• Skip to primary navigation
  • Skip to main content
Zénon Yoga Novara

Zénon Yoga Novara

  • Home
  • Corsi
    • Tutti i corsi e gli orari
    • Yoga
      • Yoga (lezioni collettive)
      • Respirazione – Pranayama
      • Tandava
    • Yoga in gravidanza
    • Attività Post Parto: yoga e allenamento funzionale
    • Qi Gong e Taijiquan
    • Functional Training
    • Meditazione
  • Eventi
  • Chi siamo
  • Blog
  • Contatti

wei wu wei

Articoli    Taoismo

Sebbene illuminato, apparir come scemo: è questo il segreto essenziale

29 Agosto 2020 di Francesco Vignotto


Mi è capitato per caso di incontrare la sentenza che appare come titolo a questo articolo, mentre leggevo una vecchia traduzione del Tao Te Ching (Daodejing) attribuito al ritroso Lao Tsu (la leggenda narra che lo compose perché vi fu costretto, per pagare pegno a un doganiere).

La sentenza è contenuta nel capitolo 27, intitolato ch’iao yung (letteralmente “(della) furbizia (l’)uso” o anche “L’uso dell’abilità”) e la traduzione è quella, meravigliosa per la sua lingua ‘alta’ eppure a tratti estremamente diretta, del sinologo Alberto Castellani, risalente al 1927. È in assoluto la prima versione in italiano dell’opera e proprio in questo capitolo differisce in maniera sostanziale da tutte le altre traduzioni da me consultate.

Il nostro Castellani ammette la licenza giustificandola con una maggiore fedeltà alla prospettiva taoista nel suo complesso, interpretazione che come vedremo ha qualche freccia al proprio arco, anche se non ho competenze per stabilire quanto sia plausibile sul piano filologico. Tuttavia, è abbastanza affascinante da meritare una lettura. Entriamo dunque nel testo.

La prima parte del capitolo, in realtà, non si discosta dalle traduzioni canoniche:

Un buon camminator non lascia impronte
buon parlatore non offende alcuno
buon contator non bisogna di macchine da conti
buon serrator non adopra né sbarre né contrafforti
eppure è impossibile aprire
buon legator non adopra né corde né nodi
eppure è impossibile sciorre

“Esiste nel mondo un’azione invisibile che ha spesso più valore di quella visibilmente professata” commenta Castellani. Ed è l’azione – o meglio la non-azione – di chi si muove in armonia con il Tao. A differenza di altri, il nostro traduttore legge l’intero capitolo – dato che ci servirà anche in seguito – in chiave polemica con la dottrina di Confucio (di cui Castellani stesso tradusse i Dialoghi), il quale assieme a Lao Tsu (semmai quest’ultimo sia realmente esistito) visse in tempi di decadenza politica e sociale, e come Lao Tsu si appellava alla saggezza degli antichi.

Ma se Lao Tsu guardava ai regnanti dell’epoca d’oro, era per risalirne all’estrema essenza che può prescindere da qualunque orpello (il progressus ad originem che coincide con il regressus ad futurum, come rappresenterà con meraviglioso umorismo Bohumil Hrabal in Una solitudine troppo rumorosa); Confucio, dal canto suo, cercava di ritornare all’antica perfezione attraverso l’ortodossia formale e l’azione esteriore.

Questa premessa ci serve per comprendere meglio i passaggi successivi del nostro capitolo 27, dove il nostro traduttore esce decisamente dal coro. Diverse traduzioni, infatti, descrivono qui il saggio intento ‘attivamente a salvare il mondo’ senza mai respingere alcuno che chieda il suo aiuto; l'”uomo non buono” è anzi materiale di formazione per l’uomo buono, e il capitolo si conclude, un po’ catechisticamente, con l’invito a onorare il proprio maestro.

Ebbene, forse è proprio per lo stridore con il Lao Tsŭ, maestro dell’arretrare e del non-agire, che emerge dal resto del Tao Te Ching – oltre che dall’incipit del capitolo stesso – che trovo affascinante la versione eterodossa del Castellani, il quale interpreta sarcasticamente i versi successivi come una disamina del saggio Confuciano, condannato a rincorrere gli eventi e le persone (e per questo a dipendere da essi), nel tentativo di plasmare il mondo, che altrove (cap. 29) Lao Tsŭ descrive come un recipiente sacro, un meccanismo delicato che non si può cambiare, pena guastarlo:

indi il saggio che sempre trova bello salvare gli umani
per ciò non respinge gli umani
che sempre trova bello salvare le cose
per ciò non respinge le cose
ciò si chiama offuscare la luce

E ancora:

per questo l’uomo bono
non trova bello il farsi maestro degli altri
ma l’uomo non bono
trova ch’è bello il materiale degli altri
non dare prezzo d’essere il loro maestro
non amare di perderli come materiale

Chi si muove in armonia con il Tao è spesso descritto (cap. 66 ma anche 8) come il fiume che domina la valle proprio perché dimora nei luoghi più bassi che gli altri uomini aborrono (ma attenzione: domina proprio perché non possiede una persona (cap. 13)), come colui che governa senza che i governati ne avvertano la mano, tanto che può esclamare (cap 57): “Io non faccio eppur la gente da se stessa si trasforma/io sto calmo eppur la gente da se stessa si corregge”.

E dunque è proprio così che la sentenza finale del nostro capitolo 27 cade come una ghigliottina, non come un invito a tenere per sé segreti che potrebbero far perdere la propria posizione di vantaggio, ma indicando forse l’unica via per essere davvero utili a sé stessi e a questo mondo:

sebbene illuminato apparir come scemo
è questo il segreto essenziale

Ogni riferimento e ogni spunto di riflessione relativi all’oggi, è caldamente raccomandato a chi ha orecchie per intendere.


RIFERIMENTI

Lao Tse, La regola celeste, a cura di Alberto Castellani, Firenze, Sansoni Editore, 1990, ristampa anastatica della prima edizione del 1927. (Nota: nel testo di questo articolo abbiamo mantenuto la lettura Lao Tsŭ (trascrizione Wade), utilizzata nel volume di Castellani, nonostante in copertina l’editore abbia preferito la lettura Lao Tse).

Sui rapporti tra Confucianesimo, Taoismo e Buddhismo, le tre tradizioni che convissero nella Cina classica, aveva già scritto a suo tempo Marco Invernizzi, in un articolo intitolato proprio Il mondo è un recipiente sacro e non si può governare, ma anche sì.

Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa, Torino, Einaudi.

POST SCRIPTUM

L’immagine di copertina non è Albert Einstein, bensì John Malkovich.

