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arte    Giappone

La Katana: Oggetto, Opera d’Arte o Simbolo?

23 Giugno 2015 di Marco Invernizzi


Questo non vuole essere un articolo sulla storia della spada Giapponese, sulla metodica complicatissima relativa alla sua forgiatura, o sul Giappone e la sua via guerriera, cioè il Bushido. È un qualcosa di più personale; se vogliamo, è una riflessione sul mio modo di vedere questo oggetto e condividere quello che ha sempre suscitato e suscita tutt’ora in me.

Già chiamare la Katana oggetto mi provoca interiormente un certo stridore… perché sicuramente è sì un oggetto, ma forse è più corretto dire che è un’opera d’arte, vista la maestria e la perfezione raggiunte dai forgiatori in secoli e secoli di ricerca. Ma a pensarci bene anche questo termine risulta riduttivo, infatti forse è più corretto definirla un Simbolo.

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E aggiungerei che non è legato solo a un popolo e alla sua Tradizione, ma che esprime anche, come cercherò di spiegare oltre, concetti più profondi e universali. Quindi per tutti gli appassionati e cultori di questa stupenda opera d’arte (o simbolo?) non aspettatevi un trattato specialistico ma più che altro una chiacchierata, con qualche divagazione, sulle emozioni e i sentimenti personali legati alla Katana.

E, ad essere sinceri, parte di quello che leggerete qui di seguito (se lo vorrete) nasce proprio da una chiacchierata tra due amici che condividono la stessa passione; quelle chiacchierate a cena, apparentemente poco profonde, ma in cui al di là delle parole, “passa” molto più di quello che si possa immaginare.

(Foto di copertina: Andrea Ballaratti)

Introduzione

Fin da bambino ho sempre sentito la spada giapponese, la Katana, come un qualcosa  a me molto affine. Per carità, si sa che per i bambini, soprattutto in un certo periodo della crescita, le armi giocattolo, aerei e soldatini sono tra i regali più ambiti e con cui ci si diverte di più.

Tuttavia in questo caso, nonostante la passione per tutto ciò che è riconducibile alla guerra, o meglio, al combattimento, la Katana ha sempre rappresentato per me un qualcosa di più profondo. Tanto che da bambino, e successivamente da adolescente, questa sensazione poco chiara ma contemporaneamente fortissima, mi paralizzava con un brivido lungo la schiena, se per caso mi ritrovavo tra le mani un libro o in televisione veniva trasmesso un qualunque riferimento ai samurai e alla Katana.

Ricordo anche come in certi periodi alcuni film avessero letteralmente creato una ossessione verso questo oggetto sia in me che nei miei coetanei… in particolare ricordo Highlander e la Katana di Christopher Lambert e i due Kill Bill di Tarantino, dove la Katana, la sua forgiatura e il Bushido, il codice guerriero giapponese (o meglio, in quel caso una sua rivisitazione…) erano al centro di tutta la trama.

Con gli anni, complice anche la pratica per un certo tempo di Kendo e Iaido, la passione viscerale verso questo oggetto ha trovato anche uno sbocco esperienziale. Tuttavia solo recentemente, e non a caso in corrispondenza dell’interruzione per un certo periodo della pratica marziale, hanno iniziato a chiarirsi alcune delle motivazioni che hanno causato e causano ancora oggi in me l’attrazione e la passione viscerale verso la lama curva Giapponese.

La Forma

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La sua forma, appunto. Tra tutte le lame appartenenti a tutte le culture e Tradizioni, è quasi unanimemente accettato che la Katana sia la più elegante ed esteticamente gradevole di tutte, capace di colpire profondamente anche  chi non nutre interesse verso le armi da taglio.

Ma al di là dell’indubbio valore estetico mi rendo conto solo ora che ciò che mi ha da sempre affascinato così profondamente è il senso di essenzialità che emana. L’essenzialità, che non va confusa con la semplicità e men che meno con la superficialità, è un concetto che permea tutta la cultura Giapponese e se vogliamo anche quella Cinese considerando anche la fortissima influenza esercitata da quest’ultima in Giappone.

L’essenzialità, secondo il mio punto di vista, è la vera e più profonda natura di un qualcosa, l’essenza appunto, liberata da tutto ciò che è superfluo, permettendo così di apprezzarla nella sua completezza. Dal manico, alla lama, ad ogni minimo particolare (e vi assicuro che sono tantissimi), quello che emana questo oggetto è appunto essenzialità. Se vogliamo in termini più interiori, simboleggia molto il percorso di Ricerca in cui via via liberandosi del superfluo si arriva sempre più all’essenza delle cose, avvicinandosi, forse, a quella che viene definita Verità.

