Su internet circolano ormai moltissime infografiche che illustrano i benefici del meditare sotto l’aspetto fisiologico e mentale. Lo fanno spesso con qualche immagine stereotipata di tramonti o di cascate, volti sorridenti e corredandolo con qualche nuovo studio ‘scientifico’ sull’attività cerebrale dei meditanti – abbiamo visto, del resto, quanto gli studi scientifici raramente siano compresi per quello che vogliono dire e arrivino spesso di terza o quarta mano al lettore medio.
Leggo inoltre che grandi aziende hanno inserito la meditazione nelle attività per i dipendenti, in modo da ridurre i livelli di stress in azienda e aumentare la produttività. I maligni del Guardian sostengono che si tratti di un escamotage per non affrontare le reali cause dello stress sul posto di lavoro, ma tant’è.
Dopo qualche secolo di esaltazione dell’iperattività, di abusi alimentari e di sostanze eccitanti, sembra insomma che sedersi immobili e concentrarsi (o semplicemente pensare di non pensare) sia qualcosa di altrettanto cool quanto la dieta vegana e i rave salutisti, e che la sua immagine abbia perso le tinte austere con cui, ad esempio, l’ho conosciuta io.
Non rimpiango certo quelle tinte, che oggi appaiono un po’ bacchettone e scoraggianti. Tuttavia c’è qualcosa di caricaturale nell’euforia odierna, e cercherò di spiegarmi in questo articolo, conscio che la mia è solo una opinione tra le tante possibili.
Innanzitutto, come per lo Yoga – qui inteso per comodità “merceologica” come disciplina che comprende anche la pratica psicofisica – la gente vuole sapere se la meditazione fa male o la meditazione fa bene. Il problema è che la meditazione, come lo yoga, non fa nessuna delle due cose. Anzi, non fa proprio. Per lungo tempo – e forse in senso assoluto – la meditazione si occupa di dis-fare, e mi si perdoni il terribile gioco di parole.
Anche per questo mi trovo a volte in imbarazzo nel rispondere a persone che chiedono di partecipare alle lezioni di meditazione qui a Zénon. Spesso non sanno di cosa si tratti esattamente, ma sulla base delle notizie in loro possesso ritengono che possa risolvere i loro problemi. Qualcuno si sente ansioso, qualcuno è depresso, alcuni pensano di pensare troppo (e già questo è un doppio problema), e a volte la pratica meditativa viene suggerita loro dal medico – e d’altro canto non sempre, lo dico al di sopra di ogni sospetto (qui a Zénon ci sono dei medici), la prescrizione è effettuata con cognizione di causa.
Ebbene, di fronte a queste aspettative mi sento in tutta sincerità di invitare a provare prima con lo Yoga, o con il Qi Gong o con il Tai Chi (potrebbe essere anche altro, ma mi limito a quello che può offrire la casa), specificando che queste pratiche, per noi, significano anche meditazione. Il “rodaggio” con queste pratiche che contemplano una maggior integrazione degli aspetti corporei è anzi ormai una regola fissa qui a Zénon per accedere alle ore di meditazione, anche a costo di scontentare qualcuno.
Il motivo è che, a mio parere, iniziare con una pratica volta a disciplinare la mente per mezzo della mente significa spesso cercare di costruire una casa partendo dal tetto, con risultati a volte disastrosi, anche se in altri casi, in presenza di venditori particolarmente abili e incuranti, si riesce a convincere l’acquirente che le fondamenta non servono a niente.
Tuttavia, quanto abbiamo appena detto non è del tutto esatto: nella meditazione non si utilizza solo la mente, come potrebbe sembrare, perché la meditazione richiede dei prerequisiti psicofisici, tra cui la capacità di trovarsi a proprio agio in una (relativa) immobilità corporea rimanendo al tempo stesso rilassati.
Alcune tradizioni prescrivono la postura del loto o altre posture sedute tutt’altro che naturali per noi occidentali, che devono diventare “comode e stabili” (tale è la celebre definizione yogica della postura seduta). Altre forme di meditazione dinamica richiedono una certa scioltezza fisica che è profondamente diversa da quella di un ginnasta, perché deriva non dalla semplice flessibilità muscolare ma richiedono lo stesso stato di disponibilità mentale della meditazione “statica”.
Ma anche sedendo su una sedia senza troppe formalità, il punto più difficile è gestire il naturale dinamismo della mente, di cui il dinamismo corporeo è un sottoprodotto, così come la tendenza a saltare di pensiero in pensiero: tutto ciò può costituire un ostacolo insormontabile senza un’adeguata preparazione.