Leggi

Articoli    Taoismo

highlights    Medicina cinese    Tai Chi Chuan    Taoismo

Il mondo è un recipiente sacro e non si può governare

30 Ottobre 2014 di Marco Invernizzi


Con un ringraziamento a Francesco Vignotto per il lavoro editoriale svolto su questo articolo.

Che sapore ha l’aceto?

Tre uomini sono riuniti attorno a un barile di aceto. Ognuno ne ha appena assaggiato il contenuto ed esprime le proprie impressioni. Il primo ha un’espressione di disappunto, il secondo di amarezza, e il terzo infine sorride.

I tre saggi sono, nell’ordine, Confucio, Buddha e Laozi, ovvero i rappresentanti delle tre correnti principali della Tradizione Cinese, nella quale l’episodio è un tema molto ricorrente e che è qui molto bene esplicitato da questa vignetta:

confucio-buddha-laozi-ita

L’aceto simboleggia la vita e i tre saggi sembrano avere atteggiamenti contrastanti: per Confucio occorre correggerne il degrado dalla corretta via del passato; per Buddha è caratterizzata inevitabilmente dal dolore e l’unica via di scampo è abbandonare ogni attaccamento; per Laozi, infine, anche attraverso il sapore al tempo stesso acido e amaro dell’aceto è possibile esperire l’armonia celeste.

L’episodio è in apparenza “di parte” e decisamente a favore del Taoismo (cioè la tradizione rappresentata da Laozi) a discapito delle altre due tradizioni, soprattutto perché, come vedremo, le altre due tradizioni, qui forse eccessivamente stilizzate, in realtà non sono così in disaccordo con Laozi.

Laozi, Confucio e Buddha

Tuttavia, secondo una delle interpretazioni del celebre dipinto, siccome i tre Maestri sono riuniti attorno allo stesso barile, i Tre Insegnamenti sono in realtà uno solo, un contenuto unico ma al contempo dinamico che ha animato e anima discipline come il Tai Chi Chuan, il Qi gong, la Medicina Tradizionale Cinese e il Buddhismo C’han (che in Giappone diventerà Zen).

L’affermazione, la negazione e la sintesi; l’esperienza dell’azione rituale, l’esperienza del Vuoto e quella delle Presenze (necessaria per percepire il vuoto): l’unione di questi tre aspetti ha reso e rende tuttora, anche se molto meno “visibile”, la Tradizione Cinese una delle più ricche e dinamiche vie all’interno delle varie Tradizioni su questo pianeta.1C. Moiraghi, Qi Gong, Fabbri editori 2002. ISBN 88-451-8009-3 Moiraghi. la via della Forza Interiore, trattato di energetica esperienziale cinese. Casa Editrice Meb 1995. ISBN 88-7669-490-0

Un particolare in apparenza curioso è che l’Alchimia, ovvero la via della Trasmutazione, in Cina si sviluppò proprio in seno al Taoismo, il quale sembrerebbe invitare ad accettare il mondo così com’è:

Vorresti afferrare il mondo e cambiarlo?
Io vedo che non è possibile.
Il mondo è un recipiente sacro: non si può cambiare.
Coloro che lo cambiano lo rovinano,
coloro che lo afferrano lo perdono

Laozi2Daodejing, XXIX, Feltrinelli,

Questo paradosso – anch’esso apparente – racchiude un insegnamento molto profondo e ci invita a varcare il confine tra il livello letterale e quello nascosto di questa tradizione. Se esiste un ordine celeste che respira attraverso i pori di tutta la realtà sensibile, quest’ordine – visto da qui – assomiglia molto al caos e non può che essere espresso per paradossi e con un forte senso dello humor: tale appare il sapore aspro dell’aceto, se lo si considera quale corruzione del vino.

Ma per poter agire senza spezzare il “recipiente sacro” del mondo (o più probabilmente esserne spezzati), occorre innanzitutto  assecondare quest’ordine non opponendo resistenza. Allora la propria volontà perde ogni connotato egoico (Il saggio non ha una mente propria […] e fa della turbolenza del mondo la propria mente3Lao Tzu, Daodejing, LXIV, Feltrinelli,) e l’azione è tale quale alla non-azione (wei wu wei). A quel punto, non può incontrare ostacolo alcuno:

Il cielo dura e la terra permane.
La ragione per cui cielo e terra
possono durare e permanere
è che non vivono per sé stessi;
perciò possono vivere a lungo.
Per questo il saggio si tira indietro
e viene a trovarsi davanti,
si esclude, ma rimane presente.
Non è forse perché non ha fini personali
che può realizzare i suoi fini personali?

Laozi, Tao Te Ching (Daodejing), VII

Tuttavia sbaglieremmo – lo ripetiamo – a voler circoscrivere tutto questo al solo Taoismo. Come vedremo in questo articolo,  anche questa esperienza, dev’essere letta alla luce dei Tre Insegnamenti, che rappresentano i tre principi necessari perché la trasformazione non rimanga bella teoria. Per questo vogliamo iniziare un viaggio che sicuramente non riuscirà a toccare tutti i temi e gli intrecci tra Buddhismo, Confucianesimo e Taoismo, ma che speriamo riesca a far emergere il disegno di fondo.

L’aceto è guasto: il Confucianesimo

Kongfuzi (551-479 a.C.), conosciuto anche come “Maestro Kong” o Confucio in Occidente è il fondatore del Confucianesimo. Questa Tradizione si fonda sui principi di un’etica individuale e sociale basata sul senso di rettitudine e giustizia, sull’importanza dell’armonia nelle relazioni sociali e nel vissuto quotidiano.

Q Confucius Rockbund Art Museum 4
Una bizzarra e gigantesca rappresentazione di Confucio dell’artista contemporaneo cinese Zhang Huan.

Il Confucianesimo quindi esplica i suoi fondamenti principalmente in ambito sociale, familiare e statale, fornendo delle norme etiche e rituali ereditate dall’antichità che hanno lo scopo di generare armonia nei rapporti umani che rifletta quella delle dinamiche Universali. Viene data inoltre quindi molta importanza allo studio, alla riflessione e al miglioramento in generale di sé e del prossimo sempre col fine di promuovere Ordine e Armonia.

Nella sua opera principale, I dialoghi, Confucio si presenta come “un messaggero che nulla ha inventato”, impegnato solo a trasmettere la sapienza degli antichi.

