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Zénon Yoga Novara

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Su Giorgio Invernizzi

Su Giorgio Invernizzi

Medico e specialista in Chirurgia Generale e Chirurgia Vascolare ha esercitato per 20 anni nel reparto di Chirurgia dell’Ospedale Maggiore di Novara.
Da oltre 30 anni si occupa di medicine complementari. In particolare è da oltre 20 anni medico tibetano ed esperto conoscitore delle tecniche di guarigione della Tradizione Tantrica Tibetana. È stato il primo presidente del new Yutok Institute, istituto per la diffusione e la pratica della medicina tibetana in Italia ed allievo del Dr. Pasang Yonten Arya, ex rettore della Scuola di Medicina Tibetana dell’Università di Dharamsala (India), sede del governo provvisorio tibetano in esilio. Agopuntore ed esperto in Medicina Tradizionale Cinese da oltre dieci è docente della scuola di Agopuntura, Medicina Tradizionale Cinese, Tai Chi e Qi Qong ALMA di Milano, scuola legata alla F.I.S.A., Federazione Italiana delle Società di Agopuntura che coordina la maggioranza delle Associazioni, delle Scuole e dei Medici Agopuntori italiani.
Profondo conoscitore della Tradizione Taoista, praticante di Qi Qong da oltre 20 anni, in particolare del Qi Qong medico e della sua applicazione pratica nella guarigione e autoguarigione.

Coronavirus e Teoria del Caos

30 Aprile 2020 Giorgio Invernizzi


“Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?” fu il titolo della conferenza tenuta da Lorenz nel 1972 che portò un grande contributo a quella che oggi chiamiamo Teoria del Caos o Teoria della Complessità.

La Teoria della Complessità studia il comportamento dei sistemi complessi, così chiamati perché l’insieme dei molteplici elementi e connessioni da cui sono formati descrive una realtà che è superiore alla somma delle sue parti. L’aspetto più interessante dei sistemi complessi è l’adattatività che permette loro di apprendere continuamente con l’esperienza e perciò di evolvere nel tempo.

Lo studio dei CAS (Complex Adaptive Systems) ha prodotto algoritmi non lineari che sono oggi applicati con successo per descrivere le dinamiche di cellule, organismi, animali, uomini, organizzazioni sociali, politiche, economiche, intere civiltà.

E che cosa è questo Caos se non la danza frattale di un unico Sistema Vivente come da tempo immemorabile sostengono le Tradizioni Alchemiche?

E alla fine arrivò la farfalla caotica del coronavirus…

… svegliando col suo leggiadro battito d’ali un mondo rapito nel sogno dell’infinito progresso lineare, in realtà adagiato nel baratro da lui stesso scavato, in termini clinici una vera e propria psicosi.

Degli aspetti strettamente medici sul coronavirus c’è ben poco da dire perché è sotto gli occhi di tutti quanto la scienza medica si sia fatta cogliere impreparata a gestire una pandemia su cui peraltro si chiacchierava da tempo in prestigiosi congressi medici. Le caratteristiche che la pandemia ci mostra di giorno in giorno pongono infinite domande cui la scienza medica dovrà cercare di rispondere.

Comunque pare un dato assodato che l’infezione, anche se contagiosissima, non sia minimamente pericolosa per bambini e donne gravide, riservando ad anziani e persone con fragilità immunitaria i quadri più infausti fino alla morte.

In termini evolutivi per il genere umano non sembra quindi una minaccia ferocemente contraria alla vita e parlandone in linguaggio poetico, sembra più un gelido vento autunnale che una tempesta di primavera che distrugge i teneri germogli.

Da tutte le parti si sente dire che nulla nella nostra vita sarà come prima e forse, vista la catastrofe in atto, è la pura e semplice verità, ma la natura cataclismatica della pandemia si manifesta maggiormente in funzione delle reti sociali in cui si sviluppa, le grandi concentrazioni industriali del mondo civilizzato che qui manifestano tutta la loro fragilità, facendo saltare ogni tipo di bluff.

Peraltro, studiando le Civiltà come sistemi complessi appare chiaro che esse seguano percorsi simili a quelli di ogni vivente tra nascita e morte, vivendo giovinezze vitali e tumultuose, maturità splendenti e vecchiaia fragile e senza forze: l’algoritmo che le descrive è lo stesso dell’essere umano che a sua volta può accettare la sua storia evolutiva, oppure opporsi con ostinazione lineare alle leggi caotiche che la governano.

La differenza tra le due modalità di reazione è segnata da un sigillo cognitivo che trattiene alcuni nella visione lineare dell’infinito progresso materiale e concede ad altri la visione complessa del caos deterministico che è la Danza della Vita.

Le Civiltà generano sempre una visione di ordine sociale sostenibile ma quando in esse prevale l’aspetto dominatore e predatore sempre latente, nasce l’Impero che ha come suo principale obbiettivo la quantità a scapito della qualità, eliminando le contraddizioni e omogeneizzando la diversità umana per il massimo profitto. La visione che sostiene questa strategia è sempre basata su di un pensiero lineare che cerca l’immutabilità nel tempo, l’immortalità materiale: dal punto di vista clinico è una psicosi, dal punto di vista religioso è una idolatria.

Il sogno di eternità materiale dell’Impero si manifesta nel conferimento del nome: Sacro Romano, Britannico, Germanico, Sovietico, Democratico, ecc., rito ingenuo di immortalità che giustifica il termine Impero, in virtù della particolare eccezionalità di un dogma o di una etnia umana che si autoconferisce il privilegio di decidere della vita altrui.

Il fondamento “scientifico” dell’Impero è la visione lineare che gli dà la sicurezza di poter violare la Danza della Vita, le leggi caotiche di nascita e morte, sognando la crescita infinita.

