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yoga

Hasta mudra: i sigilli delle mani. Con Antonella Usai

23 Ottobre 2024 by Zénon Lascia un commento

Seminario pratico e teorico sul linguaggio delle mani nelle pratiche contemplative e nella danza classica indiana, 9 novembre 2024 ore 14.00-18.00. In collaborazione con la Compagnia NAD.

Antonella Usai è la prima danzatrice occidentale ad essere scritturata nella prestigiosa compagnia indiana Darpana Performing Group, con cui ha compiuto tournée in tutta l’India e nel sud est asiatico.
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  • Cosa sono le hasta mudra
  • Programma
  • Dove e quando si svolgono le sessioni
  • La docente
  • Contributo di partecipazione
  • Iscriviti
    • 1. Dati per il pagamento
      • Con carta di credito/debito (con o senza Paypal)
      • Con bonifico bancario
    • 2. Scarica e compila il modulo di iscrizione
  • Richiedi informazioni

Cosa sono le hasta mudra

Le mani, assieme al viso, sono le parti del corpo che occupano più spazio nella corteccia motoria, che a sua volta svolge un importante ruolo in compiti cognitivi come il linguaggio, l’empatia e le abilità visuomotorie.

Già questo dato può rendere onore alla grande attenzione che la cultura indiana riserva all’espressività delle mani sia in ambito artistico sia in ambito contemplativo.

Di fatto, le cosiddette hasta mudrā sono gesti codificati delle mani nati con funzione cultuale, rituale ed estetica nel contesto religioso buddhista e induista e oggi diventate molto note anche in Occidente, soprattutto come strumento per la pratica meditativa.

Questo seminario, partendo da una introduzione e una messa a fuoco rispetto al contesto originario, si concentra sulle mudrā collegate al teatro danza bharatanatyam e intreccia riflessione teorica e pratica esperienziale.

L’incontro è aperto a tutti ed è adatto sia a chi non ha alcuna esperienza pregressa, sia a praticanti e insegnanti di yoga che vogliono approfondire la pratica e la teoria mudrā.

Programma

  • Inquadramento storico antropologico: le hasta mudra dal contesto rituale a quello performativo, dalle pratiche di benessere alla New Age (passando per le campagne pubblicitarie)
  • Le hasta mudra: una pratica yogica trans-generazionale per tutte e tutti. Benefici e controindicazioni.
  • Asamyukta e samyukta hasta mudra: Studio dei 28 sigilli delle mani singole e dei 24 sigilli delle mani che interagiscono.
  • Ganesha mudra come pratica individuale e collettiva. Lo yoga tra benessere individuale e sviluppo di una coscienza collettiva.
  • Domande e feed back.

Dove e quando si svolgono le sessioni


Il corso si terrà sabato 9 novembre dalle 14.00 alle 18.00 presso la sede di Zénon, in via 23 marzo n.17 a Novara.

La docente

Antonella Usai

Laurea magistrale in Storia del Teatro e Master in Storia dello Yoga, danzatrice, coreografa e fondatrice di NAD, Antonella Usai si occupa da anni di relazione tra danza, arti e natura. È stata tra l’altro la prima danzatrice occidentale ad essere scritturata nella prestigiosa compagnia indiana Darpana Performing Group, con cui ha compiuto tournée in tutta l’India e nel sud est asiatico. Si occupa di didattica, direzione artistica e ideazione di progetti innovativi in campo artistico e sociale. È artista residente presso il Museo di Arte Orientale di Torino e consulente per Hangar Piemonte per l’accompagnamento delle organizzazioni al cambiamento della cultura organizzativa. Il suo operato, impregnato di interdisciplinarietà e visione sistemica, è mosso dal desiderio di stimolare e nutrire una partecipazione più consapevole dell’essere umano al grande mistero della Danza della Vita.

    Contributo di partecipazione

    La quota di partecipazione è di 70€.
    Se è la prima volta che ti iscrivi a un corso a Zénon quest’anno, con la quota del corso hai anche il tesseramento per un anno, valido anche per svolgere altre attività presso di noi.

    Posti attualmente disponibili: 6

    Iscriviti

    Vuoi iscriverti? Servono solo due passaggi: 1) paghi la quota e 2) compili e invii la domanda di iscrizione.


    1. Dati per il pagamento

    Costo: 90€

    Puoi scegliere di pagare:

    • con carta di credito o di debito attraverso Paypal (non serve avere un account): in questo caso puoi anche usufruire dell’opzione paga in tre rate;
    • con bonifico bancario.

    Con carta di credito/debito (con o senza Paypal)

    Con bonifico bancario

    Ecco le coordinate bancarie su cui versare la quota di iscrizione:

    IT32R0503410196000000000905
    Importo: 90,00 intestato a: Zenon ASD 
    Causale: Iscrizione corso e quota tesseramento [specificare il nome se il conto non è intestato all’iscritto/a]

    2. Scarica e compila il modulo di iscrizione

    Scarica la domanda di iscrizione e inviala compilata all’indirizzo info@zenon.it oppure inviacela via whatsapp cliccando sull’icona in basso a sinistra.

    Modulo iscrizioneDownload

    Richiedi informazioni

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    …oppure puoi scriverci col modulo qui sotto. Ti risponderemo al più presto.

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    Archiviato in:eventi conclusi Contrassegnato con: hathayoga, yoga, yoga Novara

    “Trasforma la tua vita, diventa insegnante di Yoga”, ovvero la vittoria non consiste che in continue batoste

    7 Ottobre 2024 by Francesco Vignotto Lascia un commento


    È curioso come gli slogan dei corsi di formazione per insegnanti di yoga si stiano sintonizzando quasi tutti su questa falsariga: “Diventare insegnante di Yoga può cambiare la tua vita”, “Realizza il tuo sogno”, “Vivi della tua passione”. È curioso (ma è una curiosità retorica, conosciamo il movente) perché proprio in riferimento a un passaggio in cui io dovrei smettere di fare qualcosa solo per me e cominciare a farla anche per qualcun altro, non venga oggi in mente altro argomento efficace che quello egoriferito, col rischio di sollecitare o le persone non adatte o comunque le corde sbagliate.

    In altri tempi si sarebbe scomodata una parola ad alto rischio di enfasi e fraintendimento come vocazione, ma probabilmente è oggi ritenuta troppo selettiva: d’altronde, il più delle volte si sta vendendo un prodotto a più ampio pubblico possibile, mica si sta pubblicizzando veramente una scuola che dovrà valutare o meno l’idoneità dei soggetti paganti.

    Sta di fatto che i poveri allievi non vengono ormai quasi nemmeno nominati, se non come risorse che magicamente pioveranno dal cielo non appena vedranno il volantino dell’ennesimo corso di yoga, e che al massimo dovrai avere cura di non danneggiare.