Inizialmente il suo pensiero, più che una Tradizione era un invito a riflettere su se stessi (microcosmo) e quindi di riflesso sul mondo inteso nella sua universalità (macrocosmo). Solo in seguito, principalmente ad opera dei suoi discepoli, di cui il principale era suo nipote Zi Si, vi fu la codifica di un vero e proprio corpus filosofico basato principalmente su di un sistema rituale e una dottrina morale e sociale, che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina, in un’epoca di profonda corruzione e di gravi sconvolgimenti politici.

Confucius02

Confucio non volle mai, invece, trattare questioni soprannaturali o che trascendessero l’esperienza umana, limitandosi ad aspetti più “concreti” e legati alla vita di tutti i giorni. Per questo motivo il Confucianesimo rapidamente diventò il cuore del sistema educativo cinese, e numerose importanti figure del confucianesimo come Mencio e Xunzi svilupparono questa dottrina nei secoli sul piano etico, sociale e politico.

Il confucianesimo penetrò quindi profondamente nel sistema di pensiero dei cinesi e dei loro statisti, divenendo il pensiero politico dominante, raramente messo in discussione fino agli inizi del XX secolo; tuttavia per le caratteristiche descritte in precedenza, tra cui il relativo disinteresse per il sovrannaturale, risulta difficile inquadrarla come una religione.

Interpretando le basi concettuali di questa Tradizione come il rapporto macro-microcosmo, lo stimolo alla riflessione e la ricerca dell’Armonia all’interno e al di fuori di sé, si notano molti rimandi ed elementi comuni al Taoismo e alla tradizione Induista. Per questo motivo, come vedremo in seguito per le altre due grandi Tradizioni cinesi, l’apporto reale del solo Confucianesimo alla Tradizione Cinese risulta difficilmente quantificabile, e soprattutto sarebbe riduttivo se analizzato come slegato dalle altre due.

L’aceto è amaro: il Buddhismo

Monaci buddhisti a Zhengzhou, foto di Steve McCurry
Monaci buddhisti a Zhengzhou, foto di Steve McCurry

Il Buddhismo è una delle religioni più antiche e più diffuse al mondo, una religione piuttosto originale in quanto non si fonda sulla fede in un Dio, bensì su una via per raggiungere la liberazione, la buddhi, ovvero l’illuminazione, “attraverso la quale si arriva a prendere atto della realtà, quale risultato di un intreccio di elementi che si condizionano reciprocamente”.

Con il termine Buddhismo intendiamo l’insieme di dottrine e di pratiche che originò  dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, il Buddha storico vissuto tra il VI e il V secolo avanti Cristo in India. Di famiglia nobile e molto ricca, all’età di 29 anni Siddharta venne a contatto con la sofferenza umana durante una visita fuori dall’ambiente protetto della reggia paterna.

Decise allora di abbandonare la famiglia (tra cui moglie e figlio) e di rifiutare ogni ricchezza per dedicarsi alla vita meditativa e trovare una soluzione al problema del dolore che accompagna l’esistenza, alla ricerca di una via per la liberazione dal ciclo di cause-effetto che da sofferenza genera inevitabilmente sofferenza.

Siddharta Gautama definì in seguito questo ciclo coproduzione condizionata, ovvero interdipendenza dei fenomeni, “perché esiste quello, esiste questo”.4Gautama Buddha, Nidānasūtra 124, 547b-548a Il Buddha elencò dodici cause, ognuna delle quali genera la successiva quale effetto:

  1. L’ignoranza genera i
  2. coefficienti karmici (ovvero la traccia delle azioni passate), che generano
  3. la coscienza, che genera
  4. nome e forma, che generano
  5. i sei sensi, che generano
  6. il contatto, che genera
  7. la sensazione, che genera
  8. la brama, che genera
  9. l’attaccamento, che genera
  10. l’esistenza, che genera
  11. la nascita, che genera
  12. vecchiaia, morte, tristezza e sofferenza
buddha_sky_2_by_hanciong-d6cctvq

Nella sua ricerca, Siddharta Gautama sperimentò molte dottrine e praticò anche forme di ascetismo estremo. Tuttavia a suo parere nessuna di queste vie offrivano una reale liberazione. Con estrema finezza, Siddharta individuava anche nelle vie allora codificate e nella rinuncia alla vita mondana una forma di attaccamento all’io, una brama, un seme che rimetteva in moto la catena delle cause e degli effetti e provocava la ricaduta nel ciclo che genera sofferenza.

Continuando quindi nella sua ricerca di una ‘via di mezzo’, all’età di 35 anni, dopo sette giorni intenso raccoglimento, Siddharta Gautama conseguì l’illuminazione ed entrò nel Nirvana – ovvero la “condizione di incondizionato”.

Alla base del suo insegnamento vi sono le “Quattro Nobili Verità” e l’Ottuplice Sentiero, enunciati nel famoso Discorso della messa in moto della ruota del Dharma, che qui esponiamo molto in sintesi:

  1. La verità del dolore: tutti gli aggregati fisici e mentali sono soggetti a nascita, vecchiaia, malattia, morte, unione con ciò che è spiacevole e distacco da ciò che è piacevole.
  2. La verità dell’origine del dolore: l’origine è l’attaccamento a ciò che è impermanente e che quindi genera inevitabilmente sofferenza.
  3. La verità della cessazione del dolore: è la cessazione (nirodha) della brama, abbandonando l’attaccamento a ciò che è solo provvisorio.
  4. La verità della via che conduce alla cessazione del dolore: è la “via di mezzo” che rifugge “i due estremi”, non indulgendo nei piaceri sensoriali, ma nemmeno abbracciando la “l’automacerazione, dolorosa, ignobile, senza profitto”. La via consiste nell’Ottuplice sentiero: retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione.

Questa breve esposizione non fa giustizia della sterminata complessità che assunse questa dottrina nei millenni successivi, diffondendosi in tutta l’Asia e anche, a partire dal XIX secolo, in Occidente. Ci aiuta a comprendere meglio l’espressione amara del Buddha nei confronti dell’aceto: la vita, secondo il Buddhismo, è dominata dalla sofferenza.

"Grasso come un Buddha": in realtà il personaggio grasso e ridente che ricorre spesso nell'arte popolare cinese non è il Buddha Siddharta Gautama, ma il Budai
“Grasso come un Buddha”: in realtà il personaggio grasso e ridente che ricorre nell’arte popolare cinese e giapponese non è il Buddha Siddharta Gautama, ma il Budai. Probabilmente in origine il Budai fu una divinità folkloristica, ma successivamente fu inglobato nel Buddhismo, nel Taoismo e nello Shintoismo.