La fase agonica dell’Impero che ha segnato profondamente una Civiltà non è un fenomeno nuovo, almeno nell’arco della storia umana conosciuta. Quando la Danza della Vita sveglia bruscamente il sogno senile dell’Impero, tutto può divenire molto critico: l’assertività può diventare una farsa e il terrore generare solo sberleffi.

Anche la paura di morire affretta la fine del sistema con l’autoinganno che celebra una potenza ormai svanita e con il politically correct che impedisce risposte creative: tutti sentono l’odore del cadavere ma non se ne può parlare e soprattutto non si deve agire.

E se in questo momento la delicata farfalla sbatte le sue ali innocenti…

…allora la tragedia quotidiana già totalmente presente emerge come un tornado svelando ogni bluff lungo tutte le linee di faglia del sistema, condannato dalla cecità culturale a non risorgere dalle proprie ceneri.

E veniamo al nostro tornado nel cortile di casa.

Come è evidente a tutti, l’Impero Occidentale, ingolosito dalla sua avidità lineare (più guadagno, più potere), ha lanciato nella globalizzazione una massa critica di relazioni materiali e immateriali che per un momento ne ha mondializzato la dimensione, rendendolo attore unico e dominante. Questa unicità, grande e clamorosa vittoria (PNAC, Progetto per il Nuovo Secolo Americano) però ha rotto irrimediabilmente l’algoritmo che permetteva all’archetipo imperiale di mantenersi indefinitamente, cioè la compresenza di due o più imperi in lotta fra loro per il posto di etnia dominante, come nella Seconda Guerra Mondiale e nella Guerra Fredda.

Ma questo, per chi lo conosce, è uno dei segreti movimenti del Caos

È la qualità che emerge caoticamente dalla quantità.

Così al culmine della dominanza mondiale l’Impero Occidentale perde definitivamente la sua identità rompendo l’algoritmo che giustifica il dominio: vittorioso nella guerra, travolto dalla vittoria.

L’algoritmo che sostiene l’identità imperiale necessita infatti di un impero antagonista con cui perpetuare il sanguinoso schema lineare di scambio di dominio sugli stessi sudditi, fenomeno che abbiamo visto in azione nell’equilibrio politico mondiale da secoli.

Al culmine della vittoria, imprigionato nella visione quantitativa lineare, l’Impero ha sottovalutato le insidie del caos delocalizzando le imprese in Oriente ed è finito allegramente in fuori-gioco.

Nel frattempo la sua opposizione in Oriente si è organizzata in una reazione caotica non lineare, la cui manifestazione più importante è stata la generazione del progetto Via della Seta, incentrato non sulla conquista di territorio ma sul controllo delle reti di comunicazione, strategia e tattica che ha il suo fondamento nelle radici millenarie della cultura cinese: taoismo, buddhismo, confucianesimo.

Il Dao, la Via, è forse il concetto più pregnante alle radici del pensiero cinese e segnala la complessità delle leggi caotiche non lineari che regolano l’universo macro e microcosmico cui il saggio si adegua con intelligenza, con passione e con disciplina.

L’aspetto forse più significante è la differenza nel concetto di ordine sostenibile legato alle reti (la Via) e non al possesso (l’Impero) e nel metodo di relazioni win-win e non predatore-preda.

Vedremo se la Cina saprà resistere alla tentazione di subentrare nel Grande Gioco con un nuovo Impero Cinese oppure, ritagliandosi il ruolo di fedele custode della Via, accetterà di partecipare alla continua trasformazione caotica dell’evoluzione umana indicando al mondo il destino della fenice rossa taoista che risorge sempre dalle sue ceneri.

E mentre la farfalla innesca il tornado tra Imperi lineari e Vie caotiche perché non approfittare del vortice per guarire un po’ la nostra presente invalidità?

Potremmo cominciare con una riflessione generale: quanta illusione lineare alberga ancora nella nostra vita costruendo continui bluff e anestetizzando il sentire del cuore? Quanto dovremo ancora soffrire prima di riuscire a riabilitare il canale cognitivo con la Vita, la conoscenza esperienziale che ci porta verso il destino della vera immortalità?

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Archiviato in: Articoli, attualità

“Ma a cosa serve lo yoga?” “A riabilitare gli invalidi”

26 Febbraio 2019 Giorgio Invernizzi

Un osservatore alieno del traffico di una grande città concluderebbe oggi che rari esemplari umani hanno ancora le gambe, mentre la maggior parte di essi le ha sostituite con velocissime protesi a ruote che permettono di fare meglio alcune cose ma sicuramente a scapito di altre.

Noi sappiamo che in realtà non è proprio così, però sappiamo anche che una caratteristica comune degli umani e di tutti gli organismi viventi è la capacità di apprendimento che può amplificare a dismisura una abilità acquisita riducendo in proporzione la rappresentazione mentale di quelle precedenti fino alla loro estinzione.

Per questo motivo oggi, in assenza di correzioni critiche, può succedere agli umani che, tanto più corrono sicuri sulle loro ruote, tanto meno ricordano come camminare sulle proprie gambe.

Il perché di queste curiose riflessioni è presto detto: fuor di metafora volevo focalizzare l’attenzione sulla perdita della percezione del sacro nella dimensione culturale contemporanea e sui problemi emergenti.

In realtà, più che disquisire sugli aspetti filosofici del rapporto natura-cultura su cui sono già stati spesi fiumi di inchiostro, con questa metafora volevo introdurre un po’ di concretezza popolana nel sofisticato dibattito fra studiosi di yoga sulla diatriba tra yoga moderno e fonti (o pseudofonti) tradizionali.