Scriveva Aurobindo:
L’attività normale della nostra mente è fatta in gran parte di un’agitazione disordinata, piena di sperpero e di energie sprecate in frettolosi tentativi, di cui appena una piccolissima parte è utile alle operazioni di una volontà padrona di sé stessa (si tratta, ben inteso, di sperpero dal nostro punto di vista, non secondo quello della Natura universale in cui tutto ciò che a noi sembra spreco serve gli scopi della sua economia). L’attività del nostro corpo è fatta di questa agitazione. 1Aurobindo, La sintesi dello Yoga, Ubaldini
Proprio per questo, prosegue Aurobindo nello stesso scritto, l’haṭhayoga 2A scanso di equivoci, con questo termine intendiamo qui – e lo intendeva Aurobindo – lo Yoga che prevede l’utilizzo di tecniche psicofisiche quali le principali sono āsana e prāṇāyāma. Quasi ogni forma di Yoga oggi praticato nelle palestre, a dispetto della varietà di etichette e delle varie elaborazioni didattiche, è riconducibile a questa tradizione, anche se a volte con profonde differenze che solo in parte abbiamo visto in Lo Yoga in una posizione. può essere una solida base di partenza, perché comincia ad affrontare il problema dall’altro bandolo della matassa, quello più facile da disciplinare.
Da notare anche che Aurobindo, la cui prospettiva di Yoga Integrale è molto vasta e articolata, non era esattamente un grandissimo estimatore dell’haṭhayoga, così come della meditazione, che riteneva mezzi utili solo temporaneamente, laddove in molte tradizioni sono considerate delle vie autosufficienti che possono condurre sulle più alte vette.
Mentre l’haṭhayoga permette infatti di drenare preliminarmente parecchie tensioni mentali attraverso il corpo in modo graduale e senza cadere nelle varie trappole della mente, la meditazione è molto più spesso una “cura da cavallo” che rischia di essere troppo drastica – o inutile- se affrontata da sola.
Durante la meditazione la mente si comporta infatti come un organismo sottoposto a un digiuno: ridotta o sospesa l’alimentazione (è il primo cibo disciplinato sono gli stimoli sensoriali), comincia a fare pulizia interna rigurgitando anche i contenuti sedimentati molto in profondità. Ammesso che la mente riesca a disciplinarsi in tale dieta, il rischio è che la mente finisca più spesso per ubriacarsi di sé stessa, piuttosto che smaltire la sbornia da iperattività a cui è normalmente soggetta.
Il problema non è tanto la quantità di materiale da smaltire, che paradossalmente potrebbe essere eliminato in un istante, ma la capacità di lasciare esaurire la sua produzione, dacché la mente non solo “contiene” ma “crea” in continuazione, allentando la reattività a agli stimoli (ne avevo parlato riguardo al concetto di rilassamento profondo in Dormire col demone che grida).
In questo bisogna arrivare già preparati quando ci si siede a meditare, altrimenti il gradino rischia di essere troppo alto. La mia, ripeto, è un’opinione, mentre altrettanto autorevoli fonti ritengono che basti la meditazione in sé (si veda ancora Lo Yoga in una posizione). Anche se questa contrapposizione è in ultima analisi relativa, ritengo che a favore della mia tesi ci siano parecchi argomenti troppo spesso sottovalutati.
Anche alla luce di tutto questo, la meditazione è da affrontare con cautela in caso di problematiche che turbano lo stato mentale. Anzi, a maggior ragione sconsiglio di meditare a tutti coloro che riferiscono di problematiche di stress, ansia, depressione o siano semplicemente già troppo inclini a rimuginare. Per questi ultimi, in particolare, la meditazione è l’ultima attività da intraprendere, in quanto li scollegherebbe ancora di più dalla realtà. Il che è ben diverso dal realizzare l’illusorietà del mondo fenomenico come formulato in molte tradizioni: significa anzi rimanere ancora più vittime delle illusioni della propria mente.
Insomma, la meditazione, anche e forse soprattutto nelle sue forme più “semplici” e a dispetto dell’aspetto “sexy” oggi attribuitole, può essere spesso una pratica molto frustrante. In molti casi, terribilmente noiosa. Non di rado, quando si hanno parecchi spettri nella bisaccia (che quasi mai sono noti o evidenti), può scatenare conflitti piuttosto violenti nel praticante.
Tuttavia, l’incontro con questa noia e con questa frustrazione, anche con questi conflitti, è un segnale in un certo senso positivo ed entro certe dosi è un passaggio necessario, perché significa che la pratica sta agendo il suo effetto. Peggio è ancora quando il praticante fin dall’inizio riferisce di esperienze meravigliose e di una pace intensa, perché spesso è il segnale che nessuna purga può scalfire la costipazione. Ho imparato a dubitare seriamente della salute mentale di chi si delizia dell’olio di ricino come di una prelibatezza, ma tra le varie disfunzioni alimentari esiste oggi di sicuro anche questa. Sempre che, ovviamente, l’amara medicina non sia stata contraffatta e depotenziata, come vedremo tra poco.
In ogni caso, il problema è: come avanzare oltre questa noia e questa frustrazione? Elenco alcune possibili vie pessimistiche. In un primo caso, piuttosto frequente, è molto facile l’abbandono di una strada ritenuta troppo difficile.
