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Zénon | Yoga e Qi Gong

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filosofia

Scienza, paradigmi, rivoluzioni

26 Aprile 2016 Giorgio Invernizzi


Nella vita quotidiana siamo ormai abituati a considerare l’affermazione ‘scientificamente valido’ come un sigillo di verità superiore a qualunque altro, persino a norme religiose, ma, a ben guardare, le cose non stanno proprio così.

Come si spiega il fatto che affermazioni considerate in passato verità scientifiche oggi siano considerate errori? Come dobbiamo interpretare queste verità e soprattutto come arrivano ad essere considerate tali?

Queste domande, tutt’altro che banali che mettono in difficoltà sia lo studioso che l’uomo comune, necessitano comunque di risposte e tentativi di comprensione: proviamo ad argomentare.

Pur essendo spesso definite oggettive, le verità scientifiche sono sempre il frutto dell’attività soggettiva della ricerca umana, individuale e collettiva, che è costretta a cambiarle nel tempo secondo le linee di cambiamento della storia.

Per questo possiamo definire la Scienza come la codificazione collettiva della percezione che l’uomo ha di sé e del mondo e considerarla a buona ragione il fondamento di ogni Civiltà.

Questo fatto da una parte giustifica la mutevolezza della Scienza nella storia umana ma segnala anche la sua relatività rispetto ad altri fattori storici di difficile individuazione, aprendo molte domande su come il pensiero scientifico possa giungere a strutturarsi come tale.

Thomas S. Kuhn nel suo saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche1Kuhn T., The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago,1962 ha cercato di rispondere a questi quesiti descrivendo come funziona la Comunità Scientifica e i suoi riti di convalida.

Nella sua analisi la relatività delle verità scientifiche è spiegata dal fatto che il loro vero fondamento è costituito da un insieme di presupposti e di scopi per lo più impliciti che derivano dalla comunità allargata di cui fa parte la comunità scientifica.

È questo insieme di difficile definizione che dà origine a ben definiti impegni teorici della comunità scientifica, compreso il linguaggio da usare, i problemi considerati pertinenti o importanti, i metodi di convalida. Kuhn chiama Paradigma Scientifico l’insieme di questi impegni teorici, la cui continua riaffermazione consolida sia la comunità scientifica che la società allargata di cui fa parte, consolidando nello stesso tempo il Paradigma Scientifico nel suo ruolo di perno del potere politico.

Il Paradigma Scientifico come chiave di potere sopravvive fino a che le sue spiegazioni tengono insieme una visione del mondo, ma questa caratteristica di collante gli conferisce una rigidità che poco per volta lo rende obsoleto rispetto al racconto innovativo richiesto da una fase diversa della storia umana.

A questo punto sorgono le premesse per una Rivoluzione Scientifica il cui obbiettivo principale è il cambiamento di Paradigma e qui comincia a definirsi un conflitto tra il Paradigma dominante e i Paradigmi emergenti.

L’elaborazione di Kuhn è particolarmente interessante perché sposta di molto l’orizzonte di analisi, prendendo in considerazione come soggetto della scienza più la Comunità Scientifica che il singolo ricercatore. In questo modo egli suggerisce, per una maggior comprensione del fenomeno, di indagare i rapporti sociali e gli elementi culturali della comunità allargata in cui vivono gli scienziati, nonché i processi psicologici che determinano l’organizzazione interna della comunità scientifica e i suoi meccanismi di difesa e di attacco.

Oggi, a 50 anni di distanza da queste elaborazioni, le raccomandazioni di Kuhn sono ancora più importanti per l’eccessiva autoreferenzialità raggiunta dal sistema-scienza e per i gravi conflitti di interesse che si intrecciano al suo interno, il tutto esasperato da reti informatiche superveloci e dal sistema finanziario globale che lo sostiene.

Inoltre, in questa fase storica, il ruolo politico del Paradigma Scientifico dominante è ulteriormente potenziato dal declino della Religione come interprete della visione del mondo. Questo fatto appare ancora più chiaro quando verifichiamo che, all’interno delle varie branche della Scienza, il cuore del potere diventa il Paradigma biomedico come scienza che definisce i parametri di normalità dell’uomo e per ciò stesso detta le regole del vivere quotidiano, decidendo scientificamente ciò che è bene e male per lui.

La pervasività di questa struttura di controllo si allarga su tutta la società ma è particolarmente percepibile nell’attività clinica del medico e attraverso di lui interferisce pesantemente sulla gestione della salute fisica e mentale dei pazienti, spesso a sua insaputa.

Ogni Paradigma Scientifico contiene sia aspetti teorici, la descrizione della realtà, che aspetti epistemologici, gli strumenti e i metodi della conoscenza, ma per la comprensione della Rivoluzione Scientifica oggi in corso è opinione personale sia più importante partire da una riflessione sugli aspetti epistemologici critici di questo conflitto.