Poiché è facile discutere nella totale incomprensione reciproca, mi sembra doveroso chiarire dall’inizio alcuni punti chiave dell’esposizione.

La concretezza popolana cui alludo è l’osservazione disincantata e talvolta irriverente della realtà quotidiana con i suoi drammi e le sue glorie, che per il ricercatore sono sempre e solo occasioni di riflessione e di conoscenza.

In quest’ottica il percorso di riflessione è sempre dalla Vita quotidiana al Libro, percorso che è sempre stato proprio del mistico immerso nella Tradizione, opposto al percorso del dotto, studioso della Tradizione, dal Libro alla Vita.

In realtà si tratta di due mestieri differenti, certo non confrontabili fra loro in una unica scala di valori, con le loro difficoltà, insidie e realizzazioni, entrambi di grande utilità sociale se ben utilizzati.

Tra le due figure oggi è forse il mistico a percepire per primo la gravità della epidemia involutiva in corso che induce nell’uomo la perdita della percezione del sacro, mentre il dotto si attarda a interrogare biblioteche vere o fasulle. La percezione del mistico, invece, lo spinge a rivolgere a tutti i benevolenti un invito pressante per trovare insieme un rimedio, riattivando il contatto con la Tradizione.

Con il termine Tradizione intendo il fiume tumultuoso e ininterrotto che scorre nella storia dell’umanità nel luogo interiore che interfaccia il mondo personale e transpersonale, il sacro e il profano, luogo di elaborazione creativa nel contatto con le forze archetipiche.

In questa accezione esiste un solo fiume che nutre la Civiltà umana con infiniti gorghi che ne segnalano la variabilità spaziotemporale, le singole tradizioni che il dotto giustamente indaga con lo studio comparato dei libri storici.

Come nella metafora iniziale sull’uso delle ruote che atrofizza la natura delle gambe, possiamo considerare la perdita della percezione del sacro la malattia involutiva che origina dal trauma di amputazione della Tradizione dalla coscienza individuale e collettiva.

Questo trauma è il frutto di una aggressione geopolitica globale, operazione di soft power attuata mediante l’instillazione di una fideistica credenza collettiva nel futuro progressivo come valore in sé.

Ovviamente, nella stessa logica culturale, coloro che finora si sono occupati della cura hanno proposto una riabilitazione puramente sintomatica, lasciando la malattia al suo aggravamento naturale: al grave invalido spirituale è offerta solo la stampella del pensiero debole e la carrozzina del politically correct.

Da questa lettura emerge che il problema epistemologico per eccellenza è come colmare la distanza tra ognuno di noi e il fiume della Tradizione che assicura la vita, sia spirituale (evoluzione) che materiale (creatività, ricchezza).

Questa distanza è anche il segno reale del potere, personale, collettivo e transpersonale che condiziona occultamente le grandi scelte geopolitiche mondiali.

Stare completamente nel fiume della Tradizione significa sentirsi un frammento stesso della Tradizione che agisce con completezza il diritto-dovere di trasformarne continuamente l’aspetto fenomenico per renderla tessuto vivente nella quotidianità.

In questo progetto di vera riabilitazione dell’unità spirito-mente-corpo acquista senso la proposta delle pratiche psicocorporee come uno degli strumenti per riattivare la percezione del sacro, insieme a tutti gli altri strumenti conosciuti: terapia medica, arte, via spirituale come percorsi ottimali potenzialmente aperti a tutti perché tutti ora cominciano a soffrire più che a godere dello status quo globalizzato.

La particolarità dell’epoca odierna è l’approdo, quasi sempre inconsapevole ma intenso per il livello di sofferenza, di una massa critica alla soglia che innesca fenomeni sociali, politici, culturali talvolta dirompenti oltre lo status quo.

In questo scenario la discussione sulle pseudoradici delle informazioni tramandate è decisamente un aspetto non strategico ma tattico e la verifica della loro utilità è possibile solo sul campo all’interno di un progetto strategico.

Chissà se con queste riflessioni potremo finalmente rispondere alla domanda che il popolano rivolge al dotto, domanda burina finché si vuole ma profondamente vera nel cuore, ‘ma a cosa serve lo yoga?’, dichiarando apertamente ‘a riabilitare gli invalidi’.

Ed è nell’emergenza di trovare al più presto un rimedio all’invalidità spirituale che mi sento di invitare ad una maggior attenzione alla sofferenza comune l’élite intellettuale dei dotti yogici studiosi delle tradizioni, dicendo con Deng Xiaoping: non importa che sia un gatto bianco o un gatto nero, se cattura i topi è un buon gatto.

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Archiviato in: Articoli, filosofia, scienza

Il Paradigma Riduzionista e il Paradigma Olistico

2 Maggio 2016 Giorgio Invernizzi


Se vogliamo cercare di comprendere la Rivoluzione Scientifica in corso, dobbiamo partire anzitutto da quella che è oggi l’interpretazione più corrente del conflitto, l’apparente contrapposizione del Paradigma riduzionista (materialismo, neo-darwinismo) vincente per potenza economica, e del Paradigma olistico (spiritualismo, new age) arroccato in nicchie difensive.

Il termine apparente contrapposizione è volutamente provocatorio e cerco di spiegare il perché. Come facciamo ad identificare il luogo-cerniera intorno al quale ruota una Rivoluzione Scientifica? La sua caratteristica peculiare di solito è quella di essere un luogo molto turbolento e anche talvolta grossolano, assai lontano dai toni garbati della mediazione.

In realtà è un confine di inversione dei movimenti energetici fondamentali, un vortice di confine morte-nascita di due mondi che si muovono con dinamiche mentali, emozionali, materiali opposte, uno morente che si cristallizza in un crescente deficit di energia, l’altro nascente con energie esuberanti e caotiche, poco controllate.

