazione di tale pratica e una conseguente riduzione della sua efficacia.

Come abbiamo già accennato esse si rifanno ad una visione dell’essere umano complessa, che attinge a più tradizioni, in cui tuttavia convivono dei principi basilari e condivisi. Tra questi vi è la visione tripartita dell’uomo come un’unità indissolubile di corpo mente e spirito, che la pratica del Tai Chi cerca appunto di armonizzare.

L’identità e il conseguente dialogo tra microcosmo umano e macrocosmo e il principio della non polarità Wu Ji (vuoto) da cui origina la suprema polarità (pieno) Tai Ji che si esprime nella realtà attraverso il ricorrersi di due momenti opposti, yin e yang.

Tuttavia si cercano tanto negli ultimi anni risposte all’interno delle filosofie orientali, ma le nostre “radici”, ovvero le filosofie occidentali sostengono concetti tanto diversi?

La risposta a questo quesito, o comunque un tentativo, nella prossima puntata.

Il novantenne Kang Youzhen durante la sua pratica giornaliera di Tai Chi Chuan 

Note[+]

Note
↑1, ↑2 Carlo Moiraghi, Tai Ji Quan, la forma breve e la forma lunga, Edizioni XX
↑3 Leung RW, McKeough ZJ, Alison JA. Tai Chi as a form of exercise training in people with chronic obstructive pulmonary disease. Expert Rev Respir Med. 2013 Dec;7(6):587-92
↑4 NCCAM, National Center for Complementary and Alternative Medicine
World Health Organization 2000: General guidelines for methodologies on research and evaluation of traditional medicine, Geneva, WHO, 2000.
↑5, ↑7 Li F, Fisher KJ, Harmer P, Irbe D, Tearse RG, Weimer C. Tai Chi and self-rated quality of sleep and daytime sleepiness in older adults: a randomized controlled trial. J Am Geriatr Soc 2004;52:892-900
↑6 Li F, Harmer P, Glasgow R, et al. Translation of an effective Tai Chi inter- vention into a community-based falls- prevention program. Am J Public Health 2008;98:1195-8
↑8 Invernizzi M, Carda S, Viscontini GS, Cisari C. Osteoporosis in Parkinson’s disease. Parkinsonism Relat Disord. 2009 Jun;15(5):339-46
↑9 Rosen C. Primer on on the Metabolic Bone Diseases and Disorders of Mineral Metabolism, Eighth Edition 2013
Stalenhoef PA, Diederiks JMP, Knottnerus JA, Crebolder HFJM. A risk model for the prediction of recurrent falls in community-dwelling elderly: a prospective cohort study. J Clin Epidemiol 2002;55:1088–94
Dargent-Molina P, Favier F, Grandjean H, Baudoin C, Schott AM, Hausherr E, et al. Fall-related factors and risk of hip fracture: the EPIDOS prospective study. Lancet 1996;348(9021):145–9
Fink HA, Kuskowski MA, Orwoll ES, Cauley JA, Ensrud KE. Osteoporotic frac- tures in men (MrOS) study group. Association between Parkinson’s disease and low bone density and falls in older men: the osteoporotic fractures in men study. J Am Geriatr Soc 2005;53:1559–64
Taylor BC, Schreiner PJ, Stone KL, Fink HA, Cummings SR, Nevitt MC, et al. Long-term prediction of incident hip fracture risk in elderly white women: study of osteoporotic fractures. J Am Geriatr Soc 2004;52:1479–86
Kanis JA, Odén A, McCloskey EV, Johansson H, Wahl DA, Cooper C; IOF Working Group on Epidemiology and Quality of Life. A systematic review of hip fracture incidence and probability of fracture worldwide. Osteoporos Int. 2012 Sep;23(9):2239-56
Hernlund E, Svedbom A, Ivergard M, Compston J, Cooper C, Stenmark J, McCloskey EV, Jonsson B, Kanis JA. Osteoporosis in the European Union: medical management, epidemiology and economic burden. A report prepared in collaboration with the International Osteoporosis Foundation (IOF) and the European Federation of Pharmaceutical Industry Associations (EFPIA). Arch Osteoporos. 2013 Dec;8(1-2):136
↑10 Kanis JA, Odén A, McCloskey EV, Johansson H, Wahl DA, Cooper C; IOF Working Group on Epidemiology and Quality of Life. A systematic review of hip fracture incidence and probability of fracture worldwide. Osteoporos Int. 2012 Sep;23(9):2239-56
↑11 Reginster JY. Bone 2006;38:S4-S9
WHO Scientific Group. WHO Technical Report Series: 921,2003:1
Wen CP, Wai JP, Tsai MK, et al. Minimum amount of physical activity for reduced mortality and extended life expectancy: a prospective cohort study. Lancet 2011; 378:1244
↑12 Liu T, Lao L. Tai Chi for Patients with Parkinson’s Disease. COrrespondence. New Eng J Med 2012 3 May 366;18
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eventi conclusi

Yoga di Lunga Vita: l’equilibrio di corpo, mente ed energia

17 Maggio 2017 di Zénon

Radicarsi a terra per lasciarsi estendere, immergersi per sentirsi riportare a galla: le tradizioni dello haṭhayoga e del Qi Gong a confronto, per comprendere meglio i principi dell’equilibrio energetico, corporeo e mentale. Seminario pratico e teorico, in collaborazione con il Comitato Tecnico Scientifico AICS DBN.

 


Il programma della giornata

Ore 9:30 – 11:30 Sessione pratica: Yoga (Asana, Prāṇāyāma)

Ore 11:45 – 13:00 Sessione teorica: L’alchimia nello haṭhayoga: una perfetta sintesi di elementi opposti; domande e risposte

Ore 14:30 – 16:00 Sessione teorica: Terra-Uomo-Cielo: l’elemento umano come principio di trasmutazione delle energie terrene e di quelle celesti.

Ore 16:15 – 18:30 Sessione pratica: Qi Gong


I docenti

Marco Invernizzi

Medico e Ricercatore Universitario in Medicina Fisica e Riabilitativa presso l’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” di Novara. Agopuntore ed esperto in Medicina Tradizionale Cinese, da oltre dieci è docente della scuola di Agopuntura, Medicina Tradizionale Cinese, Tai Chi e Qi Gong ALMA di Milano, scuola legata alla F.I.S.A., Federazione Italiana delle Società di Agopuntura che coordina la maggioranza delle Associazioni, delle Scuole e dei Medici Agopuntori italiani. Approfondisci e leggi gli articoli di Marco Invernizzi

Francesco Vignotto

Insegnante di Yoga operatore olistico certificato AICS 760 ore, assieme a Marco Invernizzi dirige il centro Zénon, per il quale tiene le lezioni di Yoga, Respirazione e Meditazione. È inoltre il responsabile dell’attività culturale dell’associazione attraverso il blog di Zénon. Approfondisci e leggi gli articoli di Francesco Vignotto


L’evento si svolge in collaborazione con il Dipartimento di scienze e tecniche olistiche AICS DBN-Dipartimento di Scienze e Tecniche Olistiche, di cui Zénon è polo di formazione accreditato. Ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di partecipazione.


Perché questo seminario?

Molto spesso ci approcciamo allo yoga e a simili discipline psicofisiche come chi pretende di imparare a camminare ma non si rende conto di trovarsi a testa in giù, ritenendo che la pratica, di per sé, agisca da sola a prescindere dal nostro atteggiamento mentale, dalla condizione energetica oltre a da quella fisica.

Il tipico esempio di ciò è lo yogi che per eccesso di zelo causa danni al proprio corpo, nonostante abbia preso tutte le precauzioni, perché non riesce ad abbandonare le comuni concezioni legate alla performance e alla prestanza fisica.

Per questo, proprio come se avessimo invertito i poli di una batteria, la pratica non produce una trasformazione o, peggio, brucia il motore.

In questo seminario approfondiremo tramite l’approccio dello haṭhayoga e del Qi Gong il concetto di equilibrio energetico come corretto orientamento verso la pratica, attraverso il radicamento al suolo come base per l’estensione, la percezione del movimento sottile e del movimento spontaneo, l’ascolto del respiro profondo come presupposto per la sua espansione.

Trovare il proprio orientamento è molto più importante che andare da A a B: significa già avere acceso il crogiolo per la trasformazione.


Per partecipare

Per ulteriori informazioni, per le modalità di iscrizione e per i costi del seminario potete chiamarci allo 349 2462987 Oppure potete contattarci tramite il modulo qui sotto:
[contact-form-7 id=”2805″ title=”Prāṇāyāma_copy”]


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eventi conclusi

meditazione    Yoga

Lo Zen e l’arte di spaccarsi le palle con la meditazione

31 Maggio 2016 di Francesco Vignotto


Su internet circolano ormai moltissime infografiche che illustrano i benefici del meditare sotto l’aspetto fisiologico e mentale. Lo fanno spesso con qualche immagine stereotipata di tramonti o di cascate, volti sorridenti e corredandolo con qualche nuovo studio ‘scientifico’ sull’attività cerebrale dei meditanti – abbiamo visto, del resto, quanto gli studi scientifici raramente siano compresi per quello che vogliono dire e arrivino spesso di terza o quarta mano al lettore medio.

Leggo inoltre che grandi aziende hanno inserito la meditazione nelle attività per i dipendenti, in modo da ridurre i livelli di stress in azienda e aumentare la produttività. I maligni del Guardian sostengono che si tratti di un escamotage per non affrontare le reali cause dello stress sul posto di lavoro, ma tant’è.

Dopo qualche secolo di esaltazione dell’iperattività, di abusi alimentari e di sostanze eccitanti, sembra insomma che sedersi immobili e concentrarsi (o semplicemente pensare di non pensare) sia qualcosa di altrettanto cool quanto la dieta vegana e i rave salutisti, e che la sua immagine abbia perso le tinte austere con cui, ad esempio, l’ho conosciuta io.

Non rimpiango certo quelle tinte, che oggi appaiono un po’ bacchettone e scoraggianti. Tuttavia c’è qualcosa di caricaturale nell’euforia odierna, e cercherò di spiegarmi in questo articolo, conscio che la mia è solo una opinione tra le tante possibili.

meditazione-stereotipi

Innanzitutto, come per lo Yoga – qui inteso per comodità “merceologica” come disciplina che comprende anche la pratica psicofisica – la gente vuole sapere se la meditazione fa male o la meditazione fa bene. Il problema è che la meditazione, come lo yoga, non fa nessuna delle due cose. Anzi, non fa proprio. Per lungo tempo – e forse in senso assoluto – la meditazione si occupa di dis-fare, e mi si perdoni il terribile gioco di parole.

Anche per questo mi trovo a volte in imbarazzo nel rispondere a persone che chiedono di partecipare alle lezioni di meditazione qui a Zénon. Spesso non sanno di cosa si tratti esattamente, ma sulla base delle notizie in loro possesso ritengono che possa risolvere i loro problemi. Qualcuno si sente ansioso, qualcuno è depresso, alcuni pensano di pensare troppo (e già questo è un doppio problema), e a volte la pratica meditativa viene suggerita loro dal medico – e d’altro canto non sempre, lo dico al di sopra di ogni sospetto (qui a Zénon ci sono dei medici), la prescrizione è effettuata con cognizione di causa.