Tuttavia occorre sottolineare che il Buddhismo è tutt’altro che una visione pessimista e – come abbiamo visto – rifugge l’estremismo ascetico: ricordiamo che, al di fuori dell’episodio dei Tre Saggi, il Buddha è generalmente rappresentato sorridente, un’espressione di sereno distacco più che di amara rinuncia. La causa principale della sofferenza, infatti, è l’ignoranza della sua vera natura, ovvero l’attaccamento a ciò che è impermanente.5Impermanenza che comprende anche il concetto di io: “Il Buddhismo, forse anche nella sua primitiva formulazione, aveva sostenuto […] che non esiste un io permanente, un atman, un jiva, un purusa [tutti termini che indicano il sé, universale o individuale, nelle diverse tradizioni indiane, NdR]; ma non per questo sottraeva l’uomo alla responsabilità delle proprie azioni. Ciò che noi compiamo fruttifica; ogni pensiero, primo motore dell’azione, racchiude in sé l’esperienza passata e si proietta, così carico, nel pensiero seguente; la nostra personalità si riduce a un fluire perenne di elementi (dharma) in continuo moto condizionato; questo moto è dolore; la pace è nella cessazione di questo moto, il quale è arrestato dall’eliminazione del carma infetto; l’eliminazione avviene in virtù della disciplina morale e della conoscenza.” (G. Tucci, Storia della filosofia indiana, Laterza, pag. 52)

E qui, come vedremo in seguito, i punti di contatto con il Taoismo sono molteplici, in primo luogo il concetto Vacuità (Sunyata) quale vera realtà che trascende tutti i fenomeni impermanenti, e che proprio per l’affinità con il Tao 6Cfr Laozi, XI: “Trenta raggi convergono in un mozzo:/grazie al suo vuoto abbiamo l’utilità del carro.” trovò un terreno molto ricettivo nella Cina antica, così come la percezione che di un ordine che unisce ciò che in apparenza è dissimile.

Neve copiosa in tazze d’argento,
aironi celati dalla luna splendente;
cose dissimili nell’affine
la confusione è il luogo della conoscenza.

Pao-ching san-mei ko, “Poema del Samadhi dello specchio prezioso”7In L. Arena, Antologia del Buddhismo Ch’an, Mondadori, 180
Bodhidharma
Bodhidharma

Le influenze Buddiste sulla Tradizione Cinese sono fatte risalire alla figura di Bodhidharma (India, 483 circa – Shaolin, 540), un monaco buddhista indiano, 28° patriarca del Buddhismo indiano secondo la tradizione Chan/Zen, appartenente alla corrente Mahayana, ed erede del Dharma, del maestro Prajñātāra.

Bodhidarma raggiunse la Cina e si stabilì nei pressi della capitale dell’epoca che era Luoyang, presso il monastero di Shaolin. Qui si narra che dopo 9 anni di meditazione insegnò ai monaci il sentiero marziale (che nei secoli si trasformò nella leggendaria imbattibilità dei monaci guerrieri buddisti di Shaolin) e un corpus di insegnamenti che rientrano sotto la definizione di Buddhismo Ch’an. Da questa scuola nasceranno poi in Giappone le diverse scuole di Buddhismo Zen.

In realtà molti aspetti propri al buddismo tantrico di origine Himalayana-Tibetana (Vajrayana o veicolo di Diamante) e della sua propaggine mongola sono fortemente presenti anche nel Taoismo, deponendo quindi a favore di un’influenza di queste correnti Buddhiste sulla Tradizione Cinese in toto, anche se mancano le testimonianze e le prove di un reale contatto.8Giovanni Filoramo (a cura di), Mario Piantelli, Ramon N. Prats, Erich Zürcher, Pier Paolo Del
Campana, Heinz Beckert, Martin Baumann, Buddhismo, Bari, Laterza, 2007, ISBN
978-88-420-8363-4

L’aceto è aceto: il Taoismo

01-tai-chi-symbol

Il Dao di cui si può parlare non è l’eterno Dao.
I nomi che si possono nominare non sono nomi eterni.
Senza nome, l’origine di cielo e terra

Laozi, Daodejing, I

Definire il Taoismo risulta molto complicato, proprio perché il tentativo di catalogarlo come una religione da parte del Mondo Occidentale ha sviato in parte l’interpretazione dei suoi reali contenuti.

Innanzitutto il termine Taoismo (o Daoismo) si rifà appunto al termine Dao (o Tao), che, come detto prima è stato erroneamente paragonato al concetto di Dio come viene inteso nelle religioni monoteiste e in particolare in Occidente.

In realtà Tao esprime un concetto più complesso essendo al contempo il principio che abbraccia e comprende tutto l’Universo, gli esseri viventi, cielo, terra e sole ma è anche l’ente determinante tutti questi aspetti. È quindi il cardine dell’universo, la sorgente da cui scaturisce e a cui ritorna ogni cosa.

una delle cinque montagne sacre taoiste, fotografati nel 1935.
Monaci taoisti sul Monte Huashan una delle cinque montagne sacre taoiste, fotografati nel 1935.

Quindi il Tao, nella sua caratteristica di principio originario e ordinatore, trova molte similitudini con il concetto di Logos presocratico, di Uno Neoplatonico e nel suo significato di Via, intesa come Sentiero per il raggiungimento dell’armonia con il Tutto, anche con il concetto di Dharma proprio del Buddhismo.

La sua origine non è perfettamente riconducibile ad un personaggio, ad una rivelazione o ad un preciso momento storico. Infatti è più il risultato di un processo di evoluzione progressiva dei contenuti, partendo dalle Tradizioni Sciamaniche e Wu di difficile inquadramento cronologico, e di integrazione di messaggi e informazioni successive. E a tal proposito è interessante che sulla reale esistenza del principale autore Taoista – Laozi (o anche Lao Tzu) – tuttora si dibatte.

il Taoismo non ha né data né luogo di nascita

Isabelle Robinet9Storia del Taoismo dalle origini al XIV secolo, Ubaldini, p. 8

E a tal proposito per convenzione si fa risalire appunto a questo autore e al libro Daodejing (400 a.C. circa) “l’inizio” di questa tradizione. Il libro è una raccolta di pensieri di origine più antica, fino a quel momento tramandati soltanto oralmente, integrati da una serie di riflessioni a commento.

Il Tao di cui io parlerò non è l’eterno tao

Laozi

Una delle interpretazioni di questa frase, alla luce di altri passaggi del testo che ritornano su questo argomento, è che vi sia una dimensione dicibile del Tao che però non arriva a sfiorare la vera natura di esso, che per definizione sfugge a qualunque tentativo di “presa” mediante il discorso e il linguaggio.