Rispetto a questo scenario, come ho argomentato parzialmente in altro articolo (Medicina Disintegrata), la vulgata corrente che contrappone i due Paradigmi, riduzionista e olistico, non regge perché entrambi puzzano di cadavere e non si sente l’odore tipico del neonato.

Fuor di metafora, è convinzione personale che entrambi i Paradigmi stiano al di qua di una soglia di nascita che sola potrebbe esprimere un vero e proprio tsunami di creatività scientifica e tecnologica nella vita quotidiana, fenomeno che proprio non si vede.

A ulteriore conferma vediamo invece, specialmente nel mondo occidentale, continui esempi in politica, in economia, nella cultura, di apparenti contrapposizioni totali cui sottostanno patti occulti di non belligeranza costruiti sui conflitti di interesse.

Indubbiamente questa soglia nascita-morte ha sempre fatto paura all’uomo, sia che si tratti di varcarla biologicamente che culturalmente o esistenzialmente. Nell’ipotesi qui sostenuta, la soglia su cui entrambi i Paradigmi sono oggi bloccati rappresenta l’attuale limite evolutivo dell’essere umano. Su questa soglia egli consuma le sue risorse materiali e immateriali nel dilemma a favore della materia o a favore dello spirito, sottraendole a quel passaggio evolutivo che potrebbe produrre lo sviluppo di una visione unificante.

Il cuore del conflitto bloccato è la valutazione del principio ultimo di realtà, per cui nel Paradigma riduzionista esiste solo il piano materiale e quello spirituale è al massimo una sua produzione sottile, mentre nel Paradigma olistico esiste il piano spirituale che interagisce molto misteriosamente con il piano materiale. L’interazione, in larga parte fuori dalla conoscenza umana, rende impossibile definire in modo scientifico la relazione tra i due piani, quella Scienza dello Spirito che invece è ampiamente custodita nella Tradizione.

Nella coscienza contemporanea l’emergere del conflitto tra cosmogonia riduzionista e olistica causa una lesione della psiche umana, una vera e propria sindrome psichiatrica collettiva, in cui l’uomo, frammentato dalle antinomie tra le branche del sapere, perde il senso della realtà e della propria identità, quindi potere personale e creatività.

Nel tempo, il procedere del conflitto costringe entrambi i contendenti a blindarsi dedicando sempre più energie alla propria difesa in un processo che li porta a formalizzarsi come strutture religiose, vere e proprie Chiese. Con questo termine intendo, al di là delle istituzioni che si autodefiniscono come tali, tutte le strutture collettive che assumono caratteristiche formali e funzionali simili ad esse per la loro autoconservazione.

Tutte le Chiese sono infatti dotate di una cosmogonia, di una morale, di un clero e di riti di inclusione e di esclusione.

Chiesa Scientista e Paradigma riduzionista

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Il Paradigma riduzionista, sostenuto dall’imponente sviluppo tecnologico e finanziario, rappresenta una vera e propria cattedrale di pensiero omnipervasiva nel mondo attuale e al centro della sua cosmogonia sta la visione desacralizzata del mondo.

Il core-business di questo sistema è costituito da una serie di contenitori culturali soggetti a controllo totale da parte dell’establishment, chiamati evoluzionismo neo-darwiniano, neuroscienze, genomica. Essi sono considerati strategicamente sensibili per la loro proprietà di conferire all’uomo la visione di sé e del mondo, da cui derivare una morale, schemi normativi di comportamento chiamate in questo catechismo linee guida.

La difesa dei contenuti è affidata ad un clero, casta autoreferenziale costituita dagli adepti alle istituzioni scientifiche, organizzazioni nutrite e protette dal potere finanziario e politico (Università, Centri di ricerca).

L’appartenenza alla casta è regolata da riti ben codificati, rigidi meccanismi di cooptazione ed esclusione che selezionano gli individui cui conferire lo status sociale di studiosi esperti, veri e propri sacerdoti celebranti i riti culturali del sistema (Congressi scientifici, divulgazione mediatica).

La sanguinosa guerra che oppone la religione positivista a quelle perdenti devasta il pianeta da almeno trecento anni e impone al mondo la Chiesa Scientista, dotata di veri e propri fondamenti dogmatici, di un consensus particolarmente diffuso nell’umanità economicamente privilegiata, di un potere militare e politico di primaria importanza, nonché di una struttura di intelligence in grado di infiltrare e indebolire le religioni soccombenti.

Pur mimando in molti punti le religioni rivelate, la Chiesa Scientista pone a suo fondamento un principio opposto a quello da esse sostenuto: il vero dio è l’uomo fisico, signore della materia che egli può manipolare a suo piacimento con la tecnologia, celebrando i propri miracoli nei riti della divulgazione televisiva, per il popolo ignorante e consumatore.

Con l’avvento al papato di Benedetto XVI, cui non difettava profonda sapienza e lucidità filosofica, la Chiesa Cattolica è sembrata riprendersi dal morso velenoso della Chiesa Scientista che l’ha paralizzata con il veleno della fascinazione culturale e la suggestione del denaro di usura. Con voce chiara egli denunciò l’aggressione mortale all’umanità del dogma scientista, per l’equivoco sulla definizione del vivente, matrice della deriva materialista contemporanea.

Lasciando ai teologi il compito di fare chiarezza al loro interno, ritengo sia maturo anche per gli scienziati il problema della libertà di ricerca, ricominciando a criticare i fondamenti teorici ed epistemologici della scienza, con l’ambizioso progetto di ridefinire l’attuale paradigma del vivente.