    Viene da domandarsi inoltre come mai la figura dell’insegnante di yoga sia diventata così sexy per un così vasto numero di persone, vista la progressione geometrica dell’offerta e l’affollamento dei corsi per ricevere l’ambito diploma. Consideriamo pure che una certa porzione di partecipanti lo faccia o per approfondire (oggi, almeno nello yoga, non esistono più i corsi per chi è semplicemente interessato a conoscere: devono darti l’investitura da insegnante); un’altra porzione si iscriverà per integrare lo yoga nelle proprie competenze professionali (operatori di varie dicipline, psicologi, educatori, insegnanti, per alcuni dei quali esistono percorsi specifici e mirati); rimane tuttavia una notevole fetta di pubblico – quella a cui si rivolgono le pubblicità summenzionate – che proietta sulla figura dell’insegnante la possibilità di un futuro più brillante del grigiore quotidiano.

    Ora, mi sia concessa una piccola digressione personale. Qualche anno fa (mi rendo conto che in realtà dovrei sostituire qualche con parecchi) svolsi per un certo tempo un lavoro che, come l’insegnante di yoga, non ti garantisce sicurezze reddituali invidiabili, ma fa ugualmente sfuggire alle persone a cui lo si racconta un candido e incosciente che bello, come piacerebbe anche a me. Il mestiere era l’agricoltore. Bene, coloro che allora mi esprimevano la loro – innocente – invidia erano spesso persone con posizioni lavorative solide, che tuttavia avvertivano lo stress di pesanti responsabilità e lo stridore di ritmi innaturali, nonché la nostalgia di un contatto perduto con la terra, per quanto molto idealizzato.

    E proprio a fronte di molta idealizzazione posso dire che il mestiere con la terra e quello di insegnante di yoga hanno due cose in comune. Ti obbligano da un lato ad affrontare la delusione delle aspettative, dall’altro a cogliere ciò che arriva invece.

    A meno che tu non abbia un patrimonio da dilapidare in una bolla anestetica di soggiorni a Bali e di storie su Instagram di felicità simulata, fare l’insegnante di yoga ti pone di fronte alla prospettiva di essere ormai uno tra i tantissimi, ma anche di dover trovare un luogo dove esercitare e di mantenerlo – oltre a mantenere te, con questo o un altro mestiere – e soprattutto ti pone di fronte alla volatilità degli allievi, che giustamente hanno delle vite al di fuori dell’ora di yoga, e spesso all’incostanza di quelli su cui ti eri fatto le maggiori aspettative; alle classi vuote, che capiteranno anche dopo anni; ai malintesi, inevitabili lavorando a contatto con le persone, anche con le migliori intenzioni; e alla apparente mancanza di risultati, che ti visiterà ciclicamente proprio come ogni anno la terra, alle nostre latitudini, in apparenza muore.

    E tutto questo genera sempre un’emozione, non raccontiamoci la favola del distacco, anche se osservare e vivere questa emozione non significa reagire di impulso: questo tuffo al cuore è proporzionale allo slancio con cui la meraviglia ti coglierà al momento della ripresa, se vivrai o resisterai abbastanza a lungo.

    Ma al tempo stesso, dicevamo, oltre a digerire la sconfitta reale o apparente, provvisoria o definitiva, dovrai imparare a cogliere quell’invece che molto spesso non vedi perché accecato dalla delusione delle aspettative, come la persona che ritenevi totalmente unfit che invece, costringendoti a riformulare il tuo insegnamento, innesca un processo di reciproca crescita; come la base stabile di allievi che, se coltivata senza forzature e con correttezza, crescerà nel tempo senza gli scrosci delle folle urlanti ma con il silenzio e la costanza di una foresta. La vittoria, insomma, non consiste che in continue batoste. Le storie di successo mancano sempre del triste epilogo, tanto più amaro se il vittorioso non avrà imparato a fondare la sua stabilità nel sé e a riconoscerla sia attraverso il successo che la sconfitta.

    Perché il punto è proprio questo. Se lo yoga non è semplicemente la patina con cui ricoprire il tuo bisogno di identificarti con qualsiasi cosa, se la parola yoga vuol dire qualcosa e, mi si passi il termine, ‘funziona’, che tu faccia il mestiere dei tuoi sogni o un lavoro di merda non cambia moltissimo, anche se non possiamo pretendere, così come c’è chi non digerisce questo o quel cibo, che tutti siano in grado digerire qualsiasi situazione lavorativa. Eppure, se praticare yoga, attraverso il tempo, dà dei cosiddetti risultati, li vediamo più nella capacità di metabolizzare le situazioni della vita che nel successo nel creare condizioni ideali, le quali, oltre a non verificarsi mai, non dipendono in gran parte da noi ma soprattutto imprigionano nel conosciuto.

    Per questo, a mio parere personale, se davvero vuoi approfondire lo yoga, che tu voglia insegnarlo o meno, è importante che tu sia consapevole che su un certo piano realizzare i propri sogni o meno non ha importanza affatto; tutte queste proposte basate su obiettivi sono anzi la morte di qualsiasi aspirazione spirituale, se non si comprende la natura provvisoria e pretestuale di ogni obiettivo. Il pretesto per cosa? Per risvegliare il desiderio. Il desiderio che, come cantavano gli Einstürzende Neubauten, in barba al catechismo patanjaliano ma in linea col controcanto tantrico, è davvero l’unica energia, senza la quale né i libertini né gli austeri e castigati meditanti muoverebbero un dito verso l’obiettivo delle proprie aspirazioni.

    Ma mi si permetta di concludere con un’altra citazione. “Il sussistere nella forma corporea costituisce l’osservanza religiosa” recitano gli Śivasūtra. Per chi ha realizzato che è il Sé, che il suo percepire, sfrondato dall’identificazione anagrafica, è Coscienza che conosce sé stessa, il sacro, lo straordinario è qualsiasi forma, qualsiasi mansione la sorte ci abbia riservato. Ma vale anche il contrario, come sempre: accorgersi che lo straordinario avviene in ogni momento è un modo, forse l’unico, per realizzarlo.
    Porsi un obiettivo, come ad esempio iscriversi a un corso per diventare insegnante di yoga, non è il vero l’obiettivo: è l’additivo che serve a mettere in moto energie che altrimenti non sarebbero messe in gioco. Comprendere la sottile differenza prima di trarre conclusioni affrettate.


    PS: questo articolo, forse ultimo di una riflessione in tre parti (le altre due qui e qui), arriva a pochi giorni dall’inizio del primo seminario del primo corso di formazione insegnanti che abbiamo mai organizzato, nonché a un paio di mesi dal compimento dei dieci anni dall’apertura di Zénon come centro fisico.

    PPSS: “La vittoria non consiste che in continue batoste” è una frase dello scrittore ceco Ladislav Klíma, citata da Bohumil Hrabal in epigrafe a Lezioni di ballo per anziani e progrediti.

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    Archiviato in:Articoli, Corso insegnanti di Yoga, Yoga Contrassegnato con: hathayoga, insegnanti yoga, pratica, yoga, yoga Novara

    Perché ci infortuniamo facendo yoga? (Ovvero la dimenticata arte di conservarsi)

    5 Agosto 2024 by Francesco Vignotto Lascia un commento

    la vera camera ha l’entrata occultata,
    l’altra (la prima) resta vuota
    per deludere coloro che la visitassero

    Alessandro Ceni

    In questo articolo non troverete, se non nelle note, come evitare lo ‘yoga butt’1 o come evitare di infortunarvi alle spalle e ai polsi in chaturanga dandasana2. Certo, fatalità, distrazione e patologie pregresse sono dietro l’angolo, ma a leggere degli infortuni più frequenti che capitano ai praticanti di yoga oggi, si rimane stupefatti per la prevedibilità delle cause, che spesso possono ridursi alla co-occorrenza di due fattori: superamento dei limiti fisiologici e ripetizione nel tempo (ognuno decida in cuor suo se si tratti della naturale conseguenza o della parodia del dettato patanjaliano: distacco e pratica costante).