Per quanto attiene agli aspetti epistemologici di questa rivoluzione può essere interessante rivisitare la posizione di Paul K. Feyerabend sui rapporti tra conoscenza, scienza e società.2Feyerabend P., Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979

Feyerabend P., Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993

Partendo dall’assunzione che non esiste un metodo scientifico universale astorico, Feyerabend nega alla scienza il suo ruolo privilegiato nella società occidentale, dove essa millanta la sua verità al di là delle sue capacità reali.

In particolare egli ritiene non sia giustificato valutare le rivendicazioni della scienza come superiori a quelle di altre ideologie tipo le religioni, anche perché i successi degli scienziati hanno spesso coinvolto elementi non scientifici, come ispirazioni da miti o da fonti religiose.

Sebbene la scienza moderna fosse iniziata come un movimento di liberazione, Feyerabend ritiene che poco per volta essa abbia assunto l’aspetto di un’ideologia repressiva da cui la società civile ha il dovere di proteggersi, così come fa con altre ideologie che la possono distruggere.

Con un’attualità sconcertante, se pensiamo all’attuale dibattito sulla predominanza del mercato o della politica nella governance globale, Feyerabend suggerisce che la scienza debba essere completamente soggetta ad un controllo democratico sia per quanto riguarda gli oggetti delle ricerche scientifiche che per le assunzioni e le conclusioni delle stesse.

Ma è soprattutto in campo epistemologico che Feyerabend dà una indicazione fondamentale, laddove sostiene che anche i modi di percezione della realtà siano direttamente influenzati da precisi aspetti normativi, stigmatizzando la propensione degli scienziati ad istituzionalizzare queste limitazioni che impediscono la crescita della conoscenza.

Queste ed altre simili analisi ci portano direttamente alla radice di ogni riflessione sulla conoscenza, di quanto l’assunto del sacro nell’esperienza umana o la sua negazione possano modificare radicalmente l’assetto percettivo della realtà e l’insieme delle strutture di conoscenza.

Per una analisi corretta di questo tipo di problemi la questione diventa primaria ed è ciò che cercherò di approfondire in un prossimo articolo (Il concetto del sacro).

Note[+]

Note
↑1 Kuhn T., The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago,1962
↑2 Feyerabend P., Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979

Feyerabend P., Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993

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Codex Seraphinianus

5 Novembre 2014 Zénon


La prima edizione del Codex Seraphinianus vede la luce nel 1981 grazie a Luigi Serafini, eclettico architetto romano con una spiccata vena artistica. Da iniziale libro semisconociuto e semi-clandestino (pare che le prime copie andarono a ruba e poi per molto tempo fu difficile reperirlo), questa opera ha visto diverse edizioni e, da appannaggio di pochi, con l’avvento dell’era digitale e di internet, si è trasformata in un must have per tutti i cultori del surreale, peraltro ristampato in una edizione di lusso lo scorso anno da Rizzoli.

Ma in definitiva cos’è il Codex Seraphinianus?

Luigi Serafini
Luigi Serafini

È un’enciclopedia di un mondo apparentemente alieno che contiene però molti elementi riconducibili al nostro mondo, ibridando i regni umano, vegetale, animale, minerale e tecnologico. La modalità con cui l’autore ce lo presenta è quella appunto di un’enciclopedia come potrebbe essere quella di Diderot, dove si susseguono spiegazioni e schematizzazioni di tutti gli aspetti di questo mondo “parallelo”: architettura, flora, fauna, abbigliamento, scienza eccetera.

Ciò che rende però unico questo libro è come l’autore affronti questi temi: con delle suggestive tavole disegnate a mano (sono diverse centinaia) accompagnate da una scrittura che non è riconducibile ad alcun linguaggio conosciuto e quindi ritenuta “inventata”, di cui offriamo qui una galleria (basta cliccare sulle immagini per ingrandirle):

Una prima riflessione personale è dettata da alcune riminiscenze filosofiche liceali riguardanti le idee nel pensiero platonico e neoplatonico, intesa come fondamento gnoseologico e ontologico della realtà. Se quindi le idee sono degli assoluti esistenti a prescindere dal processo mentale del singolo, possiamo veramente concepire un qualcosa che non esiste?

A parte questa considerazione, la chiave del fascino che questo libro ha esercitato e continua ad esercitare sul pubblico sta più che altro nel suo perché: qual è il suo significato? Cosa ha spinto l’autore a impegnarsi in un lavoro così imponente? Quale sarà il messaggio celato dietro tutto ciò? Una burla di un buontempone eccentrico o un’opera esoterica che dietro alle tavole e al linguaggio apparentemente senza senso, celi degli inimmaginabili segreti?

Alcuni hanno voluto cercare dei paralleli con il Manoscritto di Voynich, un’analoga sorta di misteriosa enciclopedia che Rodolfo II di Asburgo, noto per il suo interesse verso l’alchimia, acquistò a caro prezzo da John Dee nel ‘600. Tuttavia l’enigma del Codex è ancora più sconvolgente in quanto non si tratta di un misterioso testo cifrato di un oscuro alchimista del passato, bensì di un personaggio tutt’ora vivente, interrogabile, disposto al dialogo, ma che tuttavia sembra ritrarsi dal fornire una chiave.