Ebbene, di fronte a queste aspettative mi sento in tutta sincerità di invitare a provare prima con lo Yoga, o con il Qi Gong o con il Tai Chi (potrebbe essere anche altro, ma mi limito a quello che può offrire la casa), specificando che queste pratiche, per noi, significano anche meditazione. Il “rodaggio” con queste pratiche che contemplano una maggior integrazione degli aspetti corporei è anzi ormai una regola fissa qui a Zénon per accedere alle ore di meditazione, anche a costo di scontentare qualcuno.

Il motivo è che, a mio parere, iniziare con una pratica volta a disciplinare la mente per mezzo della mente significa spesso cercare di costruire una casa partendo dal tetto, con risultati a volte disastrosi, anche se in altri casi, in presenza di venditori particolarmente abili e incuranti, si riesce a convincere l’acquirente che le fondamenta non servono a niente.

Tuttavia, quanto abbiamo appena detto non è del tutto esatto: nella meditazione non si utilizza solo la mente, come potrebbe sembrare, perché la meditazione richiede dei prerequisiti psicofisici, tra cui la capacità di trovarsi a proprio agio in una (relativa) immobilità corporea rimanendo al tempo stesso rilassati.

Alcune tradizioni prescrivono la postura del loto o altre posture sedute tutt’altro che naturali per noi occidentali, che devono diventare “comode e stabili” (tale è la celebre definizione yogica della postura seduta). Altre forme di meditazione dinamica richiedono una certa scioltezza fisica che è profondamente diversa da quella di un ginnasta, perché deriva non dalla semplice flessibilità muscolare ma richiedono lo stesso stato di disponibilità mentale della meditazione “statica”.

Ma anche sedendo su una sedia senza troppe formalità, il punto più difficile è gestire il naturale dinamismo della mente, di cui il dinamismo corporeo è un sottoprodotto, così come la tendenza a saltare di pensiero in pensiero: tutto ciò può costituire un ostacolo insormontabile senza un’adeguata preparazione.

Scriveva Aurobindo:

L’attività normale della nostra mente è fatta in gran parte di un’agitazione disordinata, piena di sperpero e di energie sprecate in frettolosi tentativi, di cui appena una piccolissima parte è utile alle operazioni di una volontà padrona di sé stessa (si tratta, ben inteso, di sperpero dal nostro punto di vista, non secondo quello della Natura universale in cui tutto ciò che a noi sembra spreco serve gli scopi della sua economia). L’attività del nostro corpo è fatta di questa agitazione. 1Aurobindo, La sintesi dello Yoga, Ubaldini

Proprio per questo, prosegue Aurobindo nello stesso scritto, l’haṭhayoga 2A scanso di equivoci, con questo termine intendiamo qui – e lo intendeva Aurobindo – lo Yoga che prevede l’utilizzo di tecniche psicofisiche quali le principali sono āsana e prāṇāyāma. Quasi ogni forma di Yoga oggi praticato nelle palestre, a dispetto della varietà di etichette e delle varie elaborazioni didattiche, è riconducibile a questa tradizione, anche se a volte con profonde differenze che solo in parte abbiamo visto in Lo Yoga in una posizione. può essere una solida base di partenza, perché comincia ad affrontare il problema dall’altro bandolo della matassa, quello più facile da disciplinare.

Da notare anche che Aurobindo, la cui prospettiva di Yoga Integrale è molto vasta e articolata, non era esattamente un grandissimo estimatore dell’haṭhayoga, così come della meditazione, che riteneva mezzi utili solo temporaneamente, laddove in molte tradizioni sono considerate delle vie autosufficienti che possono condurre sulle più alte vette.

meditazione
Illustrazione di Nick Lowndes per il Guardian

Mentre l’haṭhayoga permette infatti di drenare preliminarmente parecchie tensioni mentali attraverso il corpo in modo graduale e senza cadere nelle varie trappole della mente, la meditazione è molto più spesso una “cura da cavallo” che rischia di essere troppo drastica – o inutile- se affrontata da sola.

Durante la meditazione la mente si comporta infatti come un organismo sottoposto a un digiuno: ridotta o sospesa l’alimentazione (è il primo cibo disciplinato sono gli stimoli sensoriali), comincia a fare pulizia interna rigurgitando anche i contenuti sedimentati molto in profondità. Ammesso che la mente riesca a disciplinarsi in tale dieta, il rischio è che la mente finisca più spesso per ubriacarsi di sé stessa, piuttosto che smaltire la sbornia da iperattività a cui è normalmente soggetta.

Il problema non è tanto la quantità di materiale da smaltire, che paradossalmente potrebbe essere eliminato in un istante, ma la capacità di lasciare esaurire la sua produzione, dacché la mente non solo “contiene” ma “crea” in continuazione, allentando la reattività a agli stimoli (ne avevo parlato riguardo al concetto di rilassamento profondo in Dormire col demone che grida).

In questo bisogna arrivare già preparati quando ci si siede a meditare, altrimenti il gradino rischia di essere troppo alto. La mia, ripeto, è un’opinione, mentre altrettanto autorevoli fonti ritengono che basti la meditazione in sé (si veda ancora Lo Yoga in una posizione). Anche se questa contrapposizione è in ultima analisi relativa, ritengo che a favore della mia tesi ci siano parecchi argomenti troppo spesso sottovalutati.

Anche alla luce di tutto questo, la meditazione è da affrontare con cautela in caso di problematiche che turbano lo stato mentale. Anzi, a maggior ragione sconsiglio di meditare a tutti coloro che riferiscono di problematiche di stress, ansia, depressione o siano semplicemente già troppo inclini a rimuginare. Per questi ultimi, in particolare, la meditazione è l’ultima attività da intraprendere, in quanto li scollegherebbe ancora di più dalla realtà. Il che è ben diverso dal realizzare l’illusorietà del mondo fenomenico come formulato in molte tradizioni: significa anzi rimanere ancora più vittime delle illusioni della propria mente.

Insomma, la meditazione, anche e forse soprattutto nelle sue forme più “semplici” e a dispetto dell’aspetto “sexy” oggi attribuitole, può essere spesso una pratica molto frustrante. In molti casi, terribilmente noiosa. Non di rado, quando si hanno parecchi spettri nella bisaccia (che quasi mai sono noti o evidenti), può scatenare conflitti piuttosto violenti nel praticante.

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Tuttavia, l’incontro con questa noia e con questa frustrazione, anche con questi conflitti, è un segnale in un certo senso positivo ed entro certe dosi è un passaggio necessario, perché significa che la pratica sta agendo il suo effetto. Peggio è ancora quando il praticante fin dall’inizio riferisce di esperienze meravigliose e di una pace intensa, perché spesso è il segnale che nessuna purga può scalfire la costipazione. Ho imparato a dubitare seriamente della salute mentale di chi si delizia dell’olio di ricino come di una prelibatezza, ma tra le varie disfunzioni alimentari esiste oggi di sicuro anche questa. Sempre che, ovviamente, l’amara medicina non sia stata contraffatta e depotenziata, come vedremo tra poco.

In ogni caso, il problema è: come avanzare oltre questa noia e questa frustrazione? Elenco alcune possibili vie pessimistiche. In un primo caso, piuttosto frequente, è molto facile l’abbandono di una strada ritenuta troppo difficile.

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Un caso intermedio, ma non raro in alcune nicchie oggi come un tempo, è che al lassativo si sostituisca qualche sostanza psicotropa o qualche palliativo colorato (app per gli smartphone, palline fluorescenti, santini del guru e suggestioni emotive di varia natura) nell’illusione di tagliare per vie abbreviate.

Purtroppo, come ripeto sempre in questi casi, un somaro in LSD a cui appare lo Spirito Santo in persona rimane pur sempre un somaro, posto che il più delle volte lo Spirito Santo è un’ulteriore proiezione della sua mente più intossicata del consueto. Non si può pensare che l’esperienza abbia efficacia a prescindere dal livello di coscienza di chi la sperimenta, il che lo si conquista con un durissimo lavoro.

Ma spesso anche chi persevera non se la passa molto meglio. Abbiamo visto infatti generazioni di meditanti continuare la pratica senza grandi risultati, nella rassegnazione a rompersi discretamente le scatole, osservando i puntini comparire e scomparire all’orizzonte del loro personale Deserto dei Tartari, credendo di scorgervi ogni giorno i segnali di una svolta che non arriverà mai.

In quest’ultimo caso, la meditazione diventa come le famose cinque razioni di frutta e verdura da mangiare ogni giorno o la messa per il cristiano svogliato. E spesso questa noia è percepita quale giusta dose di sofferenza da accollarsi per salvarsi l’anima (o, nel gergo, per bruciare un po’ di karma), siccome ogni cosa che salvi l’anima è dolorosa (così almeno ci hanno detto).

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Non manca chi suggerisce di aiutare la meditazione tramite l’utilizzo di cannabis, per “aiutare ad allentare le resistenze”.

Il primo e l’ultimo caso sono tipici – anche se non sempre –  di quel particolare profilo di praticante che si dedica alla sola meditazione “seduta” ritenendo che le magagne del proprio corpo possano essere separate da quelle della propria mente (a onor del vero un giorno parleremo anche dei praticanti “esperti” di yoga che dopo molti anni non riescono a tollerare anche solo pochi istanti di inattività: è l’altro lato di una medaglia che si tenta sempre di scindere).

Insomma, la meditazione molto spesso e per molto tempo sembra accumulare sul tavolo i problemi, invece di risolverli.

Ma siamo sicuri di aver capito cosa sia la meditazione? A dire il vero, più passano gli anni e più confesso di avere idee felicemente sempre meno definite e sempre più sfocate sulla questione. È anche per questo che scrivere questo articolo mi ha creato parecchio imbarazzo, in quanto per necessità espressiva so di aver usato alcuni stereotipi e dando parecchio per scontato.

Le persone che si informano su un corso di meditazione vogliono sapere quale tipo di meditazione si faccia, se è “statica” o “dinamica”, sciamanica, cristiana, buddhista, laica o trascendentale, insomma vogliono sapere che cosa aspettarsi da quell’oretta alla settimana e di poterlo inquadrare in base alle etichette correnti. Il che, in un certo senso, è del tutto comprensibile dal punto di vista di un acquirente che poco si fida della scatola chiusa, e in molti casi fa bene.

Ma qui si rivela quanto la meditazione poco si concili con le categorie merceologiche. Il più grande equivoco è infatti dare per scontato che la meditazione sia quel qualcosa che “si fa” quando si “decide” di meditare, il che, come vedremo nel seguito di questo articolo, non è per nulla scontato, dacché pensare di fare e di decidere, o connotare con qualche colorante folkloristico significa rimanere ancora intrappolati ben prima del nodo da sciogliere.