    Se la soluzione sembrerebbe semplice e di buonsenso, a complicare il quadro c’è il fatto che molti insegnanti – spesso in buona fede – sono ancora convinti per imprinting che l’asana sia un valore in sé e che la versione più estrema di una posizione comporti più benefici. Il che giustifica la forzatura e il dolore in vista di un bene e di un equilibrio che probabilmente non arriverà mai, semplicemente perché il punto di equilibrio è ormai parecchio dietro le nostre spalle.

    Ma al di là di un generico invito alla moderazione, l’infortunio può essere però a volte più sottile e insidioso, perché molto spesso è la conseguenza di un matrimonio infelice, quello tra la rappresentazione mentale del corpo (sia essa di tipo performativo, medico-anatomico, olistico o filosofico) ed esperienza reale del corpo e degli strati di coscienza di cui è ricettacolo, con l’aggravante che uno dei due coniugi è convinto di conoscere in ogni dettaglio le esigenze dell’altro.

    Possiamo quindi con una piccola iperbole usare la parola infortunio per indicare inconvenienti di diversa portata e qualità, non necessariamente una lesione: anche il semplice e vago fastidio persistente dopo una pratica di yoga, in particolare se accompagnato dalla relativa e altrettanto vaga sensazione di ‘non essere a posto’. Questa sensazione, se affrontata con il principio di compensazione a cui siamo abituati, può innescare un circolo vizioso di autocorrezioni che non faranno altro che esacerbare il problema, proprio perché rispondono alla stessa logica che li ha generati. Ma se indaghiamo e ascoltiamo bene, può rivelarsi qualcosa di molto interessante.

    Spesso infatti, questo disagio è sintomo che il tentativo volontario di allinearsi a una forma esteriore non trova una risposta se non passiva nel corpo, che la percepisce come estranea. In altre parole, se l’azione esterna non muove incontro a un molto meno definibile moto interno, procederà ottusamente e superficialmente verso il suo estremo.

    Il che, se non porta a vere e proprie lesioni (e per molti praticanti di lunga data queste sono all’ordine del giorno, soprattutto negli stili più intransigenti), provoca comunque uno scollamento dalla realtà corporea, o meglio a un divario tra l’idea di corpo e corpo in sé, la cui esperienza, quando è reale, equivale ogni volta a un primo contatto, anche se col tempo si impara a gestire lo shock culturale.

    Vista la predominanza e l’importanza attribuita, nello yoga contemporaneo, ai modelli teorici (soprattutto di stampo medico e terapeutico), non dobbiamo dare troppo per scontato di sapere realmente riconoscere una esperienza corporea. Anzi, forse più crediamo di saperlo, più la prevediamo e la preveniamo, più siamo fuori strada.

    Come mi disse Gioia Lussana in un confronto proprio su questo argomento, quello che quasi sempre manca nello yoga oggi è il coraggio di esplorare “una sensorialità più inclusiva di ciò che non è immediatamente percepibile o definibile”. Il fatto è che “rimanere nell’incerto e farci il nido” è oggi ritenuto poco autorevole: ci vuole uno schema a giustificarlo.

    Non che qualsiasi formalizzazione sia da rigettare, ma potrebbe essere un madornale errore di prospettiva (anche e soprattutto culturale) presumere che la prassi sia l’attuazione pedissequa di una teoria che la precede, esattamente come credere che l’assenza di un modello teorico ci porti dritto verso l’infortunio o a perderci per strada.

    Per cui ben venga, nello yoga, la formazione all’anatomia e alla biomeccanica, ben vengano i tropici e i meridiani, ma c’è anche qualcosa di ben meno definibile eppure tutt’altro che impreciso (è del resto il presupposto taciuto ma indispensabile di ogni prassi psicocorporea e contemplativa), alla cui sensibilizzazione è bene dedicare altrettanto spazio, pena l’impossibilità di uscire dal conosciuto. Senza l’approssimata precisione di questa incertezza, il corpo non apre all’increato, ma si chiude nella sua finitudine di cosa sola e separata: per questo tiriamo e stiriamo anche i canali sottili, cambiando sacco ma non comprendendo lo schema di fondo che ci limita.

    E a chi ragionevolmente domanderà che cosa occorra fare per coltivare questa sensibilità, la risposta potrebbe essere innanzitutto imparare a non stroncarla sul nascere, perché essa emerge naturalmente quando non viene soffocata.

    Ma c’è anche dell’altro che può aiutare ad orientarci e preferiamo lasciarlo raccontare a un episodio della tradizione taoista, quello del macellaio del principe Wen-hui narrato nello Zhuang-zi, che con essenzialità e ironia descrive con rara efficacia il senso più intimo della pratica su e attraverso il corpo:

    Il macellaio del principe Wen-hui così smembrava un bue: con le mani afferrava la bestia; con la spalla la spingeva  e, tenendo i piedi ben fermi al suolo, la sosteneva con le ginocchia. Affondava il coltello con un ritmo così musicale che ricordava quello delle celebri melodie suonate durante la « danza del boschetto dei gelsi» e «l’appuntamento delle teste piumate ».
    «Ehi! » chiese il principe Wen-hui « come può la tua arte giungere a un tale grado di perfezione?.
    Il macellaio posò il coltello e disse: «Amo il Tao e così miglioro nella mia arte. All’inizio della mia carriera non vedevo che il bue. Dopo tre anni di  di pratica, non vedevo più il bue. Adesso è il mio spirito che opera, più che i miei occhi. I miei sensi non agiscono più, ma soltanto il mio spirito. Conosco la conformazione naturale del bue e attacco solo gli interstizi. Non scalfisco mai né le vene né le arterie, né i muscoli né i nervi, né a maggior ragione le grandi ossa! Un macellaio consuma un coltello all’anno perché taglia la carne. Un normale macellaio consuma un coltello al mese perché lo rovina sulle ossa. Lo stesso coltello mi è servito per diciannove anni. Ha smembrato diverse migliaia di buoi e la sua lama è ancora come fosse affilata da poco. In verità, le giunture delle ossa hanno degli interstizi e il taglio del coltello non ha spessore. Colui che sa introdurre il filo della lama in quegli interstizi usa agevolmente il proprio coltello perché si muove attraverso i vuoti. E per questo che io ho usato il mio coltello per diciannove anni e il suo taglio sembra sempre affilato di fresco. Ogni volta che devo dividere le giunture delle ossa, osservo le difficoltà da superare, mi concentro, fisso lo sguardo e lentamente procedo. Con grande dolcezza maneggio il coltello e le giunture si separano cadendo al suolo come terra che frana. Ritraggo il mio coltello e mi rialzo; volgo lo sguardo attorno e mi distraggo, compiaciuto; con cura pulisco allora il mio coltello e lo ripongo nel suo astuccio».
    «Molto bene, » disse il principe Wen-hui « dopo aver udito le parole del macellaio ho capito l’arte di conservarmi ».