Un caso intermedio, ma non raro in alcune nicchie oggi come un tempo, è che al lassativo si sostituisca qualche sostanza psicotropa o qualche palliativo colorato (app per gli smartphone, palline fluorescenti, santini del guru e suggestioni emotive di varia natura) nell’illusione di tagliare per vie abbreviate.
Purtroppo, come ripeto sempre in questi casi, un somaro in LSD a cui appare lo Spirito Santo in persona rimane pur sempre un somaro, posto che il più delle volte lo Spirito Santo è un’ulteriore proiezione della sua mente più intossicata del consueto. Non si può pensare che l’esperienza abbia efficacia a prescindere dal livello di coscienza di chi la sperimenta, il che lo si conquista con un durissimo lavoro.
Ma spesso anche chi persevera non se la passa molto meglio. Abbiamo visto infatti generazioni di meditanti continuare la pratica senza grandi risultati, nella rassegnazione a rompersi discretamente le scatole, osservando i puntini comparire e scomparire all’orizzonte del loro personale Deserto dei Tartari, credendo di scorgervi ogni giorno i segnali di una svolta che non arriverà mai.
In quest’ultimo caso, la meditazione diventa come le famose cinque razioni di frutta e verdura da mangiare ogni giorno o la messa per il cristiano svogliato. E spesso questa noia è percepita quale giusta dose di sofferenza da accollarsi per salvarsi l’anima (o, nel gergo, per bruciare un po’ di karma), siccome ogni cosa che salvi l’anima è dolorosa (così almeno ci hanno detto).
Il primo e l’ultimo caso sono tipici – anche se non sempre – di quel particolare profilo di praticante che si dedica alla sola meditazione “seduta” ritenendo che le magagne del proprio corpo possano essere separate da quelle della propria mente (a onor del vero un giorno parleremo anche dei praticanti “esperti” di yoga che dopo molti anni non riescono a tollerare anche solo pochi istanti di inattività: è l’altro lato di una medaglia che si tenta sempre di scindere).
Insomma, la meditazione molto spesso e per molto tempo sembra accumulare sul tavolo i problemi, invece di risolverli.
Ma siamo sicuri di aver capito cosa sia la meditazione? A dire il vero, più passano gli anni e più confesso di avere idee felicemente sempre meno definite e sempre più sfocate sulla questione. È anche per questo che scrivere questo articolo mi ha creato parecchio imbarazzo, in quanto per necessità espressiva so di aver usato alcuni stereotipi e dando parecchio per scontato.
Le persone che si informano su un corso di meditazione vogliono sapere quale tipo di meditazione si faccia, se è “statica” o “dinamica”, sciamanica, cristiana, buddhista, laica o trascendentale, insomma vogliono sapere che cosa aspettarsi da quell’oretta alla settimana e di poterlo inquadrare in base alle etichette correnti. Il che, in un certo senso, è del tutto comprensibile dal punto di vista di un acquirente che poco si fida della scatola chiusa, e in molti casi fa bene.
Ma qui si rivela quanto la meditazione poco si concili con le categorie merceologiche. Il più grande equivoco è infatti dare per scontato che la meditazione sia quel qualcosa che “si fa” quando si “decide” di meditare, il che, come vedremo nel seguito di questo articolo, non è per nulla scontato, dacché pensare di fare e di decidere, o connotare con qualche colorante folkloristico significa rimanere ancora intrappolati ben prima del nodo da sciogliere.
Moltissime tradizioni che hanno tenuto in gran conto la meditazione, del resto, hanno anche detto che meditare è inutile. Non soltanto nel senso che non dev’esserci aspettativa di vantaggio alcuno – il che poco di concilia con la meditazione per aumentare la produttività, o anche per migliorare la concentrazione o ridurre lo stress. Molte tradizioni affermano infatti da un lato che meditare è la via, dall’altro che meditare è controproducente.
Ma allora cos’è la meditazione e perché tutte queste contraddizioni? Per amor di sintesi, e per non aggiungere per ora troppa carne al fuoco, affronteremo l’argomento nel prossimo articolo.
Ti potrebbero interessare anche
Note
↑1 | Aurobindo, La sintesi dello Yoga, Ubaldini |
---|---|
↑2 | A scanso di equivoci, con questo termine intendiamo qui – e lo intendeva Aurobindo – lo Yoga che prevede l’utilizzo di tecniche psicofisiche quali le principali sono āsana e prāṇāyāma. Quasi ogni forma di Yoga oggi praticato nelle palestre, a dispetto della varietà di etichette e delle varie elaborazioni didattiche, è riconducibile a questa tradizione, anche se a volte con profonde differenze che solo in parte abbiamo visto in Lo Yoga in una posizione. |
Daniela dice
Mi inchino
Paola dice
Articolo coraggioso; dovendo usare parole e concetti per qualcosa che è “pratica”…chapeau!
Luca Silvestri dice
Direi articolo ben fatto, onesto e con un senso di realtà che raramente si trova , mi è piaciuto, ho meditato e sono contento! Luca
Silvia dice
Grazie ? Silvia
giorgio mazzolini dice
attendo il prossimo articolo con interesse