Moltissime tradizioni che hanno tenuto in gran conto la meditazione, del resto, hanno anche detto che meditare è inutile. Non soltanto nel senso che non dev’esserci aspettativa di vantaggio alcuno – il che poco di concilia con la meditazione per aumentare la produttività, o anche per migliorare la concentrazione o ridurre lo stress. Molte tradizioni affermano infatti da un lato che meditare è la via, dall’altro che meditare è controproducente.

Ma allora cos’è la meditazione e perché tutte queste contraddizioni?  Per amor di sintesi, e per non aggiungere per ora troppa carne al fuoco, affronteremo l’argomento nel prossimo articolo.

Note[+]

Note
↑1 Aurobindo, La sintesi dello Yoga, Ubaldini
↑2 A scanso di equivoci, con questo termine intendiamo qui – e lo intendeva Aurobindo – lo Yoga che prevede l’utilizzo di tecniche psicofisiche quali le principali sono āsana e prāṇāyāma. Quasi ogni forma di Yoga oggi praticato nelle palestre, a dispetto della varietà di etichette e delle varie elaborazioni didattiche, è riconducibile a questa tradizione, anche se a volte con profonde differenze che solo in parte abbiamo visto in Lo Yoga in una posizione.
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Nello Yoga non ci sono clienti. E l’allievo non ha sempre ragione

8 Febbraio 2016 di Zénon


Ovvero perché non tutti devono per forza dedicarsi allo Yoga (o al Tai Chi, o al Qi Gong), perché nessun luogo di insegnamento può essere adatto a tutti e perché anche gli insegnanti devono imparare a dire qualche volta di no, per il bene stesso degli allievi. 

Non è un paese per turisti

Approcciamo il discorso da un punto che riteniamo fondamentale: praticare Yoga, secondo noi, implica fare una scelta. Non per forza una scelta di vita o di fede (nello Yoga non è necessario credere in qualcosa), ma per lo meno di investire un po’ di tempo e andare oltre le impressioni superficiali.

Normalmente, noi non scegliamo: compriamo prima di scegliere, e spesso compriamo cose che nemmeno useremo, o che accumuleremo in un angolo della soffitta dopo averci giocato per qualche tempo, ma senza mai averne compreso la reale utilità. Così, dicono, si fa “girare l’economia”, ma non è così che funziona l’economia yogica, nella quale le cianfrusaglie esperienziali accumulate durante il turismo inconsapevole sono zavorre che alla lunga impediscono qualsiasi progresso: e questa è una dura realtà non solo per gli allievi, ma anche per gli insegnanti.

Anche per questo, come in ogni luogo, a Zénon ci sono delle regole. Una delle prime è che non facciamo lezioni singole a sconosciuti o abbonamenti “a ingressi”, cioè quelle formule tramite cui compri un tot di lezioni e le fai entro un orizzonte temporale illimitato.

Non ne facciamo perché senza un minimo di frequenza l’allievo rimarrebbe un principiante a vita e ciò sarebbe inutile e dannoso per lui, per i compagni di pratica e per il centro stesso, perché non si potrebbe nemmeno immaginare un percorso collettivo in cui le persone possono progredire col tempo.

Proprio per questo, riteniamo che in questi casi il dovere di un onesto insegnante sia invitare a riflettere su come si possa apprendere a suonare il piano partendo da zero con una lezione al mese e sapendo già di non avere la costanza (né gli strumenti) per esercitarsi nel frattempo da solo.

Naturalmente, in alcuni casi, arriva anche un momento in cui l’allievo dispone di strumenti e di sufficiente costanza per praticare anche da solo – ed è anzi è auspicabile che lo faccia. Ma questo discorso non può applicarsi a neofiti quali sono quasi tutti coloro che ci rivolgono richieste simili.

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Lo scorso anno fece qualche rumore la dichiarazione di uno Yoga Studio canadese, che decise di smettere di insegnare le posizioni capovolte e di proibire ai propri allievi di eseguirle nel centro al di fuori delle lezioni. Le motivazioni erano a nostro parere abbastanza discutibili: ad esempio, che i benefici effettivi di tali posizioni non superassero gli effetti collaterali; ma non è questa l’occasione di discuterne.

Tuttavia, dall’articolo che annunciava la decisione emergeva un particolare per noi determinante: che quasi tutte le lezioni in quello Studio seguivano la formula ‘drop-in‘ (ovvero, “a ingressi”); la responsabile dello studio ammetteva che nella maggior parte delle lezioni si trovava in sala persone che non frequentano regolarmente oltre a una certa quantità di perfetti sconosciuti. A queste condizioni, nemmeno noi insegneremmo posizioni capovolte – a dire il vero, non insegneremmo proprio nessuna posizione – ed è proprio per questo che rinunciamo volentieri alla pur redditizia formula del drop-in.

A ognuno il suo posto

Il caso degli abbonamenti ‘a ingressi’ e gli aneddoti riportati contengono secondo noi un insegnamento chiaro, che vale la pena contestualizzare all’ambito della nostra attività: più si allarga indiscriminatamente il proprio pubblico per motivi commerciali e/o di spirito ecumenico, più è necessario un livellamento verso il basso della proposta, e spesso nel tentativo di accontentare tutti si rischia di non accontentare nessuno, oltre a rendere del tutto irrilevante il proprio lavoro.

Lo Yoga – ma vale per tutte le pratiche – non può essere adatto a tutti. A maggior ragione, un particolare tipo di Yoga insegnato da un particolare insegnante non può essere adatto a tutti. Può esserlo a molti, ma non a tutti.

In alcuni centri di Yoga, convivono diversi insegnanti con diverse formazioni, si fanno molte attività diverse tra loro e  si insegnano tante discipline diverse, per allargare il proprio pubblico. Pur rispettando queste scelte, nel nostro centro preferiamo connotarci in modo piuttosto preciso per quanto riguarda l’insegnamento dello Yoga e delle altre pratiche, che devono riflettere la nostra sensibilità e la nostra esperienza personale; inoltre, non ci interessa fare di tutto semplicemente per fare audience, soprattutto se non ci convince (ad esempio, negli ultimi mesi abbiamo rifiutato una dozzina di proposte da parte di suonatori di campane tibetane).

Chi voglia farsi un’idea di come lavoriamo, è benvenuto a provare di persona. Un’altra regola di questo luogo è: devi sentirti in sintonia con quello che si fa, con chi lo fa e come lo si fa; se qualcosa stride, nessun problema: non è il luogo adatto a te.

Spesso però sembra esserci un argomento che psicologicamente sovrasta qualsiasi altro dato, ovvero l’argomento del cliente che paga e quindi ha sempre ragione, anche quando si trova in un ristorante giapponese ma vorrebbe una pizza. E questo è un grave errore in cui possono incappare sia l’insegnante, sia l’allievo. Per l’allievo, occorre comprendere che non può pretendere di piegare il luogo ad adattarsi a sé. Per l’insegnante, occorre svestirsi dei panni messianici e deporre la falsa coscienza di aver negato l’accesso alla salvezza a una povero peccatore.

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Immagine tratta da THE GREAT OOM: THE IMPROBABLE BIRTH OF YOGA IN AMERICA, di Robert Love

Per questo, ci riteniamo sollevati dall’obbligo di accogliere chiunque semplicemente perché è un allievo o un allieva in più che pagano una quota: riteniamo che non sarebbe rispettoso in primo luogo verso il potenziale allievo stesso, che considereremmo solo in quanto denaro sonante e non come essere umano che ha il diritto ad avere le proprie necessità e i propri tempi, magari distogliendolo da altre strade che potrebbe percorrere con molto maggiore profitto.

E, naturalmente, per il bene comune e onde ridurre al minimo gli episodi spiacevoli, non accogliamo o invitiamo ad andarsene coloro che si comportano in modo non compatibile con il luogo e con le attività insegnate.

Non ci riteniamo inoltre in obbligo di accogliere chiunque non prenda sul serio l’attività – consapevolmente o inconsapevolmente – a causa della malsana idea che lo Yoga sia “a prova di imbecille” e che quindi non sia degno nemmeno della minima attenzione necessaria in qualunque attività psicomotoria. Come abbiamo già ampiamente spiegato, se c’è una cosa sicura nello Yoga, è che non è sicuro; e tantomeno non esiste alcuna procedura sicura – ci dispiace molto per chi sostiene il contrario – a prescindere dalla consapevolezza e dalla presenza mentale del praticante, che deve essere responsabile di sé stesso.

Ora, non tutti hanno gli strumenti per valutare se quello che stanno facendo è adatto a sé: in questo caso, per il bene comune, ci riteniamo in dovere di aiutare a vedere le cose in modo più chiaro, anche invitando a prendersi pause di riflessione o a cercare altrove.

Non ci è in alcun modo possibile ricostruire un identikit dell’allievo ideale: i dati anagrafici, gli interessi, persino le caratteristiche psicofisiche sono per noi del tutto irrilevanti alla prova dei fatti. Chiunque, a qualunque età e in qualunque condizione, può trovarsi a proprio agio da noi, così come chiunque, per qualsiasi motivo che non deve nemmeno giustificare, può ritenere altrimenti. E lo stesso vale per le nostre decisioni.

Ma qui non ci sono clienti

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Il cliente non ha sempre ragione, soprattutto quando non ha ben chiaro cosa vuole e quando non lo chiede con il dovuto rispetto. Ma, a voler essere ancora più precisi, noi siamo convinti che nello Yoga non ci siano clienti.

Non solo perché nello Yoga nessun risultato può essere meccanicamente garantito e quindi venduto, ma anche perché il rapporto insegnante-allievo richiede un’assoluta schiettezza che non può essere subordinata ai compromessi inevitabili in cui si incorre nel rapporto fornitore-cliente.

Sappiamo di correre il rischio di essere considerati un po’ idealisti – o ipocriti, dai diffidenti – e sappiamo che il mondo ‘olistico’ è ormai un mercato in cui accaparrarsi più anime possibile con ogni mezzo, soprattutto con il massiccio uso di tecniche di manipolazione che poco si conciliano con l’intento dichiarato di rendere l’essere umano più libero e autonomo.

Eppure, fino al secolo scorso, chi volesse dedicarsi a queste discipline doveva sottoporsi a viaggi lunghi, incerti e pericolosi per trovare qualcuno che potesse insegnargli qualcosa. Qualcuno che poteva anche rifiutarsi di farlo, se non lo riteneva adatto e pronto; non necessariamente “all’altezza”, perché magari a quella particolare persona era destinata un altro tipo di insegnamento.

Non rimpiangiamo quei tempi, ma ci piace ancor meno l’estremo caso opposto, in cui per qualsiasi pratica (o, ancor peggio, non per lo strumento ma per il risultato finale) chiunque viene ritenuto pronto o adatto, purché versi una quota di partecipazione.

Noi rimaniamo convinti che, se scegliessimo di operare in un contesto simile, la transazione economica rimarrebbe l’unica forma di trasmissione che potremmo garantire.