    Zhuang-zi (Chuang-tzu)

    Ecco cosa caratterizza moltissimo yoga contemporaneo: il suo coltello rovina sulle ossa o sulla carne. E ancora crede che, non riuscendo a spremere dal corpo risultati prevedibili e pianificabili, occorra aumentare la dose: nemmeno li cerca, gli interstizi che su nessuna cartina possono trovarsi.


    1. Si tratta di una fastidiosa irritazione o infiammazione dei tendini dei muscoli posteriori delle cosce o ischiocruali, molto diffusa tra i praticanti che ripetono molto spesso piegamenti in avanti (pinze e ‘cani a testa in giù’) con le gambe completamente tese: si evita piegando anche solo leggermente le ginocchia, dacché gli ischiocruali limitano l’anteroversione del bacino. ↩︎
    2. Al di là delle frammentarie indicazioni di allineamento che si trovano ovunque su internet per qualsiasi posizione, basate sull’infausta idea che una postura sia la somma di particolari anatomici, una delle spiegazioni migliori su come approcciare questa faticosa posizione è quella di Leslie Kaminoff, che integra l’ascolto delle dinamiche motorie e di quelle respiratorie, nel video più sotto.
      ↩︎
    3. Non a caso la parola mudra indica contemporaneamente il sigillo e lo stampo del sigillo; e non a caso mudra è un gesto esteriore che esprime un atteggiamento esteriore, o addirittura, come in bhairavi e krama mudra nella tradizione del Kashmir, un gesto del tutto interiore che non ha espressione esteriore. ↩︎
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    Archiviato in:Articoli, Yoga Contrassegnato con: asana, hathayoga, pratica, yoga, yoga infortuni, yoga Novara

    Yogasana 8: Mindfulness/Heartfulness

    28 Novembre 2023 by Zénon

    Nuova edizione febbraio-aprile 2024: Esplorare le connessioni mente-cuore-corpo, tra Yoga posturale moderno, Yoga tantrico delle origini, neurofisiologia e anatomia, Medicina Tradizionale Cinese e pratiche Taoiste.


    Perché nella relazione mente-corpo è indispensabile comprendere la differenza tra consapevolezza e controllo, che spesso confondiamo? Perché nelle pratiche psicocorporee e meditative dovremmo sostituire la parola ‘mente’ con il termine ‘mente-cuore‘? Quali sono le relazioni tra il cuore, la respirazione e la muscolatura profonda, così sensibili alle dimensioni emotiva e intuitiva? Qual è il rapporto tra la circolazione sanguigna e l’esperienza dell’energia vitale nelle pratiche psicocorporee? Esiste davvero una relazione, come popolarmente si dà per scontato nello Yoga moderno, tra espansione dell’area toracica ed ‘espansione del cuore‘ interiore? Quali sono gli aspetti energetici e fisiopatologici legati al cuore e all’elemento fuoco nella Medicina Tradizionale Cinese? Perché la simbologia tantrica legata al cuore, inteso come sede dell’essere e dell’essenza, è così importante per una comprensione che non sia unicamente un sapere intellettuale? E perché la qualità dell’ardore è così intimamente legata alla pratica dello Yoga delle origini?

    Nell’ottava edizione di Yogasana andiamo alla ricerca del centro della pratica dello Yoga, ossia al suo cuore. Ed è proprio al cuore in tutte le sue accezioni e implicazioni che è dedicata questa edizione, dal cuore fisico, centro di distribuzione e organo di pari importanza rispetto al cervello, al cuore come essenza e centro delle cose che tutto mette immediatamente in relazione e reciproca risonanza.

    Lo faremo, come sempre, tessendo paralleli tra lo Yoga posturale moderno, lo Yoga tantrico delle origini, l’anatomo-fisiologia e la neurofisiologia, assieme ai consueti collegamenti con la Medicina Tradizionale Cinese e la tradizione Taoista.

    Saranno con noi in questo percorso Gioia Lussana, PhD esperta nello Yoga tantrico delle origini, il prof. Marco Invernizzi e Francesco Vignotto.


    Contenuti

    • Il programma
      • I docenti
      • Contributo di partecipazione e attestato di frequenza (CSEN)
      • Iscriviti
      • Desideri maggiori informazioni?

      in presenza e online

      Il corso potrà essere seguito anche in differita tramite le registrazioni, che saranno disponibili il giorno dopo ogni seminario

      Il programma

      Tutti i seminari dureranno circa due ore e conterranno una parte teorica e una parte pratica. Potranno essere seguiti in queste tre modalità:

      • in presenza presso la nostra sede a Novara in via XXIII marzo al numero 17
      • online in diretta tramite la piattaforma Zoom
      • online in differita, tramite le registrazioni che saranno disponibili per la visione in streaming a partire dal giorno seguente

      Le registrazioni, assieme alle slide di ogni seminario, saranno a disposizione di tutti gli iscritti, anche di chi sceglierà di seguire in presenza.


      MODULO 1: Mindfulness/Heartfulness: comprendere la differenza tra consapevolezza e controllo

      In presenza e online, giovedì 1 febbraio ore 19.10-21.00
      Con Francesco Vignotto

      MODULO 2: L’espansione del cuore: il torace e il cuore tra anatomia, biomeccanica e fisiologia yogica

      Online e in presenza, giovedì 8 febbraio ore 19.10-21.00
      Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

      MODULO 3: La simbologia del cuore nello Śivaismo del Kashmir

      Online e in presenza, giovedì 22 febbraio 19.10-21.00
      Con Gioia Lussana

      MODULO 4: Circolazione sanguigna, movimento, stasi e respirazione: la distribuzione dell’energia tra fisiologia e dinamiche praniche

      Online e in presenza, giovedì 7 marzo 19.10-21.00
      Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

      MODULO 5: L’ardore nello Yoga tantrico delle origini

      Online e in presenza, giovedì 21 marzo 19.10-21.00
      Con Gioia Lussana

      MODULO 6: Il cuore e l’elemento fuoco nella Medicina Tradizionale Cinese: aspetti fisiopatologici ed energetici

      Online e in presenza, giovedì 4 aprile 19.10-21.00
      Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

      MODULO 7: Far fronte all’ansia, ovvero il lato oscuro (ed emotivo) del pensiero: una proposta estetica

      Online e in presenza, giovedì 18 aprile 19.10-21.00
      Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto


      Un momento della didattica, durante la prima edizione di Yogasana


      I docenti

      Marco Invernizzi

      Medico e Professore associato presso la cattedra di medicina fisica e riabilitativa dell’Università del Piemonte Orientale.
      Agopuntore ed esperto in Medicina Tradizionale Cinese, insegnate di Tai Chi e Qi Qong presso Zènon.

        Francesco Vignotto

        Insegnante di yoga e meditazione presso Zénon.