Laozi
Laozi

Circa il significato del titolo:

  • Dao/Tao letteralmente ha il significato di “via”
  • De/Te traducibile con “virtù”
  • Jīng/Ching viene qui usato nei significati di canone o “grande libro” o “classico”

Nella cultura cinese il termine Taoismo copre tantissimi argomenti diversi, dal cosiddetto aspetto regolamentato, codificato dal Canone Taoista 10 Il Daozang, raccolta di almeno cinquemila testi che costituiscono la summa della letteratura taoista, raccolti tra il V e il VI secolo dopo Cristo. , che lo ha reso interpretabile come una religione, fino a concezioni di vita ascetiche e mistiche, totalmente avulse dal concetto di religione, finalizzate all’armonia con la natura.

Il simbolo principale, universalmente associato al Taosimo è il Taijitu, dove le controparti yin e yang sono rispettivamente di colore nero (o blu) la parte yin e di colore bianco (o rosso) la parte yang.

2000px-Yin_yang.svg

L’Armonia e L’ Equilibrio con il Tutto, il Tao appunto, che è sia il Sentiero che la Meta, viene raggiunta tramite una “armonizzazione” esplicata nel concetto di “agire senza agire” (wei wu wei), cioè permettere il ritmo naturale delle cose, non deviare o forzare la spontaneità della natura, non imporre la propria volontà sopra l’organizzazione del mondo ma più che altro agire in armonia con la volontà organizzatrice superiore che è appunto il Tao.

zhuang-zi

Da qui traspare un forte messaggio di essenzialità, di eliminazione del superfluo per cogliere l’aspetto più profondo delle cose, l’essenza appunto, attraverso un processo in cui il cardine sono la “naturalezza” e la “spontaneità”. Il tutto però non visto in un’ottica di lassismo o di accettazione passiva delle cose, ma tramite un intento attivo che è ricercabile soltanto nel profondo dell’essere umano, tramite un percorso evolutivo che porta il praticante stesso a eliminare tutto il superfluo.

Essere in accordo con il Tao, anzi, è muoversi negli interstizi, penetrando dunque l’esperienza sensoriale e attraverso (per mezzo) di essa passando oltre, in un percorso “positivo” che appare complementare – e opposto – a quello “negativo” Buddhista, ma che è essenzialmente identico. Così il macellaio del principe Wen-Hui, il cui coltello dopo diciannove anni è ancora perfettamente affilato, afferma nel Zuang-zi (Chuang Tzu), altra opera fondamentale del Taoismo:

Amo il Tao e così miglioro nella mia arte. All’inizio della mia carriera non vedevo che il bue. Dopo tre anni di pratica, non vedevo più il bue. Adesso è il mio spirito che opera, più che i miei occhi. I miei sensi non agiscono più, ma soltanto il mio spirito.  Conosco la conformazione naturale del bue e attacco solo gli interstizi. […] In verità, le giunture delle ossa hanno degli interstizi e il taglio del coltello non ha spessore. Colui che sa introdurre il filo della lama in quegli interstizi usa agevolmente il proprio coltello, perché si muove attraverso i vuoti. 11Zhuang-zi, III, Adelphi, pp. 35-36

Le mappe alchemiche

Mawangdui_silk_banner_from_tomb_no1
La principale mappa alchemica di Mawangdui, grazie alla quale è stato possibile ricostruire i diagrammi delle pratiche di Qi Gong ritrovati nella tomba (vedi immagine successiva). Sull’interpretazione di questa mappa pubblicheremo degli approfondimenti molto presto.

Proprio perché si rivolge alla parte più interiore, profonda e spirituale la modalità comunicativa nel Taoismo è peculiare. Infatti non segue dinamiche lineari e i testi contengono molte metafore e poche reali indicazioni pratiche, ma sono orientate a portare il lettore ad uno stato di apertura in cui non è tanto l’intelletto a essere principalmente interessato ma altre modalità percettive più legate all’intuizione.

Il classico esempio di queste modalità sono le cosiddette Mappe Alchemiche, vere e proprie schematizzazioni grafiche intuitive di aspetti cosmogonici legati alla realtà che senza troppe spiegazioni inducono una lettura che trascende i normali processi elaborativi intellettuali.

A tal proposito basti pensare che moltissime informazioni fino a poco tempo fa sconosciute riguardo alle pratiche di lunga vita taoiste come il Tai Chi e il Qi gong sono state rinvenute negli anni settanta del secolo scorso con l’importantissima scoperta archeologica della tomba di Mawangdui del II secolo a. C.

In tale sito era stata sepolta la Marchesa di Dai, iniziata taoista di altissimo livello, e vi erano contenute numerose “mappe” e rappresentazioni riguardanti appunto questi aspetti e per gli studiosi ha segnato un punto di svolta nella possibilità di “riscoprire” il Taoismo sistematizzare le pratiche psicocorporee miranti a lavorare sul Qi (ovvero, come vedremo e approfondiremo nei prossimi articoli, sull’energia).

Sequenza di esercizi psicofisici proveniente dalla tomba di Mawangdui
Sequenza di esercizi psicofisici e respiratori proveniente dalla tomba di Mawangdui

L’alchimia e la ricerca dell’immortalità

Abbiamo nominato le mappe alchemiche taoiste e occorre dunque accennare, almeno per brevi capi, al concetto di Alchimia. L’Alchimia Taoista è una pratica spirituale finalizzata alla ricerca dell’immortalità, intesa non tanto in termini cronologici ma come ricerca di stati esperienziali estatici e mistici.

Il termine immortalità si è prestato a numerose interpretazioni e quello forse più completo è un superamento dei limiti del corpo fisico attraverso un lungo processo di manipolazione del corpo energetico in cui esso viene “trasmutato” in una forma più sottile e spirituale. L’essere umano in questo stato fisico e di coscienza “si eleva” fino a trascendere i limiti della dimensione spazio-temporale della sua incarnazione, che prevede la morte fisica (da qui la confusione con un concetto di immortalità intesa solo in senso letterale sul piano fisico).