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Taijiquan, Daoyin, Qi Gong: le pratiche di lunga vita

28 Gennaio 2015 di Marco Invernizzi


Proseguiamo qui il percorso iniziato con le Tre Tradizioni cinesi (Taoismo, Buddismo e Confucianesimo) e approfondiamo l’argomento delle Pratiche di Lunga vita, ossia il Daoyin, il Qi Gong e il Taiji Quan (altrimenti noto come Tai Chi Chuan). Questo articolo, come il precedente, è un estratto rielaborato dalla mia tesi “Qi Gong Medico: gioiello della medicina”, presentata al corso di Regolazione Biologica e Medicine Complementari, Biofisica Medica Clinica dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la World Health Organization.

Cosa sono le pratiche di lunga vita?

Col termine Pratiche di Lunga Vita si intende un insieme di insegnamenti contenuti nella multiforme realtà cinese che mirano al prolungamento della vita fisica contemporaneamente ad un miglioramento della sua qualità generale, con l’obbiettivo finale di raggiungere l’immortalità (che sia qui intesa come immortalità fisica o immortalità su un altro piano è un discorso che meriterebbe di essere approfondito a parte).

Poiché queste pratiche hanno profonde radici nella Tradizione Taoista, è evidente come i livelli di questa definizione siano molto diversi dal senso comune e, come abbiamo visto nell’articolo dedicato alle Tre Tradizioni cinesi, non necessariamente l’immortalità è ricercata strettamente in ambito materiale.

Qi, secondo l'ideogramma tradizionale (in uso in Cina fino al 1946)
Qi, secondo l’ideogramma tradizionale (in uso in Cina fino al 1946)

Centrale, in queste pratiche, è il concetto di Qi, principio energetico/vitale che, nonostante le diverse interpretazioni, è molto affine al concetto indiano di prana. Come quest’ultimo, anche il Qi è presente illimitatamente nell’universo, ed è possibile considerare il Qi da un punto di vista macrocosmico e universale oppure da un punto di vista microcosmico e particolare, ovvero il carico di energia di un luogo, o di un essere vivente, o addirittura di un singolo organo. Proprio dall’interazione (o meglio, come vedremo, la risonanza) tra il Qi universale e il Qi particolare si sprigiona il potenziale benefico e terapeutico di tali pratiche.

È infatti interessante notare che uno degli scopi principali delle pratiche di lunga vita è di mantenere il corpo in buona salute agendo preventivamente sull’insorgere di possibili malattie; di qui anche l’attinenza con la medicina. D’altro canto, non deve sorprendere se al tempo stesso queste pratiche hanno attinenza con la sfera interiore e spirituale dell’essere umano: il presupposto da cui muovono queste pratiche, condiviso anche dallo Yoga indo-tibetano, è che un corpo malato è un grandissimo intralcio nella via spirituale.

Le pratiche principali sono: Dao yin/Qi gong e Tai Chi Chuan, oltre ad altre che probabilmente si sono perse nei millenni. Per comprendere queste discipline, strettamente inter-relate, dobbiamo però risalire molto indietro nel tempo, all’origine stessa della civiltà cinese.

Le origini Sciamaniche

Statue di argilla che raffigurano risalenti alla dinastia Zhou (XII-III secolo a.C.) che raffigurano donne sciamane danzanti.
Statue di argilla risalenti alla dinastia Zhou (XII-III secolo a.C.) che raffigurano donne sciamane danzanti.

Le prime testimonianze frammentarie cinesi di approcci terapeutici sono riconducibili alle mitiche figure sciamaniche Wu, che operavano attraverso tecniche esorcistiche impostate sul movimento fisico e sul suono.

Il carattere Wu indica «danza» e secondo il Shuo wen, il dizionario etimologico di epoca Han, il termine era anche accomunato a Zhu, termine riconducibile ad augurio o invocazione. Quindi Wu o Zhu comunicava con il cielo e le sue invocazioni terapeutiche erano essenzialmente preghiere rivolte agli spiriti o formule esorcistiche.

Una caratteristica importante è che originariamente Wu erano donne, tanto che gli sciamani uomini venivano designati con il carattere Xi. La rilevanza di tale elemento concerne la relazione tra la società ideale taoista e l’antico egualitarismo tribale legato al matriarcato.

Più che a spiriti antropomorfi le prime Wu si rivolgevano alle manifestazioni di una serie di «forze» o di «influssi» a forte caratterizzazione archetipica, la cui azione era desunta dall’osservazione dei fenomeni naturali. Era una tecnica rituale per coordinare i movimenti del proprio corpo (e il respiro) con i flussi delle forze cosmiche, così da acquisire la potenza necessaria, ad esempio, a esorcizzare le «forze deviate» che affliggevano il «paziente».

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L’antico ideogramma per Wu

A riprova della forte impronta che gli Wu hanno lasciato sull’origine della medicina tradizionale cinese vi è il fatto che il carattere Yi («medico o scienza medica») era originariamente composto dal carattere Wu più la parte superiore del carattere Yi attuale, composta da segni raffiguranti una faretra colma di frecce e una mano che impugna un’arma.

Ciò denoterebbe la marcata origine demonologica della medicina: le frecce indicherebbero le armi che lo sciamano usava nelle sue danze rituali per esorcizzare i demoni.

L’eziologia «demonica» rimase nella MTC sotto la denominazione di Xie Qi, Soffi Perversi, i Patogeni della definizione moderna, ma sin dall’antichità fu affiancata da altre possibili cause, prima fra tutte il mancato rispetto dei ritmi naturali.1Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati.
Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6

Conformarsi al Dao, la legge Universale che governa tutti i fenomeni e le loro trasformazioni, significa uniformare le orbite del proprio Qi psicofisiologico (microcosmo) al retto fluire del Qi in natura (macrocosmo); in altri termini, ciò vuol dire acquisire Zheng Qi, il cosiddetto soffio retto o autentico. Il Zheng Qi è alla base della salute dell’individuo, della sua capacità di rispondere all’attacco patogeno ed adattarsi alle modificazioni macrocosmiche, in un’ottica di armonizzazione con il Dao.

Una sacerdotessa Wu invoca lo spirito di un animale.
Una sacerdotessa Wu invoca lo spirito di un animale.

Lo sciamano cinese, come gli adepti taoisti, non trae il suo potere dalla «possessione» di uno spirito che gli induce uno stato estatico simile alla medianità, ma da un particolare stato di ricettività che gli consente di veicolare attivamente le forze archetipiche armonizzandosi ad esse.

La pratica esperienziale interiore conduce lo sciamano ad uno stato di quiete del cuore e della mente che lo porta ad una risonanza perfetta col mondo naturale. È questo accordo armonico che lo rende permeabile fino a diventare un vero e proprio portale del mondo archetipico e permette agli Shen, gli Archetipi, di agire direttamente attraverso di lui in piena consapevolezza nell’atto terapeutico.

Le sciamane Wu furono i primi medici della storia cinese: lo Shan hai jingìe li associa all’uso di erbe medicinali e alle Pratiche di Lunga Vita, anche se i loro compiti principali rimanevano il controllo degli elementi naturali, l’esorcismo, la comunicazione con gli spiriti. Solo nel taoismo si conservarono le tradizioni legate alla magia delle Wu perché in forma semiclandestina molte donne fecero parte delle più importanti scuole taoiste: molte tecniche, d’altra parte, richiedevano la partecipazione di una coppia di adepti di sesso opposto.

Il concetto di Risonanza

Danzatrice mascherata, tardo periodo Zhou
Danzatrice mascherata, tardo periodo Zhou

È molto probabile che le invocazioni sciamaniche raggiungessero il loro scopo terapeutico per la qualità energetica del suono trasmesso più che per la suggestione provocata dal loro significato. Come spiegano fonti più tarde, esso era in grado di riportare l’organismo all’equilibrio producendo un effetto biofisico di Risonanza, fenomeno conosciuto in Cina in tempi antichissimi come la teoria delle armoniche, mentre in Occidente, escluse le scuole pitagoriche, essa cominciò a svilupparsi soltanto a partire dal XVIII secolo.

A questo proposito può essere interessante notare come l’ideogramma di «farmaco» sia composto dall’ideogramma di «musica» sovrastato dal radicale «erba», quasi a indicare che quanto fa di un’erba un farmaco è la sua «musica». Sebbene l’associazione specifica di un suono particolare con un determinato organo interno appaia per la prima volta in forma esplicita con Tao Hongjing, vissuto nel VI secolo d.C., bisogna considerare che questi suoni erano segreti e, molto probabilmente, trasmessi oralmente già da secoli. È significativo il fatto che ancora oggi i «sei suoni-mantra» liu zi jué, specifici per ogni organo, siano uno degli esercizi più diffusi e praticati del Qi gong terapeutico. 2Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati.
Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6

In profondo accordo con la biofisica moderna, la Risonanza, Gan Ying, è l’asse portante del rapporto tra macrocosmo e microcosmo, il fondamento delle loro interazioni quantiche e implica la bipolarità di azione-emanazione Yang e ricezione-percezione Yin che si differenzia da un semplice rapporto causa-effetto o agente-agito, poiché include la nozione di reciprocità. La reciprocità comporta la possibilità di invertire i poli di attività e recettività tra l’uomo e il cosmo.

Analogamente, il termine De, in una delle sue accezioni più antiche, indicava contemporaneamente sia il Potere che l’uomo esercita sul Cielo attraverso l’invocazione, sia la Virtù dell’officiante che consente la risposta del Cielo in un processo di risonanza con il mondo archetipico. La potenza acquisita dal praticante deriva probabilmente da un processo di amplificazione che comporta una serie di inversioni successive. Il rapporto tra la perfetta recettività e l’invocazione può essere paragonato al rapporto che nel Cristianesimo esiste tra la perfetta sottomissione alla volontà divina e la preghiera d’intercessione. 3Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati.
Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6

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L’antico carattere oracolare per De

Nel Taoismo il termine De sta a indicare il veicolo sottile attraverso il quale si effettua la connessione tra due entità che entrano in risonanza, il flusso biofotonico della biofisica moderna. La forza che si attiva in tale situazione di empatia energetica viene percepita nell’atto terapeutico come De qi, un insieme di sensazioni quasi-fisiche comuni sia al medico che al paziente, la cui sapiente lettura guida l’intero atto medico.

Nella concezione taoista la pratica esperienziale della risonanza con le forze che esprimono l’ordine cosmico è il fattore che trasmuta la Scienza in Magia, conferendo all’essere umano il potere sugli aspetti quantici della natura. Ciò è possibile grazie a un atteggiamento di completa recettività che il Taoismo esprime nel concetto di Wu Wei, comunemente tradotto come non agire.

In realtà il concetto di Wu, il non essere, indica la condizione atemporale e non locale del Dao, motore segreto quantico del suo aspetto manifesto spazio-temporale, in cui Wu Wei è compiere l’azione in accordo con la dimensione archetipica Wu.