Si potrebbe cominciare da una visione critica dell’attività clinica, che nel Paradigma riduzionista perde valore perché è frammentata: intorno alla sofferenza umana intervengono tre operatori, il medico, lo psicologo e il sacerdote, con competenze separate su corpo, mente e spirito. La loro separazione, quasi sempre consensuale, li confina in tre mondi convenzionali senza comunicazione reciproca, in cui si perde la visione complessa della sofferenza umana e il senso escatologico dell’evoluzione.

Il frutto più evidente in campo scientifico è il medico specialista applicato allo studio riduzionista di cellule e organi, incapace di comprendere l’insieme complesso del vivente con la sola biologia molecolare e le biotecnologie da essa derivate.

Chiesa New-age e Paradigma Olistico

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Nel conflitto materia-spirito il Paradigma olistico si oppone come polo alternativo al Paradigma riduzionista, questa volta a favore dello spirito.

Da un punto di vista filosofico il Paradigma olistico sottintende una cosmogonia binaria che prevede il polo materiale della Terra e il polo spirituale del Cielo ma, avendo perso la chiave di conoscenza complessa contenuta nella Tradizione che chiariva la rete di connessione tra i due poli, la descrive sempre in modo confuso o non la descrive affatto.

A questo punto fra i due poli finisce per esserci uno spazio interpolare inesplicabile e impredicabile, privo di congetture, da cui deriva una frattura nel continuum della realtà che impedisce il progredire della conoscenza e porta acqua al mulino del riduzionismo che ha facile denuncia di questa difficoltà.

Questo spazio invece è da sempre al centro della ricerca scientifica nella Philosophia Perennis, ma i profeti della religione new age si sono occupati più di come intrattenere i turisti dell’esoterismo di massa che di cercare la Scala di Giacobbe di cui parla la Bibbia: “E sognò di vedere una scala che poggiava sulla terra e la sua cima raggiungeva il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa”. (Genesi; 28,12).

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Raffaello Sanzio, La scala di Giacobbe

Anzi, l’interesse sembra opposto, come mostra il successo commerciale delle scuole PNL (Programmazione Neuro-Linguistica), in cui viene insegnata una sofisticata tecnologia psichica per modificare i blocchi relazionali a fini utilitaristici, ma indifferente al rapporto tra l’io personale e l’Archetipo collettivo, asse portante dell’evoluzione.

Al di là di intuizioni e affermazioni molto suggestive, i seguaci new-age finiscono col confinarsi all’interno di una visione ingenua e onnipotente di magia antropocentrica alla ricerca di un benessere consumistico, particolarmente rischiosa per la concomitanza di due fattori:

  • l’ignoranza della Philosophia Perennis, la conoscenza tradizionale che codifica l’interazione creativa con gli Archetipi, anima vivente del mondo materiale;
  • l’uso incongruo di pratiche esperienziali che la Tradizione utilizza in altro modo e che li espone in modo indifeso all’infuenza diretta del mondo archetipale (vedi Costellazioni famigliari), interazione talvolta complicata da sostanze psichicamente attive.

Che fare?

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In conclusione sembra che il conflitto tra i due Paradigmi stia in realtà avvenendo intorno alle spoglie del sacro, ucciso da tre secoli di positivismo, spoglie preziose per gli spiritualisti che le idolatrano, pericolose per i riduzionisti che le temono. La logica conseguenza di questa lettura è la necessità di schierarsi all’interno delle due Chiese, scientista od olistica, per ogni persona responsabile del proprio ruolo storico attuale.

Ma forse è una lettura troppo limitata ed è possibile che il fronte della Rivoluzione Scientifica possa essere altrove, per cui la mia analisi punta in un’altra direzione. Tornando all’immagine del vortice morte – nascita richiamato in precedenza, è in questa direzione che si sente il rumore del cambiamento, come capita in prossimità delle cascate scendendo le rapide del fiume. È questo vortice il luogo turbolento e non politically correct dove si consuma la distruzione-costruzione di un mondo che è al di là della nostra immaginazione.

Al di qua cogliamo solo i segnali indiretti come l’attrito generato dalla perdita del sacro e l’arruolamento nelle due chiese che rende tutti i contendenti perdenti totali, nello stallo evolutivo e nella dispersione delle risorse.

Il punto critico del cambiamento verte oggi non tanto sull’esistenza oggettiva del sacro ma sul superamento dei limiti personali e collettivi che ne bloccano la conoscenza e il passaggio da questa soglia riguarda la paura della morte che impedisce all’uomo di nascere integrato alla luce trascendente nella vita quotidiana.

Ma cosa c’è al di là? Sicuramente il futuro evolutivo dell’umanità e, a coloro che sono disposti ad abbandonare il conflitto sulle spoglie residuali del sacro per varcarne la soglia, la Tradizione offre il suo veicolo, il Paradigma Alchemico, tesoro di conoscenza e di pratiche esperienziali, a cui conviene accostarsi più spogliandosi che acquisendo ornamenti culturali.

Ma di questo prezioso strumento di viaggio, antichissimo e terribilmente innovativo, parleremo nei prossimi articoli (Il Paradigma Alchemico).

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Archiviato in: filosofia, highlights, scienza Contrassegnato con: costellazioni familiari, sacro, scienza, spiritualità

Il concetto del sacro

27 Aprile 2016 Giorgio Invernizzi


Nella Tradizione il concetto del sacro rappresenta l’istruzione primordiale che completa quella della proprietà privata: l’uomo non è il proprietario delle risorse mentali, emozionali e materiali che trova dentro e fuori di sé, ma solo l’amministratore. Come succede all’interno di un’azienda, il tentativo di eliminazione del proprietario da parte dell’amministratore può portare a gravi conflitti e al danneggiamento dei beni amministrati.