Si possono distinguere due diverse tradizioni dell’Alchimia:

  • l’Alchimia Interna (Nei dan o cinabro interiore). Questa riguardava esclusivamente l’interiorità dell’essere umano, focalizzandosi esclusivamente su pratiche meditative e pratiche spirituali finalizzate al raggiungimento di stati di coscienza trascendenziali. L’Alchimia Interna si può considerare complementare al daoismo più liturgico, la sua parte più Esoterica e scevra di aspetti religiosi e dottrinali, una via non finalizzata al raggiungimento di uno scopo materiale ma più vicina ad una tecnica per aggiungere l’illuminazione.
  • l’Alchimia Esterna (Wai dan o cinabro esteriore) invece, poneva l’accento su tecniche più fisiche e materiali (quindi esterne) finalizzate alla trasformazione dei metalli in oro. Nella ricerca sul piano materiale della trasmutazione vi era un riflesso di quello stesso processo interiore ricercato dall’Alchimia Interna in cui l’uomo (metallo grezzo) attraverso processi successivi di purificazione e trasmutazione raggiunge uno stato superiore di purezza e quindi l’immortalità simboleggiato dall’oro.12Leonardo Vittorio Arena, L’innocenza del Tao: storia del pensiero cinese, Milano, Mondadori

Equilibrio e Armonia

I Tre Insegnamenti come uno
I Tre Insegnamenti come uno: Confucio porge Gautama Buddha in fasce a Laozi.

Da questa introduzione, riduttiva ma comunque necessaria per meglio comprendere il discorso che svilupperemo nei prossimi articoli, emerge come le tre principali Tradizioni alla base del pensiero cinese contengano degli elementi comuni e delle complementarietà che tradiscono le diverse influenze che nei millenni hanno esercitato reciprocamente.

Abbiamo già parlato delle apparenti divergenze e le sostanziali affinità tra Taoismo e Buddhismo, la cui naturale ibridazione produsse il Buddhismo Ch’an/Zen.

D’altro canto, in tutta la storia cinese compare una apparente contrapposizione anche tra Confucianesimo e Taoismo, l’uno caratterizzato da una sorta di visione razionale e “terrena” finalizzata all’armonia nella vita sociale, burocratica e statale; l’altro da uno stuolo di mistici, guaritori, sciamani e alchimisti miranti sempre all’armonia ma ad un aspetto più spirituale.

In realtà essi spiegano la vitalità della cultura cinese perché testimoniano il profondo abbraccio che li lega come principio della Terra e del Cielo insieme al Buddhismo, principio trasmutatore dell’Uomo, in un unico sistema dinamico. 13Lao Tzu, Tao Te Ching: il libro della virtù e della via, Moretti & Vitali, ISBN 88-7186-269-4Hua Ching Ni. La Via mistica del Tao. M.I.R. edizioni 1998. ISBN 88-86873-56-5
Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6 Georges Charles. Qi Gong ed energia vitale. Pratiche Taoiste di lunga vita. Edizioni Pendragon 2008. ISBN 978-88-8342-573-8

Laozi e Confucio
Laozi e Confucio

Infatti, la chiave interpretativa alchemica rivela come Confucianesimo e Taoismo possano rappresentarsi come il lato essoterico ed esoterico della stessa Tradizione, poggiando entrambi sulla preesistente tradizione sciamanica e della magia Wu di difficile inquadramento cronologico e di cui parleremo prossimamente.

Spesso il Confucianesimo ha rimproverato al Taoismo un certo grado di egoismo in quanto il Taoismo sarebbe distante dall’agire sociale e ricercherebbe per lo più la salvezza individuale, anche se nella ricerca individuale dell’Armonia con il Tutto vi è comunque una ricerca mirata al bene collettivo. Ma ancora, mentre per il Taoista il sovrano doveva raggiungere l’unione mistica con il Tao per ben governare, per il confuciano al sovrano bastava l’approvazione celeste e la appropriazione di virtù etico sociali.

Il confucianesimo dunque, rappresenta il lato pratico, sobrio, sociale della vita e del carattere del popolo cinese, bilanciato, in questo senso, dal taoismo, che rappresenta l’aspetto metafisico, mistico, artistico e allegro.14Invernizzi G., Analisi frattale della HRV e MTC, dall’intuizione alla ricerca, University of Milan, 2009, tesi non pubblicata 

A ben vedere, ci troviamo di fronte all’ennesima divergenza apparente. All’inizio dell’epoca Han, ad esempio, i letterati svilupparono la teoria, estremamente suggestiva anche ai nostri giorni, secondo la quale le semplici irregolarità di ordine etico provocano squilibri a livello cosmico. Il massimo rappresentante di questa corrente confuciana, fortemente influenzata dal taoismo, è Dong Zhongshu (179-104 a.C.), il quale afferma, ad esempio:

L’universo ha lo Yin e lo Yang, anche l’uomo ha lo Yin e lo Yang. Quando il Qi Yin dell’universo cresce, quello dell’uomo, conformemente, cresce anch’esso. Quando il Qi Yin dell’uomo cresce, anche il Qi Yin dell’universo può facilmente accordarsi a ciò e crescere anch’esso. Il loro Dao è unico. 15J. C. Cooper, Yin e Yang. L’armonia taoista degli opposti, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore

La visione alchemica di questo processo rivela quindi il profondo abbraccio che lega le due Tradizioni nell’anima popolare e, con l’integrazione della Tradizione Buddhista, spiega l’estrema vitalità a tuttora della cultura cinese.

Le tre Tradizioni infatti definiscono un sistema dinamico speculare ai tre principi cosmogonici della Terra del Cielo e dell’Uomo simbolizzati nelle antiche monete cinesi, in cui il Confucianesimo rappresenta l’ordine quadrato terrestre, il Taoismo l’ordine circolare celeste e il Buddhismo il principio di trasmutazione che li muove.

moneta-cinese

Il messaggio finale di ciascuna di queste tre tradizioni propone la via dell’Equilibrio come unica modalità per raggiungere uno stato di Armonia, manifestantesi al massimo livello nell’armonia con il Tutto. Tuttavia gli ambiti di consapevolezza sono molto diversi,  per cui nel Confucianesimo l’armonia è intesa in termini sociali e materiali mentre nel Taoismo è in termini più spirituali come Armonia con l’universo.

Alla luce di queste considerazioni è interessante notare come la Medicina Tradizionale Cinese tragga il cardine del suo impianto costitutivo, e cioè il concetto di Equilibrio e di Armonia, proprio da ciascuna delle tre Tradizioni considerate. In particolare la MTC ha ereditato dalle tre Tradizioni il concetto principe che guida tutte le sue modalità guaritive: pensare l’organismo malato come un sistema “squilibrato” che necessita di essere riarmonizzato.

Ma tutto questo, e su come la medicina “ufficiale” stia tentando di integrare questa visione, parleremo nei prossimi articoli.