La costante del Dao è il non-agire, così non c’è nulla che non venga compiuto

Laozi

Il Dao yin

Secondo alcuni autori nelle danze sciamaniche, articolate in posture esorcistiche e invocazioni, sarebbero contenuti i primordi del Dao yin, attuale Qi gong o arte del coltivare il Qi, cioè di quella tecnica, articolata su più livelli, il cui scopo principale è di armonizzare il Qi del proprio organismo con quello dell’ambiente naturale, intensificandone in tal modo la potenza, per poterlo successivamente dirigere e proiettare sotto il controllo della volontà cosciente. Ciò renderebbe possibile agire anche sul mondo materiale attraverso una forza immateriale guidata dalla mente.

Le diverse posture esorcistiche illustrate e commentate nel Dao yin tu di Mawangdui risultano molto simili a quelle in seguito incluse nei sistemi Dao yin / Qi gong delle scuole taoiste. Analogamente, le invocazioni non vanno intese come semplici formule verbali, ma come il veicolo adatto a trasmettere questa forza al corpo del malato, all’ambiente circostante o a se stessi.4Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati.
Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6

Il Tai Chi Chuan

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Il Tai Chi Chuan o Tai ji Quan, usando la traduzione degli ideogrammi cinesi con lo standard pinyin, è una pratica che nasce in Cina dall’incontro tra arti marziali e pratiche tradizionali per la salute e la longevità. Il Tai Chi Chuan è molto diffuso tutt’oggi a livello popolare in Cina e in grande espansione in tutto l’Occidente negli ultimi decenni.

La componente marziale del Tai Chi Chuan è di natura interna: le sue più evidenti diversità rispetto ad altre arti marziali sono infatti costituite dal ruolo centrale assegnato ad azioni difensive basate sulla cedevolezza, e dall’impiego nei confronti dell’avversario dell’elasticità del corpo invece che della forza fisica. 5Carlo Moiraghi. Qi Gong. Fabbri editori 2002. ISBN 88-451-8009-3

Moiraghi. la via della Forza Interiore, trattato di energetica esperienziale cinese. Casa Editrice
Meb 1995. ISBN 88-7669-490-0

In realtà, nell’esecuzione del Tai Chi, la forza fisica dev’essere pressoché annullata in favore di un completo rilassamento proprio per far emergere la componente più propriamente energetica e potenzialmente ancora più travolgente della forza fisica stessa, in un movimento fluido e circolare, senza interruzioni, una costante alternanza di Yin e Yang, vuoto e pieno.

E proprio l’alternanza di Yin e Yang è il principio esperienziale del Tai Chi Chuan, rappresentato dal Taiji, ovvero il “grande polo” del movimento degli opposti, che procede dal Wuji, il “non-polo” indifferenziato rappresentato generalmente da un cerchio vuoto. Insieme, formano il Taijitu, che rappresenta l’alternanza di Yin e Yang e al tempo stesso la compresenza del principio anteriore (Wuji) indifferenziato:

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Il Qi gong

Qi gong è un termine generico recente che designa un insieme di pratiche di benessere, salute, risveglio e realizzazione personali. Qi gong può dunque essere tradotto semplicemente con lavoro (Gong) del soffio (Qi), indicando con questo l’aspetto attivo di una pratica che riguarda l’energia vitale che anima le cose e gli esseri.

L’antica denominazione classica di Qi gong era Yang sheng fa, letteralmente i metodi (Fa) che nutrono (Yang) la vita (Sheng) i quali, secondo la Tradizione, permetterebbero di opporsi o di ritardare il processo della morte, per cui sostenere la vita vuol dire ritardare la morte vivendo bene e a lungo.

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Chen bao shi, ovvero la visualizzazione di due grandi sfere di energia ai lati. Illustrazione tratta da C. Moiraghi, Qi Gong, Fabbri, 2002.

In definitiva il Qi gong rappresenta un variegato scenario in cui si stratificano scuole e stili, in un lignaggio ininterrotto di maestri e ricercatori che ne hanno mantenuto la vitalità modificandolo incessantemente. Una classificazione dei Qi gong più importanti, tenendo conto del fatto che spesso appaiono mescolati tra loro, potrebbe essere la seguente:

  • Qi gong di origine taoista, o che intrattengono qualche tipo di rapporto con la filosofia del Tao;
  • Qi gong di origine buddista che, in Cina, sono legate al Chan;
  • Qi gong di origine confuciana che spesso si ritrovano nei rituali come il saluto;
  • Qi gong di origine marziale che hanno lo scopo di rinforzare il corpo e di proteggerlo;
  • Qi gong di origine medica ancora prescritti nelle pratiche terapeutiche;
  • Qi gong di origine familiare che si trasmettono all’interno dei clan o delle famiglie;
  • Qi gong di origine sintetica concepito recentemente per fini pedagogici;
  • Qi gong di origine esterna alla Cina e che sono spesso nuove creazioni, come la ginnastica svedese del Ling.

Tutte queste varietà di Qi gong hanno in comune una pratica di meditazione con la finalità di raggiungere “un’altra cosa ancora” (Hua) ma classicamente non viene mai precisato che cos’è questa “altra cosa”, assimilata a una trasmutazione.

Laozi spiega: “il grossolano è la radice del sottile” significando che ciò che è grossolano può trasmutarsi in qualcosa di molto sottile. Ne deriva che il Qi gong può essere, di volta in volta, molto terrestre o molto celeste, ovviamente sempre nel senso prima citato della trasmutazione alchemica.

Ritengo utile citare in toto una parte dell’introduzione del libro di Charles sul Qi gong che definisce in maniera chiara e molto intuitiva le radici su cui poggia il Qi gong e il suo impianto filosofico:

Un gesto può essere molto sottile e un pensiero può essere molto grossolano. Talvolta il fatto di rendere sottile il gesto permette di affinare lo spirito mentre il contrario non è necessariamente vero. Come nello Yijing sarebbe meglio cominciare dalla cosa più semplice, il monogramma composto da un solo tratto, per arrivare alla cosa più complessa, l’esagramma, composto da sei tratti.
Se non si comprende bene o si travisa ciò che realmente corrisponde allo Yin e allo Yang, sarà difficile definire il valore di un esagramma. Come comprendere un concatenamento complesso senza conoscere le basi del movimento e della respirazione? Come comprendere i principi se non si conoscono le regole? Molti testi classici o grandi autori classici come Liji (o Libro dei riti), Zhuangzi, Liezi, Neijing Suwen (Trattato di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo) spiegano letteralmente che “lo Yang sale, lo Yin scende”. Ciò viene inteso in Occidente come : “Lo Yang è in alto, lo Yin è in basso”. Ma tra salire ed essere in alto o scendere ed essere in basso esiste una differenza considerevole. Se lo Yang sale è perché originariamente (radice) era in basso. Se lo Yin scende è perché originariamente (radice) era in alto.
I “classici” distinguono dunque tre stati: l’origine (radice), il movimento (evoluzione), la conseguenza (preparazione al cambiamento). Ma quando si tratta di movimento (Dong) o di trasformazione (Yi) gli occidentali, come i turisti, di solito fanno una foto. Il classico dice: “Lo Yang sale”; loro fanno una foto e constatano, dopo e basandosi sulla foto,- che lo Yang è in alto.
Dunque, per la logica occidentale, lo Yin deve essere in basso. Così si è detto tutto e non si è fatto nulla. O lo si è fatto in controsenso.
Ma, nel tempo, anche i cinesi si sono occidentalizzati e propongono a loro volta pratiche per turisti in cui lo Yang è in alto e lo Yin è in basso. Normale. E tutto va bene solo nel migliore dei mondi. Io qui vi propongo, al contrario, una versione meno turistica e più classica di una pratica di “sostenimento della vita” legata alla filosofia del Tao e del Lingbaoming, ma nello stesso tempo influenzata dai principi sviluppati da Wang Yang Ming, precursore di Wang Tse Ming, della corrente della “Purezza del cuore” (Xin Xue)”

Georges Charles6Georges Charles. Qi Gong ed energia vitale. Pratiche Taoiste di lunga vita. Edizioni Pendragon 2008. ISBN 978-88-8342-573-8

Per concludere (per ora)

Il quadro storico delineato con le Tre Tradizioni e le pratiche di lunga vita ha un obiettivo, che sarà raggiunto con il prossimo articolo, a completamento di un trittico: ovvero il rapporto tra queste discipline e la scienza moderna e soprattutto tra le pratiche di lunga vita e un approccio terapeutico. Se abbiamo già visto che il Tai Chi Chuan è applicato con successo in ambito preventivo, meno conosciuto è l’aspetto medico del Qi Gong, di cui parleremo nell’articolo finale.

Non dimenticando mai, naturalmente, che lo scopo ultimo di queste pratiche è, come abbiamo visto, Hua, ovvero “un’altra cosa ancora”.

Note[+]

Note
↑1, ↑2, ↑3, ↑4 Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati.
Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6
↑5 Carlo Moiraghi. Qi Gong. Fabbri editori 2002. ISBN 88-451-8009-3

Moiraghi. la via della Forza Interiore, trattato di energetica esperienziale cinese. Casa Editrice
Meb 1995. ISBN 88-7669-490-0

↑6 Georges Charles. Qi Gong ed energia vitale. Pratiche Taoiste di lunga vita. Edizioni Pendragon 2008. ISBN 978-88-8342-573-8
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highlights    Medicina cinese    Tai Chi Chuan    Taoismo

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Il mondo è un recipiente sacro e non si può governare

30 Ottobre 2014 di Marco Invernizzi


Con un ringraziamento a Francesco Vignotto per il lavoro editoriale svolto su questo articolo.

Che sapore ha l’aceto?

Tre uomini sono riuniti attorno a un barile di aceto. Ognuno ne ha appena assaggiato il contenuto ed esprime le proprie impressioni. Il primo ha un’espressione di disappunto, il secondo di amarezza, e il terzo infine sorride.

I tre saggi sono, nell’ordine, Confucio, Buddha e Laozi, ovvero i rappresentanti delle tre correnti principali della Tradizione Cinese, nella quale l’episodio è un tema molto ricorrente e che è qui molto bene esplicitato da questa vignetta:

confucio-buddha-laozi-ita

L’aceto simboleggia la vita e i tre saggi sembrano avere atteggiamenti contrastanti: per Confucio occorre correggerne il degrado dalla corretta via del passato; per Buddha è caratterizzata inevitabilmente dal dolore e l’unica via di scampo è abbandonare ogni attaccamento; per Laozi, infine, anche attraverso il sapore al tempo stesso acido e amaro dell’aceto è possibile esperire l’armonia celeste.

L’episodio è in apparenza “di parte” e decisamente a favore del Taoismo (cioè la tradizione rappresentata da Laozi) a discapito delle altre due tradizioni, soprattutto perché, come vedremo, le altre due tradizioni, qui forse eccessivamente stilizzate, in realtà non sono così in disaccordo con Laozi.

Laozi, Confucio e Buddha

Tuttavia, secondo una delle interpretazioni del celebre dipinto, siccome i tre Maestri sono riuniti attorno allo stesso barile, i Tre Insegnamenti sono in realtà uno solo, un contenuto unico ma al contempo dinamico che ha animato e anima discipline come il Tai Chi Chuan, il Qi gong, la Medicina Tradizionale Cinese e il Buddhismo C’han (che in Giappone diventerà Zen).