          Gioia Lussana

          Docente yoga (Y.A.N.I.) e formatrice di insegnanti yoga. Laureata cum laude in Indologia con R.Gnoli e R.Torella. Co-fondatrice dell’A.ME.CO con Corrado Pensa, per oltre 20 anni ha approfondito la meditazione vipassanà con maestri del buddhismo contemporaneo. Ha pubblicato saggi sullo yoga in riviste scientifiche (RSO) e divulgative. Ha conseguito il PhD presso l’Università Sapienza di Roma con una ricerca sullo yoga tantrico delle origini.

            Contributo di partecipazione e attestato di frequenza (CSEN)

            Il contributo di partecipazione del corso (comprensivo dei 7 seminari) è di 300€. Per chi si iscrive entro il 5 dicembre (versando la quota) il costo è agevolato a 220€. Non è possibile iscriversi a singoli seminari, in quanto il corso è da intendersi come un blocco unitario.

            Al termine del percorso verrà rilasciato un attestato di frequenza CSEN. Chi segue online, in diretta o differita, può ottenere l’attestato presentando una breve relazione scritta (1500 caratteri).

            Iscriviti

            Vuoi iscriverti? Clicca sul pulsante qui sotto, compila la domanda di iscrizione e scegli la modalità di pagamento.

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            Archiviato in:Senza categoria Contrassegnato con: hathayoga, pratica, yoga, yoga Novara

            Esistono emozioni negative?

            18 Agosto 2023 by Francesco Vignotto Lascia un commento

            Esistono emozioni negative? Statua di Swet Bhairav, Hanuman Dhoka, Kathmandu Durbar Square. Foto di  Sanish shr - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=90747701

            Contenuti

            • Intro: la famosa invasione degli orsi in Trentino
            • Ma allora esistono le emozioni negative?
            • Cogliere l’emozione al balzo
            • Nelle crepe dell’emozione
            • Post scriptum
            • Post post scriptum: come combattere un orso a mani nude

            Intro: la famosa invasione degli orsi in Trentino

            Mi trovo in Trentino mentre scrivo e rivedo questo articolo. È impossibile non notare i cartelli che avvertono della presenza degli orsi e il giornale locale cavalca la paura. In paese dicono che in pochi anni la popolazione è triplicata e c’è chi li ha avvistati addirittura nelle vicinanze della Coop. Come sappiamo dalle cronache, un uomo è stato ucciso, qualcun altro “è stato graffiato”, per usare le parole di un anziano villeggiante, un simpatico ex impresario di pompe funebri ormai quasi cieco.

            Nessuno nel 2023 si sognerebbe di affermare che gli orsi sono creature malvagie, ‘belve feroci’ come si sarebbe detto un tempo: se ‘graffiano’ o uccidono, reagiscono perché colti di sorpresa, o perché l’essere umano li provoca per paura o temerarietà. Paura, forse proprio perché l’orso risponde senza rimorsi alla sua natura, non temperata dalle convenzioni con cui imbellettiamo e ridirezioniamo, a volte ipocritamente, la nostra.

            Sull’altro piatto della bilancia ci sono le condizioni anomale in cui la popolazione degli orsi, come quella di numerose altre specie selvatiche, è proliferata e soprattutto si è trovata sempre più in contatto con quella umana: due mondi che idealmente dovrebbero scorrere paralleli, e proprio per questo, quando l’incontro avviene, le conseguenze sono imprevedibili.

            Come i nostri umori più oscuri, che crediamo confinati in qualche remota riserva, tutti speriamo di non incontrare l’orso; anche perché, per quanto ci possano preparare con istruzioni efficaci – allontanarsi lentamente senza correre, mantenere un atteggiamento passivo se aggrediti – quelle istruzioni sono quasi sempre negative, ed astenersi da una reazione è molto più difficile che fare qualcosa, anche se stupido e controproducente, come cercare di spaventarlo o di reagire, oppure – anche questo è tra l’elenco di cose da non fare – di avvicinarsi per filmarlo o fotografarlo.

            (Al tempo stesso però tutti segretamente, io compreso lo confesso, coviamo il desiderio di incontrarlo. Il fatto è che non sappiamo perché, o stentiamo ad ammetterlo. Non si tratta di semplice curiosità, né fascinazione per il pericolo: c’è qualcosa nell’orso senza il quale siamo incompleti.)

            La realtà è che noi non sappiamo realmente cosa faremo quando ci troveremo davanti l’orso. Ed è meglio non inorgoglirsi troppo se l’esito dell’incontro si dimostrasse per noi favorevole od onorevole: perché probabilmente non abbiamo ancora incontrato l’orso giusto.

            Esistono emozioni negative? - I tre orsi, illustrazione di Arthur Rackham - http://www.gutenberg.org/etext/17034, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=562870

            Ma allora esistono le emozioni negative?

            Prima di suscitare comprensibili reazioni: certo che esistono le emozioni negative, se ci riferiamo a quelle emozioni che provocano sofferenza. Una sofferenza a volte latente e a bassa intensità, che si propaga ben oltre la durata effettiva dell’emozione in sé. Più complesso è il discorso se con l’espressione emozioni negative intendiamo emozioni che, almeno idealmente, non bisognerebbe o sarebbe meglio non provare o esprimere , ma in questo caso subentrano fattori sociali, oltre che psicologici e a volte sanitari che non è qui luogo per trattare.

            La definizione è ancora più problematica se frequentiamo le pratiche contemplative, perché provare o manifestare emozioni considerate negative può addirittura essere vissuto come un fallimento o essere oggetto di riprova sociale. Insomma, se faccio yoga da così tanto tempo, perché perdo ancora la pazienza con il mio partner? Perché grido contro il cane? Se medito ogni giorno venti minuti, perché provo in me invidia per il mio vicino, vergogna o vanità per il mio aspetto fisico?

            Qualche tempo fa, mentre stavo facendo stampare delle foto nel negozio di fronte al nostro centro, il fotografo mi disse: “L’altro giorno l’ho vista in bicicletta e una macchina le ha tagliato la strada. Ho detto: si vede che fa yoga, non ha nemmeno battuto ciglio”. Ecco, dissi fra me e me, dovevo avere la testa tra le nuvole quel giorno, perché non mi ricordo di nessuna macchina che abbia rischiato di investirmi: la mia reputazione è doppiamente salva.

            È abbastanza diffusa, nei praticanti di yoga e meditazione e in chi siede attorno a loro, che queste pratiche si debbano svuotare di tutte le qualità fastidiose e inopportune, perché, nonostante si insegni il contrario, l’emozione ti qualifica, non è quasi mai privata. E di conseguenza, il manifestarsi di una di queste qualità è sintomo che qualcosa è andato storto, che ci siamo allontanati da noi stessi, perché tutto ciò che appartiene e porta allo spirito è per sua natura mondo e ‘positivo’ (avrei potuto benissimo scrivere invece un articolo sulle emozioni positive, di cui ci invitano a nutrirci, e che sono altrettanto problematiche: perché? Perché esistono anche quelle negative).