Nella Tradizione esisteva uno spazio di grande valore dedicato a una serie di attività umane non direttamente produttive o ludiche come meditazione, preghiera, canti liturgici, yoga, arti marziali miranti alla crescita personale trascendente e all’armonizzazione del sistema corpo-mente nella dimensione sacra.

Negli ultimi tre secoli la civiltà occidentale sponsorizzata dagli imperi commerciali ha appiattito la visione del mondo con l’espulsione del sacro, inteso come evidenza dello spirito nella materia. L’operazione è stata condotta su vari fronti, negando o svalutando gli aspetti spirituali nella cultura, nell’arte, nella scienza attraverso una complessa strategia di soft power che ha infiltrato poco per volta le organizzazioni culturali, scientifiche, religiose, ma l’attacco sicuramente più letale è stato distorcere quel tipo di esperienze che nella Tradizione introducevano armoniosamente le persone alla percezione degli elementi soprasensibili nel mondo sensibile.

Così poco per volta, spesso con il supporto di droghe psicoattive, di musica dissonante o di messaggi mediatici subliminali, è stato distorto il modello percettivo che permetteva di accedere all’interfaccia tra mondo visibile e invisibile e, raggiunta la massa critica di diffusione, questo processo ha assunto le caratteristiche del contagio virale.

Il modello percettivo desacralizzato diventato virale ha reso obsoleta e ridicola la conoscenza millenaria tramandata dalla Tradizione che con le sue pratiche psicocorporee conteneva la percezione codificata del mondo invisibile, salvando di esse solo alcuni aspetti folkloristici facilmente commerciabili in area consumistica.

La perdita della percezione codificata del mondo invisibile, vera e propria scienza dello spirito che le Tradizioni coltivavano all’interno dell’esperienza artistica, scientifica e religiosa, porta ad un inaridimento del fiume di informazioni che ci arriva dal Mondo Archetipico, cui hanno sempre attinto soprattutto artisti, scienziati e profeti. E, dopo il danno la beffa, la scienza contemporanea mostra questo stesso letto arido e prosciugato come prova di evidenza che il senso del sacro non ha un luogo in cui esistere e perciò, in definitiva, è un inganno.

L’aspetto truffaldino di questa procedura epistemologica è una specie di gioco delle tre carte tra soggettivo e oggettivo: in pratica è come se, rompendo soggettivamente l’interruttore della luce (senza che si sappia) posso sostenere oggettivamente che la luce non c’è e a questo assioma do il nome di Scienza. In pratica tutto questo sta in piedi fino a che non sorge il dubbio che qualcuno abbia rotto l’interruttore e, soprattutto, che si possa riparare.

Poiché solitamente noi vediamo solo ciò che vogliamo vedere, dal punto di vista neurofisiologico possiamo dire che lo scettico del CICAP che si chiude nello spazio materiale e il mistico che dialoga con gli Archetipi esercitano la potenza della loro mente allo stesso modo, uno per chiudere, l’altro per aprire un processo cognitivo attraverso una modificazione del proprio stato di coscienza. Anche se sembra impossibile, è proprio così, l’acquisizione o la perdita di modelli percettivi al di fuori della percezione pentasensoriale (i comuni cinque sensi) segue lo stesso processo cognitivo e il risultato è sempre proporzionale alla costanza e alla correttezza della pratica.

Al di là della dinamica neurofisiologica comune è però piuttosto evidente che il risultato finale in termini di libertà e di potere personale è diametralmente opposto ed ognuno coglie i frutti personali di ciò che ha seminato.

Dal punto di vista storico, che valuta gli atti e le loro conseguenze, lo stato di coscienza desacralizzato appare il frutto avvelenato della conquista di una civiltà predatoria che aggredisce la libertà e il potere personale di individui appartenenti a civiltà perdenti fino a raggiungere una massa critica che permette di soggiogare definitivamente intere popolazioni.

Lo strumento principe della dominanza è il soft power, gestito mediante il terrore, la corruzione e la manipolazione di massa e la conquista è possibile solo con la perdita dei valori tradizionali della civiltà che, senza radici, diventa fragile e indifesa.

È evidente che al di là degli aspetti storici e geoeconomici di questa vicenda globale, alla radice c’è sempre un conflitto tra Paradigmi Scientifici sulla visione del mondo, ma ogni cosmogonia (la descrizione del mondo) presuppone una epistemologia, gli strumenti e i metodi di conoscenza che di volta in volta sono usati e che in fondo da quest’ultima dipende la conferma di quella.

In un prossimo articolo cercherò di approfondire la conoscenza dei Paradigmi Scientifici che oggi si fronteggiano in campo (Paradigma riduzionistico e Paradigma olistico).

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Scienza, paradigmi, rivoluzioni

26 Aprile 2016 Giorgio Invernizzi


Nella vita quotidiana siamo ormai abituati a considerare l’affermazione ‘scientificamente valido’ come un sigillo di verità superiore a qualunque altro, persino a norme religiose, ma, a ben guardare, le cose non stanno proprio così.

Come si spiega il fatto che affermazioni considerate in passato verità scientifiche oggi siano considerate errori? Come dobbiamo interpretare queste verità e soprattutto come arrivano ad essere considerate tali?

Queste domande, tutt’altro che banali che mettono in difficoltà sia lo studioso che l’uomo comune, necessitano comunque di risposte e tentativi di comprensione: proviamo ad argomentare.

Pur essendo spesso definite oggettive, le verità scientifiche sono sempre il frutto dell’attività soggettiva della ricerca umana, individuale e collettiva, che è costretta a cambiarle nel tempo secondo le linee di cambiamento della storia.