L’affermazione, la negazione e la sintesi; l’esperienza dell’azione rituale, l’esperienza del Vuoto e quella delle Presenze (necessaria per percepire il vuoto): l’unione di questi tre aspetti ha reso e rende tuttora, anche se molto meno “visibile”, la Tradizione Cinese una delle più ricche e dinamiche vie all’interno delle varie Tradizioni su questo pianeta.1C. Moiraghi, Qi Gong, Fabbri editori 2002. ISBN 88-451-8009-3 Moiraghi. la via della Forza Interiore, trattato di energetica esperienziale cinese. Casa Editrice Meb 1995. ISBN 88-7669-490-0

Un particolare in apparenza curioso è che l’Alchimia, ovvero la via della Trasmutazione, in Cina si sviluppò proprio in seno al Taoismo, il quale sembrerebbe invitare ad accettare il mondo così com’è:

Vorresti afferrare il mondo e cambiarlo?
Io vedo che non è possibile.
Il mondo è un recipiente sacro: non si può cambiare.
Coloro che lo cambiano lo rovinano,
coloro che lo afferrano lo perdono

Laozi2Daodejing, XXIX, Feltrinelli,

Questo paradosso – anch’esso apparente – racchiude un insegnamento molto profondo e ci invita a varcare il confine tra il livello letterale e quello nascosto di questa tradizione. Se esiste un ordine celeste che respira attraverso i pori di tutta la realtà sensibile, quest’ordine – visto da qui – assomiglia molto al caos e non può che essere espresso per paradossi e con un forte senso dello humor: tale appare il sapore aspro dell’aceto, se lo si considera quale corruzione del vino.

Ma per poter agire senza spezzare il “recipiente sacro” del mondo (o più probabilmente esserne spezzati), occorre innanzitutto  assecondare quest’ordine non opponendo resistenza. Allora la propria volontà perde ogni connotato egoico (Il saggio non ha una mente propria […] e fa della turbolenza del mondo la propria mente3Lao Tzu, Daodejing, LXIV, Feltrinelli,) e l’azione è tale quale alla non-azione (wei wu wei). A quel punto, non può incontrare ostacolo alcuno:

Il cielo dura e la terra permane.
La ragione per cui cielo e terra
possono durare e permanere
è che non vivono per sé stessi;
perciò possono vivere a lungo.
Per questo il saggio si tira indietro
e viene a trovarsi davanti,
si esclude, ma rimane presente.
Non è forse perché non ha fini personali
che può realizzare i suoi fini personali?

Laozi, Tao Te Ching (Daodejing), VII

Tuttavia sbaglieremmo – lo ripetiamo – a voler circoscrivere tutto questo al solo Taoismo. Come vedremo in questo articolo,  anche questa esperienza, dev’essere letta alla luce dei Tre Insegnamenti, che rappresentano i tre principi necessari perché la trasformazione non rimanga bella teoria. Per questo vogliamo iniziare un viaggio che sicuramente non riuscirà a toccare tutti i temi e gli intrecci tra Buddhismo, Confucianesimo e Taoismo, ma che speriamo riesca a far emergere il disegno di fondo.

L’aceto è guasto: il Confucianesimo

Kongfuzi (551-479 a.C.), conosciuto anche come “Maestro Kong” o Confucio in Occidente è il fondatore del Confucianesimo. Questa Tradizione si fonda sui principi di un’etica individuale e sociale basata sul senso di rettitudine e giustizia, sull’importanza dell’armonia nelle relazioni sociali e nel vissuto quotidiano.

Q Confucius Rockbund Art Museum 4
Una bizzarra e gigantesca rappresentazione di Confucio dell’artista contemporaneo cinese Zhang Huan.

Il Confucianesimo quindi esplica i suoi fondamenti principalmente in ambito sociale, familiare e statale, fornendo delle norme etiche e rituali ereditate dall’antichità che hanno lo scopo di generare armonia nei rapporti umani che rifletta quella delle dinamiche Universali. Viene data inoltre quindi molta importanza allo studio, alla riflessione e al miglioramento in generale di sé e del prossimo sempre col fine di promuovere Ordine e Armonia.

Nella sua opera principale, I dialoghi, Confucio si presenta come “un messaggero che nulla ha inventato”, impegnato solo a trasmettere la sapienza degli antichi.

Inizialmente il suo pensiero, più che una Tradizione era un invito a riflettere su se stessi (microcosmo) e quindi di riflesso sul mondo inteso nella sua universalità (macrocosmo). Solo in seguito, principalmente ad opera dei suoi discepoli, di cui il principale era suo nipote Zi Si, vi fu la codifica di un vero e proprio corpus filosofico basato principalmente su di un sistema rituale e una dottrina morale e sociale, che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina, in un’epoca di profonda corruzione e di gravi sconvolgimenti politici.

Confucius02

Confucio non volle mai, invece, trattare questioni soprannaturali o che trascendessero l’esperienza umana, limitandosi ad aspetti più “concreti” e legati alla vita di tutti i giorni. Per questo motivo il Confucianesimo rapidamente diventò il cuore del sistema educativo cinese, e numerose importanti figure del confucianesimo come Mencio e Xunzi svilupparono questa dottrina nei secoli sul piano etico, sociale e politico.

Il confucianesimo penetrò quindi profondamente nel sistema di pensiero dei cinesi e dei loro statisti, divenendo il pensiero politico dominante, raramente messo in discussione fino agli inizi del XX secolo; tuttavia per le caratteristiche descritte in precedenza, tra cui il relativo disinteresse per il sovrannaturale, risulta difficile inquadrarla come una religione.

Interpretando le basi concettuali di questa Tradizione come il rapporto macro-microcosmo, lo stimolo alla riflessione e la ricerca dell’Armonia all’interno e al di fuori di sé, si notano molti rimandi ed elementi comuni al Taoismo e alla tradizione Induista. Per questo motivo, come vedremo in seguito per le altre due grandi Tradizioni cinesi, l’apporto reale del solo Confucianesimo alla Tradizione Cinese risulta difficilmente quantificabile, e soprattutto sarebbe riduttivo se analizzato come slegato dalle altre due.

L’aceto è amaro: il Buddhismo

Monaci buddhisti a Zhengzhou, foto di Steve McCurry
Monaci buddhisti a Zhengzhou, foto di Steve McCurry

Il Buddhismo è una delle religioni più antiche e più diffuse al mondo, una religione piuttosto originale in quanto non si fonda sulla fede in un Dio, bensì su una via per raggiungere la liberazione, la buddhi, ovvero l’illuminazione, “attraverso la quale si arriva a prendere atto della realtà, quale risultato di un intreccio di elementi che si condizionano reciprocamente”.

Con il termine Buddhismo intendiamo l’insieme di dottrine e di pratiche che originò  dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, il Buddha storico vissuto tra il VI e il V secolo avanti Cristo in India. Di famiglia nobile e molto ricca, all’età di 29 anni Siddharta venne a contatto con la sofferenza umana durante una visita fuori dall’ambiente protetto della reggia paterna.

Decise allora di abbandonare la famiglia (tra cui moglie e figlio) e di rifiutare ogni ricchezza per dedicarsi alla vita meditativa e trovare una soluzione al problema del dolore che accompagna l’esistenza, alla ricerca di una via per la liberazione dal ciclo di cause-effetto che da sofferenza genera inevitabilmente sofferenza.

Siddharta Gautama definì in seguito questo ciclo coproduzione condizionata, ovvero interdipendenza dei fenomeni, “perché esiste quello, esiste questo”.4Gautama Buddha, Nidānasūtra 124, 547b-548a Il Buddha elencò dodici cause, ognuna delle quali genera la successiva quale effetto:

  1. L’ignoranza genera i
  2. coefficienti karmici (ovvero la traccia delle azioni passate), che generano
  3. la coscienza, che genera
  4. nome e forma, che generano
  5. i sei sensi, che generano
  6. il contatto, che genera
  7. la sensazione, che genera
  8. la brama, che genera
  9. l’attaccamento, che genera
  10. l’esistenza, che genera
  11. la nascita, che genera
  12. vecchiaia, morte, tristezza e sofferenza
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Nella sua ricerca, Siddharta Gautama sperimentò molte dottrine e praticò anche forme di ascetismo estremo. Tuttavia a suo parere nessuna di queste vie offrivano una reale liberazione. Con estrema finezza, Siddharta individuava anche nelle vie allora codificate e nella rinuncia alla vita mondana una forma di attaccamento all’io, una brama, un seme che rimetteva in moto la catena delle cause e degli effetti e provocava la ricaduta nel ciclo che genera sofferenza.

Continuando quindi nella sua ricerca di una ‘via di mezzo’, all’età di 35 anni, dopo sette giorni intenso raccoglimento, Siddharta Gautama conseguì l’illuminazione ed entrò nel Nirvana – ovvero la “condizione di incondizionato”.

Alla base del suo insegnamento vi sono le “Quattro Nobili Verità” e l’Ottuplice Sentiero, enunciati nel famoso Discorso della messa in moto della ruota del Dharma, che qui esponiamo molto in sintesi:

  1. La verità del dolore: tutti gli aggregati fisici e mentali sono soggetti a nascita, vecchiaia, malattia, morte, unione con ciò che è spiacevole e distacco da ciò che è piacevole.
  2. La verità dell’origine del dolore: l’origine è l’attaccamento a ciò che è impermanente e che quindi genera inevitabilmente sofferenza.
  3. La verità della cessazione del dolore: è la cessazione (nirodha) della brama, abbandonando l’attaccamento a ciò che è solo provvisorio.
  4. La verità della via che conduce alla cessazione del dolore: è la “via di mezzo” che rifugge “i due estremi”, non indulgendo nei piaceri sensoriali, ma nemmeno abbracciando la “l’automacerazione, dolorosa, ignobile, senza profitto”. La via consiste nell’Ottuplice sentiero: retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione.

Questa breve esposizione non fa giustizia della sterminata complessità che assunse questa dottrina nei millenni successivi, diffondendosi in tutta l’Asia e anche, a partire dal XIX secolo, in Occidente. Ci aiuta a comprendere meglio l’espressione amara del Buddha nei confronti dell’aceto: la vita, secondo il Buddhismo, è dominata dalla sofferenza.

"Grasso come un Buddha": in realtà il personaggio grasso e ridente che ricorre spesso nell'arte popolare cinese non è il Buddha Siddharta Gautama, ma il Budai
“Grasso come un Buddha”: in realtà il personaggio grasso e ridente che ricorre nell’arte popolare cinese e giapponese non è il Buddha Siddharta Gautama, ma il Budai. Probabilmente in origine il Budai fu una divinità folkloristica, ma successivamente fu inglobato nel Buddhismo, nel Taoismo e nello Shintoismo.