            Ecco quindi che una stanza del Vijñānabhairava Tantra ci taglia la strada:

            Se si rende la mente stabile nei vari stati di desiderio, rabbia, avidità, delusione, ebbrezza o invidia, allora rimarrà solo la Realtà sottostante a essi.

            Vijñānabhairava Tantra, 1011Per questa stanza e per le seguenti ho tenuto come riferimento la versione e i commento di Swami Lakshman Joo, ultimo rappresentante della tradizione dello Shivaismo del Kashmir: Swami Lakshman Joo, Vijñāna Bhairava: The Practice Of Centering Awareness, Motilal Banarsidass, 2003

            Di fronte a questa stanza si è tentati da due opposte reazioni: da un lato, di mettercela in tasca e tenerla pronta per il prossimo automobilista insolente; dall’altro, il completo scoramento davanti a una vetta affascinante ma fuori da qualsiasi portata. In realtà questa stanza è rilevante, prima ancora che per il suo ripido contenuto operativo (di cui parleremo più avanti), per il principio che enuncia.

            Che è poi lo stesso principio a cui rispondono i 112 modi (questo è uno di essi) che il Vijñānabhairava Tantra elenca per esperirlo. Proviamo a definirlo dapprima in negativo, nonostante l’approccio di questo testo fondamentale sia di tenore opposto. Il principio è che malgrado le innumerevoli perturbazioni di cui possiamo fare esperienza, la Realtà fondamentale è una.

            Altre correnti di pensiero dell’India tradizionale hanno espresso la medesima idea, ma mentre questa asserzione è servita altrove per svalutare l’esperienza soggettiva, predicando il distacco dagli stati mentali perché impermanenti e quindi irreali, qui il punto di vista viene capovolto: proprio attraverso questi stati, che di norma sono subiti inconsapevolmente provocando offuscamento e distrazione, possiamo invece, attraverso l’attenzione focalizzata, riconoscere quella Realtà.

            L’errore fondamentale non è tanto l’illusione che le perturbazioni sulla superficie siano reali, perché fino a un certo punto lo sono: i fortunali, come la rabbia, la paura, il dolore, per quanto passeggeri, possono uccidere e ucciderci; persino la gioia, l’amore, la felicità possono farci scoppiare il cuore, oltre a smuovere montagne. L’errore fondamentale è credere che questi stati siano diversi e separati dalla Realtà sottostante. Disconoscerli come espressione della loro fonte: questo è l’errore, perché nulla può manifestarsi al di fuori della luce della Coscienza. Ed è proprio questo errore a renderli ingovernabili.

            Ecco quindi, tornando alla nostra stanza che contiene una pratica (ci stiamo arrivando), un messaggio importante: anche nelle emozioni estreme e ‘negative’ c’è un nucleo di pace. Anche in quella “goffa bruttura indescrivibile”, sotto la cui veste la sofferenza si presenta spesso, nulla è perduto, ed è bene ripeterselo proprio quando tutto sembra dire il contrario. Verrà un momento in cui non ci sarà più bisogno del richiamo, sostituito dall’immediatezza: non ci siamo allontanati di un millimetro dal nucleo.

            Sembra anzi, suggerisce la stanza 101, che più antitetico sia l'(apparente) intervallo tra il turbamento della superficie e la quiete sottostante, più sia rapida la possibilità di tornare all’origine. Ma fermiamoci ancora un attimo.

            Ho conosciuto poche persone, forse nessuno (me compreso), il cui sismografo emotivo si sia stabilizzato su uno spettro accettabile per sé e per gli altri per il solo fatto di essersi seduta a meditare per anni, o aver passato un periodo considerevole ad allungare i propri muscoli e a disciplinare il proprio respiro.

            Ma come, si dirà, lo yoga e la meditazione non aiutano proprio a stabilizzare l’emotivo? Eppure, quante imbarazzanti esplosioni qualche istante dopo aver toccato la pace sul tappetino perché una singola parola l’ha messa a repentaglio, o appena usciti da una sala pratica mondati da qualsiasi negatività, al termine di tre giorni di digiuno, di un ritiro di Vipassana…

            Il fatto è che più si sperimenta la pace nelle pratiche contemplative, più si incapperà nel suo contrario, almeno finché non si mette la firma su quanto sopra, ovvero che la tranquillità provata nei momenti di grazia ci avvicina solo per analogia alla vera pace, che quella pace fondamentale occorre imparare a riconoscerla persino nei momenti in cui siamo radiati dalla grazia divina.

            Ritornano in mente le parole del controverso Yoga di Emmanuel Carrère:

            È possibile meditare quando senti un groppo d’ansia sotto il plesso solare, hai nei polmoni due pacchetti di sigarette fumati smaniosamente ogni giorno e la coscienza attraversata da un flusso ininterrotto di pensieri tossici: rimpianto, rimorsi, rancore, ansia da abbandono? Quando non trovi rifugio da nessuna parte e sei in balìa di quel che di peggio c’è dentro di te?

            Il libro parlava di tutt’altro, le domande erano altre, il caso era clinico. Ma la risposta a questo interrogativo potrebbe essere: è proprio per digerire anche questo che siamo qui? E che finché ci saranno condizioni propizie e condizioni non propizie saremo condannati all’eterno rimbalzo tra gli opposti, a essere miseri visconti dimezzati?

            Cogliere l’emozione al balzo

            Esistono emozioni negative? - By Tom Ordelman (User:Thor_NL) - Own reproduction, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=898174

            Torniamo infine alla pratica descritta nella stanza 101 del Vijñānabhairava Tantra:

            Se si rende la mente stabile nei vari stati di desiderio, rabbia, avidità, delusione, ebbrezza o invidia, allora rimarrà solo la Realtà sottostante a essi.

            Questo metodo di concentrazione è ascrivibile al mezzo divino, che secondo la tripartizione dello Shivaismo del Kashmir (formulata posteriormente al Vijñānabhairava) è il mezzo di realizzazione di natura più elevata. Il mezzo divino è infatti trascendente: se si coglie lo slancio di una forte emozione, qui si dice, è possibile convertirlo in concentrazione, andando direttamente al cuore dell’essere, alla Realtà sottostante, perché ogni manifestazione di energia, se non interferita, torna alla sua origine con tanta determinazione quanto è la sua intensità.

            C’è però un ma: ci vuole sangue freddo, ovvero non dev’esserci niente di personale, lo slancio dev’essere colto prima che intervenga qualsiasi ponderazione, ovvero prima che il senso dell’io si appropri dell’emozione. Per questo, c’è una finestra temporale estremamente breve per mettere in atto questa pratica. Se l’emozione non viene colta immediatamente, nel suo insorgere, non è più possibile convertirla nella concentrazione assoluta descritta nella stanza, perché non è più puro slancio senza crepe, ma è la rabbia di qualcuno verso qualcosa, è frammentazione.

            Un esempio. Chiunque, vivendo nel mondo odierno e in questa porzione di pianeta, ha delle attività a orari prefissati ogni giorno. È quindi del tutto plausibile che decidiamo di meditare a una data ora (dicono di meditare sempre alla stessa ora, come i pasti e il sonno) e proprio un attimo prima riceviamo una brutta notizia, abbiamo una discussione, o scopriamo che qualcosa è andato diversamente da quello che ci aspettavamo.