Per questo possiamo definire la Scienza come la codificazione collettiva della percezione che l’uomo ha di sé e del mondo e considerarla a buona ragione il fondamento di ogni Civiltà.

Questo fatto da una parte giustifica la mutevolezza della Scienza nella storia umana ma segnala anche la sua relatività rispetto ad altri fattori storici di difficile individuazione, aprendo molte domande su come il pensiero scientifico possa giungere a strutturarsi come tale.

Thomas S. Kuhn nel suo saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche1Kuhn T., The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago,1962 ha cercato di rispondere a questi quesiti descrivendo come funziona la Comunità Scientifica e i suoi riti di convalida.

Nella sua analisi la relatività delle verità scientifiche è spiegata dal fatto che il loro vero fondamento è costituito da un insieme di presupposti e di scopi per lo più impliciti che derivano dalla comunità allargata di cui fa parte la comunità scientifica.

È questo insieme di difficile definizione che dà origine a ben definiti impegni teorici della comunità scientifica, compreso il linguaggio da usare, i problemi considerati pertinenti o importanti, i metodi di convalida. Kuhn chiama Paradigma Scientifico l’insieme di questi impegni teorici, la cui continua riaffermazione consolida sia la comunità scientifica che la società allargata di cui fa parte, consolidando nello stesso tempo il Paradigma Scientifico nel suo ruolo di perno del potere politico.

Il Paradigma Scientifico come chiave di potere sopravvive fino a che le sue spiegazioni tengono insieme una visione del mondo, ma questa caratteristica di collante gli conferisce una rigidità che poco per volta lo rende obsoleto rispetto al racconto innovativo richiesto da una fase diversa della storia umana.

A questo punto sorgono le premesse per una Rivoluzione Scientifica il cui obbiettivo principale è il cambiamento di Paradigma e qui comincia a definirsi un conflitto tra il Paradigma dominante e i Paradigmi emergenti.

L’elaborazione di Kuhn è particolarmente interessante perché sposta di molto l’orizzonte di analisi, prendendo in considerazione come soggetto della scienza più la Comunità Scientifica che il singolo ricercatore. In questo modo egli suggerisce, per una maggior comprensione del fenomeno, di indagare i rapporti sociali e gli elementi culturali della comunità allargata in cui vivono gli scienziati, nonché i processi psicologici che determinano l’organizzazione interna della comunità scientifica e i suoi meccanismi di difesa e di attacco.

Oggi, a 50 anni di distanza da queste elaborazioni, le raccomandazioni di Kuhn sono ancora più importanti per l’eccessiva autoreferenzialità raggiunta dal sistema-scienza e per i gravi conflitti di interesse che si intrecciano al suo interno, il tutto esasperato da reti informatiche superveloci e dal sistema finanziario globale che lo sostiene.

Inoltre, in questa fase storica, il ruolo politico del Paradigma Scientifico dominante è ulteriormente potenziato dal declino della Religione come interprete della visione del mondo. Questo fatto appare ancora più chiaro quando verifichiamo che, all’interno delle varie branche della Scienza, il cuore del potere diventa il Paradigma biomedico come scienza che definisce i parametri di normalità dell’uomo e per ciò stesso detta le regole del vivere quotidiano, decidendo scientificamente ciò che è bene e male per lui.

La pervasività di questa struttura di controllo si allarga su tutta la società ma è particolarmente percepibile nell’attività clinica del medico e attraverso di lui interferisce pesantemente sulla gestione della salute fisica e mentale dei pazienti, spesso a sua insaputa.

Ogni Paradigma Scientifico contiene sia aspetti teorici, la descrizione della realtà, che aspetti epistemologici, gli strumenti e i metodi della conoscenza, ma per la comprensione della Rivoluzione Scientifica oggi in corso è opinione personale sia più importante partire da una riflessione sugli aspetti epistemologici critici di questo conflitto.

Per quanto attiene agli aspetti epistemologici di questa rivoluzione può essere interessante rivisitare la posizione di Paul K. Feyerabend sui rapporti tra conoscenza, scienza e società.2Feyerabend P., Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979

Feyerabend P., Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993

Partendo dall’assunzione che non esiste un metodo scientifico universale astorico, Feyerabend nega alla scienza il suo ruolo privilegiato nella società occidentale, dove essa millanta la sua verità al di là delle sue capacità reali.

In particolare egli ritiene non sia giustificato valutare le rivendicazioni della scienza come superiori a quelle di altre ideologie tipo le religioni, anche perché i successi degli scienziati hanno spesso coinvolto elementi non scientifici, come ispirazioni da miti o da fonti religiose.

Sebbene la scienza moderna fosse iniziata come un movimento di liberazione, Feyerabend ritiene che poco per volta essa abbia assunto l’aspetto di un’ideologia repressiva da cui la società civile ha il dovere di proteggersi, così come fa con altre ideologie che la possono distruggere.

Con un’attualità sconcertante, se pensiamo all’attuale dibattito sulla predominanza del mercato o della politica nella governance globale, Feyerabend suggerisce che la scienza debba essere completamente soggetta ad un controllo democratico sia per quanto riguarda gli oggetti delle ricerche scientifiche che per le assunzioni e le conclusioni delle stesse.

Ma è soprattutto in campo epistemologico che Feyerabend dà una indicazione fondamentale, laddove sostiene che anche i modi di percezione della realtà siano direttamente influenzati da precisi aspetti normativi, stigmatizzando la propensione degli scienziati ad istituzionalizzare queste limitazioni che impediscono la crescita della conoscenza.

Queste ed altre simili analisi ci portano direttamente alla radice di ogni riflessione sulla conoscenza, di quanto l’assunto del sacro nell’esperienza umana o la sua negazione possano modificare radicalmente l’assetto percettivo della realtà e l’insieme delle strutture di conoscenza.