Tuttavia occorre sottolineare che il Buddhismo è tutt’altro che una visione pessimista e – come abbiamo visto – rifugge l’estremismo ascetico: ricordiamo che, al di fuori dell’episodio dei Tre Saggi, il Buddha è generalmente rappresentato sorridente, un’espressione di sereno distacco più che di amara rinuncia. La causa principale della sofferenza, infatti, è l’ignoranza della sua vera natura, ovvero l’attaccamento a ciò che è impermanente.5Impermanenza che comprende anche il concetto di io: “Il Buddhismo, forse anche nella sua primitiva formulazione, aveva sostenuto […] che non esiste un io permanente, un atman, un jiva, un purusa [tutti termini che indicano il sé, universale o individuale, nelle diverse tradizioni indiane, NdR]; ma non per questo sottraeva l’uomo alla responsabilità delle proprie azioni. Ciò che noi compiamo fruttifica; ogni pensiero, primo motore dell’azione, racchiude in sé l’esperienza passata e si proietta, così carico, nel pensiero seguente; la nostra personalità si riduce a un fluire perenne di elementi (dharma) in continuo moto condizionato; questo moto è dolore; la pace è nella cessazione di questo moto, il quale è arrestato dall’eliminazione del carma infetto; l’eliminazione avviene in virtù della disciplina morale e della conoscenza.” (G. Tucci, Storia della filosofia indiana, Laterza, pag. 52)

E qui, come vedremo in seguito, i punti di contatto con il Taoismo sono molteplici, in primo luogo il concetto Vacuità (Sunyata) quale vera realtà che trascende tutti i fenomeni impermanenti, e che proprio per l’affinità con il Tao 6Cfr Laozi, XI: “Trenta raggi convergono in un mozzo:/grazie al suo vuoto abbiamo l’utilità del carro.” trovò un terreno molto ricettivo nella Cina antica, così come la percezione che di un ordine che unisce ciò che in apparenza è dissimile.

Neve copiosa in tazze d’argento,
aironi celati dalla luna splendente;
cose dissimili nell’affine
la confusione è il luogo della conoscenza.

Pao-ching san-mei ko, “Poema del Samadhi dello specchio prezioso”7In L. Arena, Antologia del Buddhismo Ch’an, Mondadori, 180
Bodhidharma
Bodhidharma

Le influenze Buddiste sulla Tradizione Cinese sono fatte risalire alla figura di Bodhidharma (India, 483 circa – Shaolin, 540), un monaco buddhista indiano, 28° patriarca del Buddhismo indiano secondo la tradizione Chan/Zen, appartenente alla corrente Mahayana, ed erede del Dharma, del maestro Prajñātāra.

Bodhidarma raggiunse la Cina e si stabilì nei pressi della capitale dell’epoca che era Luoyang, presso il monastero di Shaolin. Qui si narra che dopo 9 anni di meditazione insegnò ai monaci il sentiero marziale (che nei secoli si trasformò nella leggendaria imbattibilità dei monaci guerrieri buddisti di Shaolin) e un corpus di insegnamenti che rientrano sotto la definizione di Buddhismo Ch’an. Da questa scuola nasceranno poi in Giappone le diverse scuole di Buddhismo Zen.

In realtà molti aspetti propri al buddismo tantrico di origine Himalayana-Tibetana (Vajrayana o veicolo di Diamante) e della sua propaggine mongola sono fortemente presenti anche nel Taoismo, deponendo quindi a favore di un’influenza di queste correnti Buddhiste sulla Tradizione Cinese in toto, anche se mancano le testimonianze e le prove di un reale contatto.8Giovanni Filoramo (a cura di), Mario Piantelli, Ramon N. Prats, Erich Zürcher, Pier Paolo Del
Campana, Heinz Beckert, Martin Baumann, Buddhismo, Bari, Laterza, 2007, ISBN
978-88-420-8363-4

L’aceto è aceto: il Taoismo

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Il Dao di cui si può parlare non è l’eterno Dao.
I nomi che si possono nominare non sono nomi eterni.
Senza nome, l’origine di cielo e terra

Laozi, Daodejing, I

Definire il Taoismo risulta molto complicato, proprio perché il tentativo di catalogarlo come una religione da parte del Mondo Occidentale ha sviato in parte l’interpretazione dei suoi reali contenuti.

Innanzitutto il termine Taoismo (o Daoismo) si rifà appunto al termine Dao (o Tao), che, come detto prima è stato erroneamente paragonato al concetto di Dio come viene inteso nelle religioni monoteiste e in particolare in Occidente.

In realtà Tao esprime un concetto più complesso essendo al contempo il principio che abbraccia e comprende tutto l’Universo, gli esseri viventi, cielo, terra e sole ma è anche l’ente determinante tutti questi aspetti. È quindi il cardine dell’universo, la sorgente da cui scaturisce e a cui ritorna ogni cosa.

una delle cinque montagne sacre taoiste, fotografati nel 1935.
Monaci taoisti sul Monte Huashan una delle cinque montagne sacre taoiste, fotografati nel 1935.

Quindi il Tao, nella sua caratteristica di principio originario e ordinatore, trova molte similitudini con il concetto di Logos presocratico, di Uno Neoplatonico e nel suo significato di Via, intesa come Sentiero per il raggiungimento dell’armonia con il Tutto, anche con il concetto di Dharma proprio del Buddhismo.

La sua origine non è perfettamente riconducibile ad un personaggio, ad una rivelazione o ad un preciso momento storico. Infatti è più il risultato di un processo di evoluzione progressiva dei contenuti, partendo dalle Tradizioni Sciamaniche e Wu di difficile inquadramento cronologico, e di integrazione di messaggi e informazioni successive. E a tal proposito è interessante che sulla reale esistenza del principale autore Taoista – Laozi (o anche Lao Tzu) – tuttora si dibatte.

il Taoismo non ha né data né luogo di nascita

Isabelle Robinet9Storia del Taoismo dalle origini al XIV secolo, Ubaldini, p. 8

E a tal proposito per convenzione si fa risalire appunto a questo autore e al libro Daodejing (400 a.C. circa) “l’inizio” di questa tradizione. Il libro è una raccolta di pensieri di origine più antica, fino a quel momento tramandati soltanto oralmente, integrati da una serie di riflessioni a commento.

Il Tao di cui io parlerò non è l’eterno tao

Laozi

Una delle interpretazioni di questa frase, alla luce di altri passaggi del testo che ritornano su questo argomento, è che vi sia una dimensione dicibile del Tao che però non arriva a sfiorare la vera natura di esso, che per definizione sfugge a qualunque tentativo di “presa” mediante il discorso e il linguaggio.

Laozi
Laozi

Circa il significato del titolo:

  • Dao/Tao letteralmente ha il significato di “via”
  • De/Te traducibile con “virtù”
  • Jīng/Ching viene qui usato nei significati di canone o “grande libro” o “classico”

Nella cultura cinese il termine Taoismo copre tantissimi argomenti diversi, dal cosiddetto aspetto regolamentato, codificato dal Canone Taoista 10 Il Daozang, raccolta di almeno cinquemila testi che costituiscono la summa della letteratura taoista, raccolti tra il V e il VI secolo dopo Cristo. , che lo ha reso interpretabile come una religione, fino a concezioni di vita ascetiche e mistiche, totalmente avulse dal concetto di religione, finalizzate all’armonia con la natura.

Il simbolo principale, universalmente associato al Taosimo è il Taijitu, dove le controparti yin e yang sono rispettivamente di colore nero (o blu) la parte yin e di colore bianco (o rosso) la parte yang.

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L’Armonia e L’ Equilibrio con il Tutto, il Tao appunto, che è sia il Sentiero che la Meta, viene raggiunta tramite una “armonizzazione” esplicata nel concetto di “agire senza agire” (wei wu wei), cioè permettere il ritmo naturale delle cose, non deviare o forzare la spontaneità della natura, non imporre la propria volontà sopra l’organizzazione del mondo ma più che altro agire in armonia con la volontà organizzatrice superiore che è appunto il Tao.

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Da qui traspare un forte messaggio di essenzialità, di eliminazione del superfluo per cogliere l’aspetto più profondo delle cose, l’essenza appunto, attraverso un processo in cui il cardine sono la “naturalezza” e la “spontaneità”. Il tutto però non visto in un’ottica di lassismo o di accettazione passiva delle cose, ma tramite un intento attivo che è ricercabile soltanto nel profondo dell’essere umano, tramite un percorso evolutivo che porta il praticante stesso a eliminare tutto il superfluo.

Essere in accordo con il Tao, anzi, è muoversi negli interstizi, penetrando dunque l’esperienza sensoriale e attraverso (per mezzo) di essa passando oltre, in un percorso “positivo” che appare complementare – e opposto – a quello “negativo” Buddhista, ma che è essenzialmente identico. Così il macellaio del principe Wen-Hui, il cui coltello dopo diciannove anni è ancora perfettamente affilato, afferma nel Zuang-zi (Chuang Tzu), altra opera fondamentale del Taoismo:

Amo il Tao e così miglioro nella mia arte. All’inizio della mia carriera non vedevo che il bue. Dopo tre anni di pratica, non vedevo più il bue. Adesso è il mio spirito che opera, più che i miei occhi. I miei sensi non agiscono più, ma soltanto il mio spirito.  Conosco la conformazione naturale del bue e attacco solo gli interstizi. […] In verità, le giunture delle ossa hanno degli interstizi e il taglio del coltello non ha spessore. Colui che sa introdurre il filo della lama in quegli interstizi usa agevolmente il proprio coltello, perché si muove attraverso i vuoti. 11Zhuang-zi, III, Adelphi, pp. 35-36

Le mappe alchemiche

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La principale mappa alchemica di Mawangdui, grazie alla quale è stato possibile ricostruire i diagrammi delle pratiche di Qi Gong ritrovati nella tomba (vedi immagine successiva). Sull’interpretazione di questa mappa pubblicheremo degli approfondimenti molto presto.

Proprio perché si rivolge alla parte più interiore, profonda e spirituale la modalità comunicativa nel Taoismo è peculiare. Infatti non segue dinamiche lineari e i testi contengono molte metafore e poche reali indicazioni pratiche, ma sono orientate a portare il lettore ad uno stato di apertura in cui non è tanto l’intelletto a essere principalmente interessato ma altre modalità percettive più legate all’intuizione.

Il classico esempio di queste modalità sono le cosiddette Mappe Alchemiche, vere e proprie schematizzazioni grafiche intuitive di aspetti cosmogonici legati alla realtà che senza troppe spiegazioni inducono una lettura che trascende i normali processi elaborativi intellettuali.

A tal proposito basti pensare che moltissime informazioni fino a poco tempo fa sconosciute riguardo alle pratiche di lunga vita taoiste come il Tai Chi e il Qi gong sono state rinvenute negli anni settanta del secolo scorso con l’importantissima scoperta archeologica della tomba di Mawangdui del II secolo a. C.

In tale sito era stata sepolta la Marchesa di Dai, iniziata taoista di altissimo livello, e vi erano contenute numerose “mappe” e rappresentazioni riguardanti appunto questi aspetti e per gli studiosi ha segnato un punto di svolta nella possibilità di “riscoprire” il Taoismo sistematizzare le pratiche psicocorporee miranti a lavorare sul Qi (ovvero, come vedremo e approfondiremo nei prossimi articoli, sull’energia).