            È possibile che questo condizioni la qualità della pratica, ma è anche possibile, se prima di incorrere in alcuna considerazione si chiudono gli occhi con la stessa istintiva percezione di sé con cui ci si tuffa a corpo morto, senza trattenere nulla, è possibile, dicevo, che questa spinta indesiderata, questa cosiddetta emozione negativa ci scaraventi molto più in profondità di quanto non ci sia dato conoscere con tanti bei sentimenti e passi ordinati.

            Certo, se nel frattempo abbiamo cominciato a commentare, a controbattere, se abbiamo cominciato a stilare la memoria difensiva e a pianificare vendette, il treno è già passato, addio stanza 101.

            Nelle crepe dell’emozione

            Attenzione però: se la pratica appena descritta non è più possibile, non è detto che abbiamo perso il treno per conoscere la Realtà sottostante, che nessuna meditazione, nessuno yoga sia più possibile: sarebbe come dire, nell’ottica del Vijñānabhairava, che la facoltà di bruciare è distinta dal fuoco.

            La pratica della stanza 101, dicevamo, appartiene al mezzo divino, ovvero il mezzo più elevato secondo lo Shivaismo del Kashmir, che ne contempla però altri due. Questa tripartizione ha il vantaggio e lo scopo di riconoscere a ogni mezzo la relativa dignità e il relativo contesto: se fallisco in un approccio, ne avrò almeno altri due con cui tentare.

            Nella fattispecie, potrò tentare una via sicuramente più familiare, ovvero il mezzo individuale: faccio qualcosa, applico una tecnica. Questo mezzo è considerato tra i tre inferiore perché c’è qualcuno che fa qualcosa, ovvero rinforza la contrapposizione tra soggetto e oggetto. Ma travolti dallo tsunami di un’emozione estrema, praticare una forma di controllo del respiro o forzare il corpo scosso a entrare in un asana è in fondo come cercare di rispondere all’assalto di un orso: per quante glie ne riusciremo a dare, saranno pur sempre molte meno di quante ne prenderemo.

            È per questo che, almeno all’interno di questo quadro di riferimento, per far fronte a una violenta emozione, il mezzo mediano è forse l’unico praticabile per evitare il complicato labirinto di purificazione ed espiazione degli effetti dell’emozione stessa.

            Se il mezzo superiore trascende l’emozione mentre quello inferiore si pone sul suo stesso piano, il mezzo mediano, o potenziato, è al tempo stesso trascendente e immanente. Ciò significa che nel mezzo potenziato rimaniamo nel flusso organico delle percezioni, focalizzando l’attenzione non negli stati affettivi in sé ma nello spazio tra uno stato affettivo e l’altro.

            I modi sono molteplici, ma ad esempio possiamo farlo concentrandoci negli spazi tra le fasi del respiro (come nella stanza 25). È a mio parere accostabile al mezzo potenziato anche la pratica dei movimenti invisibili, tipica alla riformulazione moderna del cosiddetto ‘Yoga del Kashmir’: mentre sono in una posizione, evoco la sensazione (non penso al movimento, lo eseguo con la sensibilità) dei movimenti per entrare in un’altra posizione, come alzare un braccio, muovere le gambe o ruotare la colonna, ascoltando il corpo in carne ed ossa che rimane immobile ma non esente da reazione. Anche in questo caso, trovo una centratura tra la posizione attuale e la posizione evocata, sono nel flusso delle percezioni ma centrato nello stato intermedio.

            E in definitiva, come suggerisce la stanza 103:

            La mente non dovrebbe essere assorbita né dalla sofferenza né dal piacere. Dovresti conoscere lo stato intermedio (tra entrambi) – allora rimane solo la Realtà.

            Vijñānabhairava Tantra, 103

            Questo tipo di pratica è del tutto interiore e non immune da difficoltà (bisogna trovare l’interstizio, e a volte è un’operazione che richiede una creatività molto sottile), ma ha il potere di armonizzare le pulsazioni particolari dell’emozione con un ritmo più profondo, ampio e anteriore.

            Che è forse anche la risoluzione di ciò che chiamiamo emozioni negative: una frattura apparentemente insanabile, una dissonanza imperdonabile che trova infine il proprio posto (non è forse quello che reclamava?) nell’ambito di un’armonia più generale.

            Post scriptum

            Durante il ciclo di seminari Yogasana che si terrà tra settembre e novembre, Gioia Lussana parlerà, molto meglio e molto più precisamente di me, del mezzo potenziato sia da un punto di vista filosofico che pratico.

            Post post scriptum: come combattere un orso a mani nude

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            ↑1 Per questa stanza e per le seguenti ho tenuto come riferimento la versione e i commento di Swami Lakshman Joo, ultimo rappresentante della tradizione dello Shivaismo del Kashmir: Swami Lakshman Joo, Vijñāna Bhairava: The Practice Of Centering Awareness, Motilal Banarsidass, 2003
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            Yogasana 7: corpo, emozione, guarigione

            10 Luglio 2023 by Zénon

            La consapevolezza attraverso le emozioni: una prospettiva integrata tra pratiche psicofisiche moderne, neurofisiologia, yoga tantrico delle origini e Medicina Tradizionale Cinese – in 7 seminari online e in presenza


            Sappiamo davvero che cosa sono le emozioni? Quali sono le basi neurofisiologiche note del rapporto tra emozione e salute? Come può lo Yoga intervenire in questo ambito? Se l’emozione influenza la postura, la postura può davvero influenzare l’emozione in modo diretto? Quali prospettive filosofiche sono state espresse nell’ambito dello Yoga riguardo alle emozioni e quali sono gli strumenti pratici per rapportaci a esse? Esistono vie alternative a quella del distacco? Se è bene coltivare emozioni positive, come possiamo rapportarci a quelle negative senza reprimerle, visto che non possiamo evitarle?

            In questo nuovo ciclo di Yogasana, interamente dedicato al mondo delle emozioni, cercheremo le risposte a queste domande attraverso lo stato dell’arte della scienza medica, la visione filosofica dello Yoga Tantrico tradizionale e quella della Medicina Tradizionale Cinese, offrendo spunti di riflessione, competenze trasversali e strumenti pratici per relazionarci alle emozioni attraverso lo Yoga moderno, da praticanti e da insegnanti.

            Saranno con noi in questo percorso Gioia Lussana, PhD esperta nello Yoga tantrico delle origini, il prof. Marco Invernizzi e Francesco Vignotto.


            Contenuti

            • Il programma
              • I docenti
              • Contributo di partecipazione e attestato di frequenza
              • Iscriviti
              • Desideri maggiori informazioni?

              in presenza e online

              Il corso potrà essere seguito anche in differita tramite le registrazioni, che saranno disponibili il giorno dopo ogni seminario

              Il programma

              Tutti i seminari dureranno circa due ore e conterranno una parte teorica e una parte pratica. Potranno essere seguiti in queste tre modalità:

              • in presenza presso la nostra sede a Novara in via XXIII marzo al numero 17
              • online in diretta tramite la piattaforma Zoom
              • online in differita, tramite le registrazioni che saranno disponibili per la visione in streaming a partire dal giorno seguente

              Le registrazioni, assieme alle slide di ogni seminario, saranno a disposizione di tutti gli iscritti, anche di chi sceglierà di seguire in presenza.

