Quando si diventa insegnanti di yoga? Il giorno in cui ricevi un attestato con un numero di ore? Prosegue la riflessione su cosa significa essere insegnanti oggi, in un mondo in cui sempre più persone sono ‘certificate’.
Qualche mese fa ho ricevuto una proposta di collaborazione presso il nostro centro, non importa tanto per quale attività, quanto il fatto che l’email di presentazione conteneva in allegato il diploma, conseguito il giorno stesso dell’invio.
Questi ultimi due dettagli mi hanno fatto riflettere, in primo luogo perché non mi sarei mai sognato di chiedere al mittente se avesse un certificato per l’attività che mi proponeva, né avrei chiesto di vedere con i miei occhi il pezzo di carta; in secondo luogo, perché ormai sembra naturale dover avere un diploma per fare qualsiasi cosa, e soprattutto è ormai automatico sentirsi legittimati a farlo dal giorno in cui lo si riceve.
Nel caso dei diplomi più ambiti, come pare essere quello da insegnante di yoga, il conseguimento sembra essere qualcosa di più: la possibilità di essere qualcuno, non semplicemente di appartenere a una categoria, o ricoprire un ruolo e svolgere modestamente ma con risonanza una funzione.
Del resto i percorsi per arrivarci, dalla chiamata alle armi alla foto finale di gruppo con il pezzo di carta, sono consciamente e inconsciamente progettati per questo. Che poi questo essere qualcuno sia molto spesso una etichetta di una lunga stringa di frammenti identitari estremamente volatili e intercambiabili fra loro, ma presi terribilmente sul serio per un battito di ciglia, è altro discorso che lasciamo volentieri a persone esperte in materia di psicologia sociale.
Ma per fortuna tutto questo, almeno nello yoga, riguarda la schiuma, e come ogni bolla, anche quella degli insegnanti di yoga certificati ovunque sarà destinata a sbocciare dissolvendosi nell’aria, senza grandi traumi per le acque profonde.
È anzi proprio parlando con persone che hanno già fatto fronte a una certa disillusione che mi capita di incontrare i soggetti più interessanti. In alcuni casi, si tratta di persone che hanno già alle spalle una formazione di parecchie centinaia di ore nominali, eppure riconoscono che il distintivo non ha fornito loro l’essenziale; altre, a fronte di un interesse verticale per lo yoga, si sono trovate a insegnare perché le circostanze lo hanno richiesto, senza aspettare che qualcuno desse loro il permesso e al tempo stesso senza averlo granché agognato.
In entrambi i casi, ad affascinare è proprio il senso di insoddisfazione, la consapevolezza che le risposte non posso essere ricevute da altri, per quanto autorevoli, e che nessun assioma scolpito nella pietra può avere l’ultima parola sul potere infinitamente generativo della realtà.
Proprio una di queste persone, qualche settimana fa, mi ha confessato con un certo imbarazzo di come, sempre studiando e sempre alle ricerca di risposte su come interagire con i propri allievi e con i loro problemi, non avesse quasi più il tempo per una pratica sua personale.
È qui invece che, le ho ribattuto, si riconosce il vero insegnante: quando non pratichi più per te soltanto, ma la tua pratica diventa una esplorazione senza fine per comprendere come percepisce il mondo l’allieva con la fibromialgia od operata al seno, quello col Parkinson e quello che soffre di attacchi d’ansia. Ovviamente non lo comprenderai mai del tutto, ma il saper essere testimone è ancora più importante delle strategie che proporrai.
Cominci ad essere insegnante, rifletto ancora, quando inizi a studiare mettendo in discussione anche il tuo imprinting, poco preoccupandoti di ricevere attestati o di trovare una platea per esibire il tuo sapere. Quando in un movimento avverti appena la zona lombare e ti domandi se con una discopatia anche quella minuscola goccia potrebbe far traboccare il vaso, e tra il salvare la forma letterale o preservare l’essenziale, non hai dubbi che sceglierai l’essenziale.
Quando, infine, capisci che non c’è pratica personale e pratica per o con altri, che non esiste la tua energia e quella di altri, perché o ci abbeveriamo tutti alla stessa improsciugabile fonte o è un impostura, l’unica differenza è conoscere e saper mostrare accessi più sgombri da detriti di altri, saper aiutare a smurarne l’acqua, anche in apparente assenza di qualsiasi breccia: ecco il momento in cui diventi insegnante. Il giorno in cui ricevi il diploma è troppo tardi.
Paola Gioffredi dice
La mia prima maestra Gabriella Cella, si arrabbio’ molto quando, all’esame del primo anno del corso insegnanti dissi candidamente di non avere allievi perché aspettavo il diploma x sentirmi autorizzata a insegnare. Mi fece promettere, per accedere al secondo anno, di trovarmi subito un gruppo di persone con cui condividere la pratica. Disse che erano fondamentali x il mio apprendimento. Lo feci e oggi sono molto grata a lei e a questi fiduciosi allievi della prima ora (che praticano ancora con me). Per me insegnare è innanzitutto condividere, un percorso, un sentire, parole risonanti che possano fare breccia, perché emerse dal profondo. XXX
Zénon dice
Grandissima Gabriella Cella, che appartiene a un’epoca pionieristica dove la sperimentazione e l’esperienza valeva molto di più dei percorsi predefiniti e uguali per tutti. Ma forse non bisogna nemmeno parlare al passato, perché sotto la schiuma ci sono ancora tante realtà dove è ancora così e probabilmente, passata la sbronza, saranno le uniche a lasciare un segno. Grazie Paola per aver condiviso questo aneddoto. particolare.