Note[+]

Note
↑1 C. Moiraghi, Qi Gong, Fabbri editori 2002. ISBN 88-451-8009-3 Moiraghi. la via della Forza Interiore, trattato di energetica esperienziale cinese. Casa Editrice Meb 1995. ISBN 88-7669-490-0
↑2 Daodejing, XXIX, Feltrinelli,
↑3 Lao Tzu, Daodejing, LXIV, Feltrinelli,
↑4 Gautama Buddha, Nidānasūtra 124, 547b-548a
↑5 Impermanenza che comprende anche il concetto di io: “Il Buddhismo, forse anche nella sua primitiva formulazione, aveva sostenuto […] che non esiste un io permanente, un atman, un jiva, un purusa [tutti termini che indicano il sé, universale o individuale, nelle diverse tradizioni indiane, NdR]; ma non per questo sottraeva l’uomo alla responsabilità delle proprie azioni. Ciò che noi compiamo fruttifica; ogni pensiero, primo motore dell’azione, racchiude in sé l’esperienza passata e si proietta, così carico, nel pensiero seguente; la nostra personalità si riduce a un fluire perenne di elementi (dharma) in continuo moto condizionato; questo moto è dolore; la pace è nella cessazione di questo moto, il quale è arrestato dall’eliminazione del carma infetto; l’eliminazione avviene in virtù della disciplina morale e della conoscenza.” (G. Tucci, Storia della filosofia indiana, Laterza, pag. 52)
↑6 Cfr Laozi, XI: “Trenta raggi convergono in un mozzo:/grazie al suo vuoto abbiamo l’utilità del carro.”
↑7 In L. Arena, Antologia del Buddhismo Ch’an, Mondadori, 180
↑8 Giovanni Filoramo (a cura di), Mario Piantelli, Ramon N. Prats, Erich Zürcher, Pier Paolo Del
Campana, Heinz Beckert, Martin Baumann, Buddhismo, Bari, Laterza, 2007, ISBN
978-88-420-8363-4
↑9 Storia del Taoismo dalle origini al XIV secolo, Ubaldini, p. 8
↑10 Il Daozang, raccolta di almeno cinquemila testi che costituiscono la summa della letteratura taoista, raccolti tra il V e il VI secolo dopo Cristo.
↑11 Zhuang-zi, III, Adelphi, pp. 35-36
↑12 Leonardo Vittorio Arena, L’innocenza del Tao: storia del pensiero cinese, Milano, Mondadori
↑13 Lao Tzu, Tao Te Ching: il libro della virtù e della via, Moretti & Vitali, ISBN 88-7186-269-4Hua Ching Ni. La Via mistica del Tao. M.I.R. edizioni 1998. ISBN 88-86873-56-5
Giulia Boschi. Medicina Cinese: la radice e i fiori. Corso di sinologia per medici e appassionati Casa Editrice Ambrosiana 2003. ISBN 88-408-1263-6 Georges Charles. Qi Gong ed energia vitale. Pratiche Taoiste di lunga vita. Edizioni Pendragon 2008. ISBN 978-88-8342-573-8
↑14 Invernizzi G., Analisi frattale della HRV e MTC, dall’intuizione alla ricerca, University of Milan, 2009, tesi non pubblicata 
↑15 J. C. Cooper, Yin e Yang. L’armonia taoista degli opposti, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore
Leggi

highlights    Medicina cinese    Tai Chi Chuan    Taoismo

medicina    Yoga

Un’idea di (auto)guarigione

27 Agosto 2014 di Francesco Vignotto


“Ha mai provato a lavorare con un bambino tra i piedi?” continuò lei.
Will pensò al suo piccolo vicino di casa che si era offerto di aiutarlo a verniciare i mobili della sala da pranzo, e rise ricordando la propria esasperazione.
“Povero tesoro!” esclamò Susila. “È così bene intenzionato, così ansioso di aiutare.”
“Ma la vernice finisce sul tappeto, e ci sono impronte digitali su tutte le pareti…”
“Per cui, alla fine, deve sbarazzarsi di lui. ‘Fila via, bimbo. Va’ a giocare in giardino!'”
Ci fu un silenzio.
“Ebbene?” egli domandò alla fine.
“Non capisce?” Will scosse il capo.
“Che cosa succede quando è malato, quando è ferito? Chi ripara i danni? Chi guarisce le infezioni? È lei?”
“E chi allora?”
“Lei allora?” ella insistette. “Lei? La persona che sente il dolore e si preoccupa, e pensa al peccato e al denaro e all’avvenire! È capace, questo suo io, di fare quello che va fatto?”
“Oh, adesso capisco a che cosa mira.”
“Finalmente!” lo burlò Susila.
“Mi manda a giocare in giardino in modo che gli adulti possano fare in pace il loro lavoro. Ma chi sono gli adulti?”
“Questo non lo domandi a me” rispose “È una domanda da porre a un neuroteologo.”
“Che significa?” domandò Will.
“Significa esattamente quello che dice la parola. Qualcuno che pensa agli individui in termini, simultaneamente, della Chiara Luce del Vuoto e del sistema nervoso vegetativo. Gli adulti sono un misto di intelletto e di fisiologia.”
“E i bambini?”
“I bambini sono gli ometti che pensano di saperla più lunga degli adulti. “E quindi bisogna dir loro di correre fuori a giocare.”

Huxley-isola

Ci sarebbe poco da aggiungere a questo brano tratto da L’isola di Aldous Huxley1Aldous Huxley, L’isola, Mondadori. Un romanzo che racconta l’utopia di una società ideale (la comunità dell’isola immaginaria di Pala), ma anche il percorso di guarigione del protagonista Will Farnaby, che ha come causa scatenante il trauma e le ferite causate dal naufragio di cui è stato vittima, ma che andrà a investire le cause profonde di un malessere preesistente.

Accanto all’intervento medico, Will riceve un altro tipo di supporto da parte di Susila, la nuora del dottor MacPhail, che lo guiderà, appunto, a “mandare fuori i bambini a giocare”.

Ritengo che il brano riportato valga molto di più di moltissime (e spesso troppo superficiali) parole spese sulla guarigione e soprattutto sull’autoguarigione, due lati della stessa medaglia la cui complementarità andrebbe compresa non solo con l’intelletto, ma appunto mettendo in moto la fisiologia. O meglio, lasciando che quest’ultima faccia il suo corso assieme alla parte più profonda del primo.

Questo brano fornisce inoltre una risposta anche alla domanda: come possono discipline come lo Yoga o il Tai Chi Chuan, oppure le tecniche di meditazione, al di là degli aspetti puramente biomeccanici o in apparenza palliativi, favorire un processo di guarigione o prevenire disturbi (vedi le già citate ‘Tecniche di lunga vita’ nella tradizione cinese)?