Ora, su quanto il concetto di essenzialità si avvicini a quello di Verità, ci sarebbe molto da riflettere e forse questa non è la sede più adatta. Sicuramente essenziale è però tutto ciò che è contenuto nella Via Guerriera. E chi tra i popoli della terra ad oggi più dei Giapponesi può vantare di affondare le proprie radici in una Tradizione dove appunto la via del Guerriero (e non la guerra), intesa soprattutto come via di crescita Interiore, erano perno focale (o l’essenza) di tutta l’esistenza? Penso molto pochi.

La Forgiatura

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Anche la creazione di questo magnifico oggetto è un altro punto su cui ho riflettuto molto. Ricordo ancora, quando nel 2012, ebbi la fortuna di conoscere il Maestro Yoshindo Yoshihara (nelle foto), uno dei più famosi forgiatori di Katane viventi e Tesoro Nazionale Vivente del Giappone.  In parallelo ai Mondiali di Kendo del 2012 a Novara, quasi in sordina, si svolse anche un evento assai raro, ovvero la forgiatura in diretta di una Katana (forse per la prima volta fuori dal Giappone).

Io e pochi (purtroppo) curiosi, nonostante l’evento fosse pubblico e ad accesso libero, per 3 giorni riuscimmo ad assistere a questo spettacolo senza eguali, somma al contempo di precisione, tecnica ma anche di esperienza e maestria fuori dal comune.

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il paradigma pentadico Taoista

E proprio la forgiatura in sè della Katana contiene molti elementi che per una persona che si interessi di Tradizioni Orientali sicuramente non possono passare inosservati.

Innanzitutto gli elementi necessari alla forgiatura possono essere riassunti in 5 come i 5 elementi del paradigma pentadico della fisiologia medica Taoista Cinese: acqua, fuoco, terra, legno e metallo. Nell’immaginarmi infatti come potessero essere contenuti i 5 elementi nello stesso oggetto e come fossero i loro rapporti ho provato a visualizzarlo secondo questa dinamica: la terra al suo interno contiene il metallo grezzo sotto forma di minerale.

Una volta estratto quest’ultimo per essere depurato del superfluo (ritorniamo al concetto di essenzialità) e quindi essere trasmutato  da minerale in metallo puro deve essere riscaldato e fuso tramite il fuoco. Quest’ultimo per divampare ovviamente deve essere alimentato dal legno. L’uomo interviene in tutto il complesso procedimento di forgiatura, lavorazione e purificazione del metallo, in cui il fuoco è sempre fondamentale, fino a quando la lama è scaldata al punto giusto e viene temprata in un istante immergendola dalla fornace direttamente in una tinozza di acqua.

Se vogliamo tutto il procedimento può essere visto come un’allegoria del processo di alchimia interiore proprio della tradizione Taoista in cui i 5 elementi che costituiscono l’essere umano, entrano in relazione l’uno con l’altro grazie alla volontà dell’uomo che è l’ente trasmutatore e armonizzante di tutto il procedimento.

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In passato si diceva che i grandi forgiatori facessero relativamente poche spade durante la loro vita proprio perché in ognuna di esse mettevano una parte della propria energia, che, essendo limitata, andava dosata.

Ovviamente più il forgiatore era capace e dotato e più la lama conservava la qualità e la potenza della mano che l’aveva creata. Si potrà credere o meno a queste leggende e dicerie, tuttavia penso che una procedura così complicata, tramandata da maestro a discepolo da svariati secoli e in cui la variabile umana è ancora imprescindibile, con molta probabilità sottenda a un qualcosa di più profondo del solo battere e ribattere una sbarra di metallo incandescente fino a quando non ha raggiunto la forma desiderata.

La Curvatura (e la circolarità)

“La differenza tra la spada giapponese (curva) e quella occidentale (dritta) sta si nella forma ma anche nella diversa tecnica con cui deve essere eseguito il taglio”.  Quante volte ho sentito questa frase dal mio maestro di Kendo e Iaido e quanta difficoltà ahimè nel metterla in pratica…

Per quel poco che posso aver capito negli anni di pratica di questa Arte, il taglio con la Katana non segue una logica di forza, quindi “di braccia”, ma piuttosto è un taglio in cui viene utilizzato tutto il corpo. Il taglio è una conseguenza del movimento generato armonicamente da tutto il corpo, cioè piedi, gambe, tronco e braccia e la curvatura della lama facilita la trasmissione di questa forza alla parte che realmente esegue il taglio, il monouchi, cioè l’ultima spanna della lama verso la punta.