Sequenza di esercizi psicofisici proveniente dalla tomba di Mawangdui
Sequenza di esercizi psicofisici e respiratori proveniente dalla tomba di Mawangdui

L’alchimia e la ricerca dell’immortalità

Abbiamo nominato le mappe alchemiche taoiste e occorre dunque accennare, almeno per brevi capi, al concetto di Alchimia. L’Alchimia Taoista è una pratica spirituale finalizzata alla ricerca dell’immortalità, intesa non tanto in termini cronologici ma come ricerca di stati esperienziali estatici e mistici.

Il termine immortalità si è prestato a numerose interpretazioni e quello forse più completo è un superamento dei limiti del corpo fisico attraverso un lungo processo di manipolazione del corpo energetico in cui esso viene “trasmutato” in una forma più sottile e spirituale. L’essere umano in questo stato fisico e di coscienza “si eleva” fino a trascendere i limiti della dimensione spazio-temporale della sua incarnazione, che prevede la morte fisica (da qui la confusione con un concetto di immortalità intesa solo in senso letterale sul piano fisico).

Si possono distinguere due diverse tradizioni dell’Alchimia:

  • l’Alchimia Interna (Nei dan o cinabro interiore). Questa riguardava esclusivamente l’interiorità dell’essere umano, focalizzandosi esclusivamente su pratiche meditative e pratiche spirituali finalizzate al raggiungimento di stati di coscienza trascendenziali. L’Alchimia Interna si può considerare complementare al daoismo più liturgico, la sua parte più Esoterica e scevra di aspetti religiosi e dottrinali, una via non finalizzata al raggiungimento di uno scopo materiale ma più vicina ad una tecnica per aggiungere l’illuminazione.
  • l’Alchimia Esterna (Wai dan o cinabro esteriore) invece, poneva l’accento su tecniche più fisiche e materiali (quindi esterne) finalizzate alla trasformazione dei metalli in oro. Nella ricerca sul piano materiale della trasmutazione vi era un riflesso di quello stesso processo interiore ricercato dall’Alchimia Interna in cui l’uomo (metallo grezzo) attraverso processi successivi di purificazione e trasmutazione raggiunge uno stato superiore di purezza e quindi l’immortalità simboleggiato dall’oro.12Leonardo Vittorio Arena, L’innocenza del Tao: storia del pensiero cinese, Milano, Mondadori

Equilibrio e Armonia

I Tre Insegnamenti come uno
I Tre Insegnamenti come uno: Confucio porge Gautama Buddha in fasce a Laozi.

Da questa introduzione, riduttiva ma comunque necessaria per meglio comprendere il discorso che svilupperemo nei prossimi articoli, emerge come le tre principali Tradizioni alla base del pensiero cinese contengano degli elementi comuni e delle complementarietà che tradiscono le diverse influenze che nei millenni hanno esercitato reciprocamente.

Abbiamo già parlato delle apparenti divergenze e le sostanziali affinità tra Taoismo e Buddhismo, la cui naturale ibridazione produsse il Buddhismo Ch’an/Zen.

D’altro canto, in tutta la storia cinese compare una apparente contrapposizione anche tra Confucianesimo e Taoismo, l’uno caratterizzato da una sorta di visione razionale e “terrena” finalizzata all’armonia nella vita sociale, burocratica e statale; l’altro da uno stuolo di mistici, guaritori, sciamani e alchimisti miranti sempre all’armonia ma ad un aspetto più spirituale.

In realtà essi spiegano la vitalità della cultura cinese perché testimoniano il profondo abbraccio che li lega come principio della Terra e del Cielo insieme al Buddhismo, principio trasmutatore dell’Uomo, in un unico sistema dinamico. 13Lao Tzu, Tao Te Ching: il libro della virtù e della via, Moretti & Vitali, ISBN 88-7186-269-4Hua Ching Ni. La Via mistica del Tao. M.I.R. edizioni 1998. ISBN 88-86873-56-5
Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6 Georges Charles. Qi Gong ed energia vitale. Pratiche Taoiste di lunga vita. Edizioni Pendragon 2008. ISBN 978-88-8342-573-8

Laozi e Confucio
Laozi e Confucio

Infatti, la chiave interpretativa alchemica rivela come Confucianesimo e Taoismo possano rappresentarsi come il lato essoterico ed esoterico della stessa Tradizione, poggiando entrambi sulla preesistente tradizione sciamanica e della magia Wu di difficile inquadramento cronologico e di cui parleremo prossimamente.

Spesso il Confucianesimo ha rimproverato al Taoismo un certo grado di egoismo in quanto il Taoismo sarebbe distante dall’agire sociale e ricercherebbe per lo più la salvezza individuale, anche se nella ricerca individuale dell’Armonia con il Tutto vi è comunque una ricerca mirata al bene collettivo. Ma ancora, mentre per il Taoista il sovrano doveva raggiungere l’unione mistica con il Tao per ben governare, per il confuciano al sovrano bastava l’approvazione celeste e la appropriazione di virtù etico sociali.

Il confucianesimo dunque, rappresenta il lato pratico, sobrio, sociale della vita e del carattere del popolo cinese, bilanciato, in questo senso, dal taoismo, che rappresenta l’aspetto metafisico, mistico, artistico e allegro.14Invernizzi G., Analisi frattale della HRV e MTC, dall’intuizione alla ricerca, University of Milan, 2009, tesi non pubblicata 

A ben vedere, ci troviamo di fronte all’ennesima divergenza apparente. All’inizio dell’epoca Han, ad esempio, i letterati svilupparono la teoria, estremamente suggestiva anche ai nostri giorni, secondo la quale le semplici irregolarità di ordine etico provocano squilibri a livello cosmico. Il massimo rappresentante di questa corrente confuciana, fortemente influenzata dal taoismo, è Dong Zhongshu (179-104 a.C.), il quale afferma, ad esempio:

L’universo ha lo Yin e lo Yang, anche l’uomo ha lo Yin e lo Yang. Quando il Qi Yin dell’universo cresce, quello dell’uomo, conformemente, cresce anch’esso. Quando il Qi Yin dell’uomo cresce, anche il Qi Yin dell’universo può facilmente accordarsi a ciò e crescere anch’esso. Il loro Dao è unico. 15J. C. Cooper, Yin e Yang. L’armonia taoista degli opposti, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore

La visione alchemica di questo processo rivela quindi il profondo abbraccio che lega le due Tradizioni nell’anima popolare e, con l’integrazione della Tradizione Buddhista, spiega l’estrema vitalità a tuttora della cultura cinese.

Le tre Tradizioni infatti definiscono un sistema dinamico speculare ai tre principi cosmogonici della Terra del Cielo e dell’Uomo simbolizzati nelle antiche monete cinesi, in cui il Confucianesimo rappresenta l’ordine quadrato terrestre, il Taoismo l’ordine circolare celeste e il Buddhismo il principio di trasmutazione che li muove.

moneta-cinese

Il messaggio finale di ciascuna di queste tre tradizioni propone la via dell’Equilibrio come unica modalità per raggiungere uno stato di Armonia, manifestantesi al massimo livello nell’armonia con il Tutto. Tuttavia gli ambiti di consapevolezza sono molto diversi,  per cui nel Confucianesimo l’armonia è intesa in termini sociali e materiali mentre nel Taoismo è in termini più spirituali come Armonia con l’universo.

Alla luce di queste considerazioni è interessante notare come la Medicina Tradizionale Cinese tragga il cardine del suo impianto costitutivo, e cioè il concetto di Equilibrio e di Armonia, proprio da ciascuna delle tre Tradizioni considerate. In particolare la MTC ha ereditato dalle tre Tradizioni il concetto principe che guida tutte le sue modalità guaritive: pensare l’organismo malato come un sistema “squilibrato” che necessita di essere riarmonizzato.

Ma tutto questo, e su come la medicina “ufficiale” stia tentando di integrare questa visione, parleremo nei prossimi articoli.

Note[+]

Note
↑1 C. Moiraghi, Qi Gong, Fabbri editori 2002. ISBN 88-451-8009-3 Moiraghi. la via della Forza Interiore, trattato di energetica esperienziale cinese. Casa Editrice Meb 1995. ISBN 88-7669-490-0
↑2 Daodejing, XXIX, Feltrinelli,
↑3 Lao Tzu, Daodejing, LXIV, Feltrinelli,
↑4 Gautama Buddha, Nidānasūtra 124, 547b-548a
↑5 Impermanenza che comprende anche il concetto di io: “Il Buddhismo, forse anche nella sua primitiva formulazione, aveva sostenuto […] che non esiste un io permanente, un atman, un jiva, un purusa [tutti termini che indicano il sé, universale o individuale, nelle diverse tradizioni indiane, NdR]; ma non per questo sottraeva l’uomo alla responsabilità delle proprie azioni. Ciò che noi compiamo fruttifica; ogni pensiero, primo motore dell’azione, racchiude in sé l’esperienza passata e si proietta, così carico, nel pensiero seguente; la nostra personalità si riduce a un fluire perenne di elementi (dharma) in continuo moto condizionato; questo moto è dolore; la pace è nella cessazione di questo moto, il quale è arrestato dall’eliminazione del carma infetto; l’eliminazione avviene in virtù della disciplina morale e della conoscenza.” (G. Tucci, Storia della filosofia indiana, Laterza, pag. 52)
↑6 Cfr Laozi, XI: “Trenta raggi convergono in un mozzo:/grazie al suo vuoto abbiamo l’utilità del carro.”
↑7 In L. Arena, Antologia del Buddhismo Ch’an, Mondadori, 180
↑8 Giovanni Filoramo (a cura di), Mario Piantelli, Ramon N. Prats, Erich Zürcher, Pier Paolo Del
Campana, Heinz Beckert, Martin Baumann, Buddhismo, Bari, Laterza, 2007, ISBN
978-88-420-8363-4
↑9 Storia del Taoismo dalle origini al XIV secolo, Ubaldini, p. 8
↑10 Il Daozang, raccolta di almeno cinquemila testi che costituiscono la summa della letteratura taoista, raccolti tra il V e il VI secolo dopo Cristo.
↑11 Zhuang-zi, III, Adelphi, pp. 35-36
↑12 Leonardo Vittorio Arena, L’innocenza del Tao: storia del pensiero cinese, Milano, Mondadori
↑13 Lao Tzu, Tao Te Ching: il libro della virtù e della via, Moretti & Vitali, ISBN 88-7186-269-4Hua Ching Ni. La Via mistica del Tao. M.I.R. edizioni 1998. ISBN 88-86873-56-5
Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6 Georges Charles. Qi Gong ed energia vitale. Pratiche Taoiste di lunga vita. Edizioni Pendragon 2008. ISBN 978-88-8342-573-8
↑14 Invernizzi G., Analisi frattale della HRV e MTC, dall’intuizione alla ricerca, University of Milan, 2009, tesi non pubblicata 
↑15 J. C. Cooper, Yin e Yang. L’armonia taoista degli opposti, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore
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