Per una analisi corretta di questo tipo di problemi la questione diventa primaria ed è ciò che cercherò di approfondire in un prossimo articolo (Il concetto del sacro).

Note[+]

Note
↑1 Kuhn T., The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago,1962
↑2 Feyerabend P., Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979

Feyerabend P., Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993

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La diagnosi e il senso della vita

26 Ottobre 2015 Giorgio Invernizzi


La storia di Paolo A. raccontata da Francesco Vignotto (Ipocondria di uno Yogi) mi porta direttamente alla riflessione sul senso che può avere una diagnosi medica, riflessione che sta al centro di una lunga pratica medica personale.

Nel racconto la diagnosi formulata dall’ortopedico (circa una presunta meniscopatia,  NdR) indica uno stato preciso e immutabile predefinito, rispetto al quale il medico compie una verifica on-off sullo stato del paziente, o c’è la malattia o non c’è, e per ottenere questo esercita la massima focalizzazione su alcuni sintomi locali del paziente.

I suoi studi di medicina gli hanno fornito una griglia di classificazione in cui deve inserire i sintomi del suo paziente, classificazione cui corrispondono linee-guida terapeutiche da seguire rigorosamente. Il suo compito è eseguito quando ha classificato i sintomi per dare un nome alla malattia e l’ha correlata alla terapia corrispondente. In pratica cerca di cacciare la sofferenza del paziente nel buco giusto e, come sempre avviene in questi casi, se va bene si sa dopo.

All’opposto, l’esperto di psicosomatica attua una completa defocalizzazione dei sintomi del paziente con la diagnosi di “conflitti irrisolti somatizzati”, diagnosi che sparpaglia la sua sofferenza in uno spazio-tempo di cause infinite e soprattutto di difficile controllo, specialmente se si comincia a parlare di costellazioni famigliari e di karma.

Ognuno dei due sta cercando di leggere la sofferenza del paziente per porvi sollievo e si ritiene autorizzato a farlo solo all’interno di un modello di realtà codificato, chiamato Paradigma Scientifico.

La prima posizione deriva dal Paradigma riduzionista che, per raggiungere più in fretta la risoluzione di un problema, lo trasforma in un sistema chiuso in cui può semplificare i parametri riducendoli a sequenze lineari.

La seconda posizione è all’interno del Paradigma olistico che accetta formalmente la natura di sistema aperto dell’organismo vivente ma il più delle volte finisce per perdersi nella rete infinita di cause interconnesse per la mancanza di un forte impianto epistemologico che lo sostenga.

In realtà questo tema degli strumenti e del metodo con cui conoscere l’organismo vivente è la frontiera ultima della scienza in questo momento e, data la sua complessità, vorrei parlarne in modo più completo in una serie di prossimi interventi.

Tornando alla storia di Paolo A. però vorrei sottolineare un altro passaggio, quello in cui compare la grande diagnosi-rivelazione: “hai sempre avuto un’anca più alta dell’altra”, che segnala l’aspetto più pericoloso del fare diagnosi, aspetto che coinvolge sia il medico riduzionista che il medico olistico e in verità questo assai più di quello.
Il pericolo di questa diagnosi è la sua ambiguità quando viene formulata senza o addirittura contro la dimensione storica della persona e delle sue trasformazioni.

Senza questo tipo di informazione che riguarda la storia interna ed esterna della persona è impossibile comprendere il significato funzionale del disturbo che in quel momento presenta, quindi decidere saggiamente la direzione terapeutica. Solo la storia del paziente permette di affrontare la domanda fondamentale che rappresenta la vera diagnosi: questo sintomo è la malattia o un suo compenso, una forma di aggiustamento della malattia stessa?

Il problema è di assoluta rilevanza nelle malattie croniche, che poi sono la maggioranza, in cui togliere un compenso perché fastidioso senza sostituirlo con un altro, si spera migliore, può rappresentare il modo più sicuro di far uscire di controllo la malattia.

Nell’esempio di Paolo la rotazione del bacino rappresenta un minus peggiorativo o piuttosto il plus di un organismo che riesce a danzare la sua vita stortandosela quel tanto che basta per evolvere nella sua unicità esperienziale?

Paolo è un mostro (e non sapeva di esserlo) perché non segue un canone perfetto a priori o un fantastico navigatore rotto a tutti gli stratagemmi nel suo lungo viaggio?

Come vedete l’uno è malato, l’altro è sano, dipende con che occhi lo stiamo osservando, in questo caso partendo da un Paradigma Scientifico che mette al centro della storia umana personale e collettiva la sua evoluzione.

Ma allora la Medicina con la sua ridda di Paradigmi Scientifici è tutta una lucida follia e i medici e i terapeuti sono tutti o stupidi o sognatori?
No, spesso è stupido e frustrante il modello teorico ed epistemologico loro proposto: stupido perché non riesce a dare un senso completo alla vita umana e frustrante per la sincera volontà di coloro che cercano di alleviare la sofferenza.

Mi rendo conto che queste affermazioni, nella loro provocatoria incisività, aprono un certo numero di interrogativi di ampia portata, a cui non mi sottraggo, cercando di portare un contributo sincero.

Il dibattito su questi argomenti non è certo assente in rete, ma la personale impressione è che troppo spesso è simile al chiacchiericcio dei “tecnici da bar”, contesto che rifuggo da sempre per idiosincrasia costituzionale.

In questa occasione, come è mia abitudine, cercherò di argomentare al riguardo in modo non banale, evitando il copia-incolla e proponendo alla discussione soprattutto i frutti della ricerca personale.

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