Siegfried Zademack: Interpretation of the 4th dimension
Siegfried Zademack:
Interpretation of the 4th dimension

Molto spesso ci sono troppi fraintendimenti su questo aspetto, perché, come ho osservato riguardo allo Yoga, queste pratiche non sono medicine. Quando vengono presentate come tali, l’equivoco nasce perché abbiamo un’idea di cosa sia una medicamento, sappiamo cosa voglia dire andare da un dottore e sottoporsi al suo intervento: significa far sì che una persona e/o una sostanza esterne intervengano sul nostro disturbo.

Ci manca tuttavia totalmente l’idea di cosa significhi far uscire i bambini a giocare. I bambini, o meglio “gli ometti che pensano di saperla più lunga degli adulti”. Una pratica che andrebbe coltivata ben prima di dover ricorrere a cure mediche e non solo per prevenirle, ma per migliorare la propria vita (e, se si vuole, anche qualcosa di più).

Non si tratta semplicemente di prendersi qualche distrazione, rilassarsi o fare un po’ di moto per svuotare la mente, sebbene tutto ciò sia sicuramente utile. Si tratta invece di educare quest’ultima – la mente, o meglio la parte più superficiale di essa – a cessare di interferire con i normali processi su cui non ha alcun controllo (il sistema nervoso vegetativo), ma sui quali ha di certo il potere di agitare notevolmente le acque e di intralciare il lavoro degli “adulti” (un esempio che potrà sembrare terra-terra ma che rende molto bene l’idea: assillarsi perché non si va di corpo è il metodo più sicuro per ritardare il momento in cui ciò avverrà naturalmente, a meno che non sussistano cause di forza maggiore).

resistance2

Tutto questo ha anche ben poco a che vedere con il pensare positivo che ci ha lasciato in eredità la new age e qualche sostanza psicotropa assunta come fosse una caramella (con buona pace di Huxley stesso). Potrà infatti sembrare controintuitivo, ma anche la volontà di guarire (da una malattia, da un ossessione, da un lutto), così come di avere successo in qualsiasi attività umana, può essere un enorme intralcio.

Non perché si voglia negare l’efficacia della volontà, ma solo di un certo tipo di volontà e di desiderio, quelle appunto di chi pensa di saperla più lunga degli adulti e di intervenire secondo logica ma senza considerare l’interezza delle forze – evidenti e non evidenti – in campo. Perché troppo spesso si dimentica questo: ogni azione provoca, per legge fisica, una reazione.

Bisogna infatti contemplare la possibilità della sconfitta. Far rientrare nel campo di osservazione questa eventualità senza contrapporvisi, ma accettare che la risoluzione di un conflitto possa non essere quella desiderata, e accettarla. Qualsiasi altro modo di agire – o di non agire – significa per il soggetto diventare parte stessa del problema.

“Considerando uguali piacere e dolore, profitto e perdita, vittoria e disfatta, raccogli le tue energie per il combattimento; così non patirai alcun male”: sono parole della Bhagavadgita, e non trovo alcuna contraddizione nel fatto che si riferiscano a una battaglia.2Bhagavadgita, II, 38, a cura di Anne-Marie Esnoul, Adelphi. La Bhagavadgita è parte del poema epico indiano Mahabharata, ed è un testo fondamentale per la filosofia indiana e per lo Yoga. È un dialogo tra Krishna e Arjuna, che si trova di fronte al campo di battaglia dove sono schierati contro di lui i suoi stessi parenti. Non volendo più combattere, Krishna lo esorta a riprendere le armi, spiegandogli – tra le molte altre cose – che non è l’azione (karma) in sé a provocare sofferenza, ma l’attaccamento ai frutti dell’azione. Una sintesi della Bhagavadgita è presente nel Mahabharata di Peter Brook del 1989 (con Vittorio Mezzogiorno nella parte di Arjuna), sicuramente non esaustiva ma molto suggestiva (il video è in inglese): Più avanti, il testo prosegue:

Colui che sa vedere nell’agire il non-agire e nel non-agire l’azione, questi fra tutti gli uomini possiede la vigilanza della mente, quegli è unificato nello yoga, quegli assolve tutti i suoi compiti.3Bhagavadgita, IV, 18, a cura di Anne-Marie Esnoul, Adelphi

In fondo, anche il Taoismo aveva un termine per questo, che riassume un concetto cardine di questa tradizione: wei wu wei, letteralmente “agire senza agire”. Naturalmente, si tratta di un paradosso, e naturalmente questa conoscenza sembra l’esatto opposto della conoscenza, questa azione sembra l’esatto opposto dell’agire secondo il pensiero ordinario.

Ma se il paradosso non fosse tale, gli ometti che sanno pensare solo in direzione lineare la saprebbero davvero più lunga degli adulti. Ed è per questo che ogni tanto è necessario farli uscire a giocare.

PS: ringrazio i dottori Marco e Giorgio Invernizzi per aver letto questo articolo prima che venisse pubblicato.

Foto di Sahil Lodha. Alcuni ragazzi giocano tra i pomodori schiacciati durante la celebrazione dell'Holi Festival nell'Uttar Pradesh, in India.
Foto di Sahil Lodha. Alcuni ragazzi giocano tra i pomodori schiacciati durante la celebrazione dell’Holi Festival nell’Uttar Pradesh, in India.

Note[+]

Note
↑1 Aldous Huxley, L’isola, Mondadori
↑2 Bhagavadgita, II, 38, a cura di Anne-Marie Esnoul, Adelphi. La Bhagavadgita è parte del poema epico indiano Mahabharata, ed è un testo fondamentale per la filosofia indiana e per lo Yoga. È un dialogo tra Krishna e Arjuna, che si trova di fronte al campo di battaglia dove sono schierati contro di lui i suoi stessi parenti. Non volendo più combattere, Krishna lo esorta a riprendere le armi, spiegandogli – tra le molte altre cose – che non è l’azione (karma) in sé a provocare sofferenza, ma l’attaccamento ai frutti dell’azione. Una sintesi della Bhagavadgita è presente nel Mahabharata di Peter Brook del 1989 (con Vittorio Mezzogiorno nella parte di Arjuna), sicuramente non esaustiva ma molto suggestiva (il video è in inglese):
↑3 Bhagavadgita, IV, 18, a cura di Anne-Marie Esnoul, Adelphi
Leggi

medicina    Yoga

Copyright © 2014-2022 – Zénon Cooperativa Sportiva Dilettantistica Corso XXIII marzo 17 28100 Novara C. F. e P. IVA 02419740036 Privacy Policy. Contributi pubblici.