              MODULO 1: Emozioni e patologie – La meditazione

              Online, giovedì 21 settembre ore 19.10-21.00
              Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

              La relazione tra emozioni e patologie è un tema che ha interessato la medicina fin dai suoi albori. In questo seminario Marco Invernizzi ci illustrerà come oggi, grazie anche all’avanzare delle neuroscienze, conosciamo molto di più sulle basi neurofisiologiche delle emozioni e la loro connessione con il sistema immunitario con importantissime conseguenze sia per la guarigione sia per la prevenzione.
              Nella parte pratica, vedremo come tutto questo ha una relazione importante anche per le pratiche psico-corporee e in particolar modo con la meditazione.



              MODULO 2: Emozioni e postura: un rapporto davvero così facilmente reversibile?

              Online e in presenza, giovedì 28 settembre ore 19.10-21.00
              Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

              Che gli stati d’animo e la postura si influenzino reciprocamente è noto ed è in fondo l’assunto alla base della pratica posturale dello Yoga. Ma quali sono le basi medico-scientifiche di questo rapporto? Ed è davvero così semplice ‘invertire’ il rapporto, ovvero utilizzare la postura per trasformare gli stati d’animo? Oppure emozione e āsana si devono incontrare in qualche luogo di confine?


              MODULO 3: Cosa sono le emozioni per lo yoga?

              Online, giovedì 5 ottobre ore 19.10-21.00
              Con Francesco Vignotto

              Cos’è una emozione? È davvero contrapposta al pensiero? Cosa intendevano gli antichi indiani con il concetto di mente-cuore? Le pratiche contemplative come lo yoga sembrano prescrivere il distacco, ma è l’unica via? Se l’emozione è energia, come rapportarsi a questa energia?
              In questo seminario affronteremo questi temi preliminari che avremo modo di approfondire secondo diverse prospettive. Nella parte pratica, affronteremo il grande interrogativo: cosa fare se sto provando un’emozione che almeno in teoria non è compatibile con la pratica, come la collera o la paura?


              MODULO 4: La centratura nel flusso delle percezioni

              Online, giovedì 19 ottobre ore 19.10-21.00
              Con Gioia Lussana

              Trovare un centro di tranquillità nel flusso dei pensieri e delle emozioni: potrebbe sembrare un concetto non troppo nuovo, abbastanza condiviso nell’ambito delle pratiche meditative. Il fatto è che, secondo lo Śivaismo del Kashmir medievale, ovvero l’espressione più raffinata dell’India Tantrica, questa operazione non dev’essere compiuta nell’ottica di un distacco dalle emozioni, ma rimanendo con le emozioni stesse, in quanto espressione della Coscienza da cui originano. Questo è śāktopāya, ovvero il mezzo basato sull’energia, che Gioia Lussana ci illustrerà proponendoci alcune pratiche tratte dal Vijñānabhairava Tantra, testo-radice di questa tradizione.


              MODULO 5: Il respiro come emozione fondamentale, tra neurofisiologia e Coscienza

              Online e in presenza, giovedì 2 novembre ore 19.10-21.00
              Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

              Dal punto di vista esperienziale, il respiro è emozione. Più che all’assenza di emozioni, il prāṇāyāma sembra mirare a quella emozione fondamentale che incontreremo nella teoria estetica nell’ultimo seminario e che costituisce la base, l’essenza di ogni altra emozione: la pace.
              Tuttavia, nel rapportarci con il nostro stesso respiro incontreremo inevitabilmente, dei conflitti, il più delle volte emotivi.
              Uno sguardo alla neurofisiologia del respiro, ovvero a come il respiro viene controllato dal sistema nervoso autonomo, su come le emozioni possano influenzarne il funzionamento, e su come il controllo corticale volontario può intervenire ed entro quali limiti, ci aiuterà a comprendere meglio la questione per ritornare a praticare con maggiore consapevolezza e maggiori strumenti.


              MODULO 6: L’equilibrio delle emozioni nella Medicina Tradizionale Cinese e nelle Pratiche di Lunga Vita

              Online e in presenza, giovedì 16 novembre ore 19.10-21.00
              Con Marco Invernizzi

              La teoria delle emozioni nella Medicina Tradizionale Cinese ci invita ad andare oltre la classica e istintiva distinzione tra emozioni negative ed emozioni positive. Fondamentale è infatti il concetto di equilibrio, senza il quale anche l’eccesso di un’emozione positiva come la gioia può essere fonte di disarmonia. In questo seminario, Marco Invernizzi ci illustrerà il ciclo delle emozioni, ognuna delle quali è associata a un elemento e a un organo, e le Pratiche di Lunga Vita (Daoyin, Qi Gong) connesse per riportare l’equilibrio.


              MODULO 7: Lo yoga della bellezza

              Online, giovedì 30 novembre ore 19.10-21.00
              Con Gioia Lussana

              Qual è l’unico ambito in cui tutte – e diciamo proprio tutte – le emozioni hanno pari dignità? La risposta è sotto i nostri occhi, ma forse non è così scontata: nell’esperienza estetica dell’opera d’arte. Non a caso, lo Śivaismo del Kashmir medievale riconosceva proprio al godimento estetico la stessa valenza dell’esperienza mistica. Chiudiamo questo percorso di nuovo in compagnia di Gioia Lussana, che ci spiegherà perché il tantrismo indiano attribuiva così tanta importanza ai Rasa (ovvero i sentimenti archetipici risvegliati dall’opera d’arte) e perché l’argomento è di estrema importanza e attualità anche per noi.


              Un momento della didattica, durante la prima edizione di Yogasana


              I docenti

              Marco Invernizzi

              Medico e Professore associato presso la cattedra di medicina fisica e riabilitativa dell’Università del Piemonte Orientale.
              Agopuntore ed esperto in Medicina Tradizionale Cinese, insegnate di Tai Chi e Qi Qong presso Zènon.

                Francesco Vignotto

                Insegnante di yoga e meditazione presso Zénon.

                  Gioia Lussana

                  Docente yoga (Y.A.N.I.) e formatrice di insegnanti yoga. Laureata cum laude in Indologia con R.Gnoli e R.Torella. Co-fondatrice dell’A.ME.CO con Corrado Pensa, per oltre 20 anni ha approfondito la meditazione vipassanà con maestri del buddhismo contemporaneo. Ha pubblicato saggi sullo yoga in riviste scientifiche (RSO) e divulgative. Ha conseguito il PhD presso l’Università Sapienza di Roma con una ricerca sullo yoga tantrico delle origini.

                    Contributo di partecipazione e attestato di frequenza

                    Il contributo di partecipazione del corso (comprensivo dei 7 seminari) è di 300€. Non è possibile iscriversi a singoli seminari, in quanto il corso è da intendersi come un blocco unitario.

                    Al termine del percorso – con una frequenza minima dell’80% delle lezioni – verrà rilasciato un attestato di frequenza.

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