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Il manoscritto di Voynich

Si sa che l’essere umano è di per sé curioso e spesso la mente lo costringe a razionalizzare, riconducendo a schemi a lei propri e familiari qualunque fenomeno le capiti davanti. Per questo motivo cercando nel web, si possono trovare i commenti più disparati nel tentativo di decifrare e/o trovare una spiegazione razionale a questa opera. C’è addirittura chi, per la gioia dei nerd, ha messo online un decodificatore che traduce da inglese, italiano, spagnolo e francese nell’alfabeto serafiniano, nonostante lo stesso Serafini abbia più volte affermato che tale scrittura è per lui “solo un gioco”.

In realtà, molto probabilmente, accettare l’assenza di un significato al di fuori dell’opera stessa è lo scoglio più grande per entrare in sintonia con il Codex.

Infatti, sfogliando, il susseguirsi di immagini surreali, spesso grottesche, accompagnate da una scrittura morbida e sinuosa ma incomprensibile, il lettore è sottoposto ad un continuo susseguirsi di emozioni molto discrepanti, il tutto esacerbato dal tentativo incessante della mente di cercare di ricondurre la somma di queste percezioni a degli schemi preconfezionati riguardo la propria concezione di realtà. Frustrazione che è esasperata ulteriormente dalla coerenza e dalla coesione di un testo che tuttavia rifiuta di fornire significati.

Un approccio opposto è quello delineato da Douglas Hofstader che al Codex dedicò uno dei suoi Metamagical Themas:

Molte persone a cui ho mostrato questo libro lo trovano spaventoso o in qualche modo sgradevole. Sembra che glorifichi l’entropia, il caos e l’incomprensibilità. C’è molto poco a cui aggrapparsi; tutto slitta, luccica, scivola. Eppure il libro ha una sorta di bellezza e di logica propria, qualità apprezzate da una calsse di persone diversa: persone che si trovano molto più a proprio agio con la fantasia a ruota libera e, in un certo senso, con la follia. Trovo alcune somiglianze tra la composizione musicale e questo tipo di invenzione. Entrambe sono astratte, entrambe creano uno stato d’animo, entrambe si basano principalmente sullo stile per trasmettere contenuti. La musica è, in un certo modo, una sorta di nonsense che nessuno comprende realmente. Incanta quasi ogni essere umano che può ascoltare ed eppure, di tutto ciò, sorprendentemente sappiamo ancora poco su come la musica azioni le sue meraviglie. Ma se la musica è una sorta di nonsense uditivo, ciò non impedisce il sorgere di forme ancora più estreme di super-nonsense auditivi. I lavori di Karl-Heinz Stockhausen, Peter Maxwell Davies, Luciano Berio e John Cage forniranno una splendida introduzione a quel genere, nel caso qualche lettore non sappia di cosa sto parlando. 1Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books

Bene, abbiamo toccato i due estremi dell’esperienza con il Codex che delineano anche gli estremi di ogni esperienza con la realtà: il tentativo frustrante di decodifica, di trovare l’altra metà del guscio, e il perdersi nella fantasticheria e nel nonsense, ossia nel perdersi e nel compiacersi della metà che ci è data. Tuttavia vorremmo suggerire una terza via, leggermente più ardua, che consiste nel mantenersi in equilibrio sulla china tra i due cigli, che è poi la via – a nostro parere – della produzione e della fruizione artistica nel senso più autentico.

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Il Codex non si “fa” leggere nel modo comune con cui possiamo intendere questo termine, ma richiede una modalità decisamente più originale e che mi ha ricordato ad esempio, la “lettura” delle mappe alchemiche Taoiste: non è tanto il “perché” che è importante in questo caso ma il ”come” e il processo a cui la “lettura” del libro porta. Il tutto ovviamente senza un fine, proprio come il Taosimo che individua nel “non agire” e nel “non profitto” la centralità del proprio messaggio.

Ed è proprio in questo punto di equilibrio, nel silenziare il processo di decodifica razionale e al tempo stesso nel mantenersi “sul pezzo” evitando le derive fantastiche che si apre la possibilità di ciò che in una parola sola possiamo definire: intuizione. Che è infine il quarto dei significati attribuiti ai testi medievali; ovvero, oltre a quello letterale, morale, allegorico c’è il significato segreto. Che è al tempo stesso oggettivo ma deve essere esperito soggettivamente, non può essere spiegato da persona a persona senza passare dall’esperienza diretta. E alla fine, è lo stesso autore che suggerisce che l’unico a detenere il significato del Codex è soltanto il lector in fabula che il Codex costringe a venire allo scoperto:

In fondo il Codex è come le macchie di Rorschach: ciascuno ci vede quel che vuole. E’ una sorta di visione oracolare, hai la sensazione che il libro ti parli ma in verità sei tu che lo fai parlare vedendoci dentro delle cose. 2Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini

Note[+]

Note
↑1 Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books
↑2 Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini
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