I movimenti nelle arti marziali spesso contengono il richiamo alla circolarità, all’armonia e ad un utilizzo di tutto il corpo per aumentare l’efficacia e la stabilità di un colpo. E probabilmente non a caso, la curvatura della Katana favorisce il suo integrarsi in maniera armonica nei movimenti corporei, come un’estensione naturale del proprio braccio.

L’Equilibrio

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Con l’essenzialità, la circolarità e la conseguente centratura e armonia nel movimento si arriva appunto ad un Equilibrio. Termine semplice ma al contempo estremamente complesso da esprimere in tutta la sua completezza. Forse l’Equilibrio è ciò che più manca al giorno d’oggi e molte persone ne vanno affannosamente in cerca senza mai riuscire a trovarlo.

In realtà l’Equilibrio, nonostante descriva una qualità apparentemente statica (l’idea comune di equilibrio è fortemente associata all’idea di immobilità), contiene al suo interno anche un importante concetto di dinamicità…infatti, secondo il mio modo di vedere, l’Equilibrio è un adattamento continuo e dinamico alla incessante mutevolezza della realtà.

A tal proposito per poter mantenere il più possibile la centratura e una visione oggettiva in ogni situazione, è necessario  “aggiustare” e “armonizzare” continuamente il nostro corpo, le nostre emozioni e i nostri pensieri per evitare di creare disarmonia e sostanzialmente venirne sopraffatti.

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L’Equilibrio quindi non è una staticità a prescindere ma è un dinamismo estremo in cui si realizza una apparente staticità come risultato dell’ incessante e rapidissimo movimento di adattamento e armonizzazione. Il movimento continuo dei due opposti complementari del tai ji tu (Yin e Yang), in cui nella più profonda natura dell’uno è contenuto l’altro, ci aiuta a comprendere meglio questo concetto.L’unione data dalla contemporanea presenza dei due poli opposti, probabilmente non è data dal “fermarsi” di questi ultimi, ma bensì dal loro muoversi in maniera talmente rapida da realizzare appunto un Equilibrio “dinamico” in cui si trovano espressi contemporaneamente in una condizione di apparente staticità. Quanto questo c’entri col concetto di non-Dualità espresso e ricercato come fine ultimo da molte tradizioni di ricerca interiore orientali non lo so…e lo lascio come spunto di riflessione per il lettore.

Tuttavia, osservando una Katana e apprezzandone tutti gli aspetti sopra descritti, trovo sia abbastanza intuitivo cogliere questa espressione contemporanea degli opposti e, oltre a tutte le valenze simboliche già descritte, a mio parere la Katana può fregiarsi anche di essere un simbolo di Equilibrio. E quanto l’Equilibrio sia importante per le principali Tradizioni Orientali come quella Taoista è già stato ampiamente descritto.

Il Taglio

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Tameshigiri in Giapponese significa letteralmente “taglio di prova” e serve appunto a testare il potenziale di una lama

Tagliare, tagliare, tagliare. Il primo impulso che si prova, o almeno per me è sempre stato così, appena presa in mano una Katana è quello di tagliare. E in effetti sembrerebbe abbastanza logico perché una spada viene forgiata e creata per tagliare e questo è l’utilizzo più immediato a cui la mente ordinaria la associa.

Tuttavia riflettendo in maniera più approfondita sul significato del taglio anche qui emergono a mio parere molti elementi interessanti. Il taglio è la parte apparentemente più importante, o almeno, così mi è stato sempre insegnato, della pratica marziale con la spada e lo sviluppo di una buona tecnica richiede anni e anni di pratica intensa.

Tuttavia, come emerso in precedenza, il taglio con la Katana è il risultato finale di un movimento armonico che partendo dai piedi coinvolge tutto il corpo e termina “rilasciando” ciò che si è accumulato in termini di energia potenziale durante tutto il movimento attraverso la lama della spada.

Ricercare la qualità e la purezza del taglio è forse quello su cui mi sono sempre focalizzato e su cui inevitabilmente anche la mente tende a fissarsi. Il sibilo della lama che fende l’aria, oltre purtroppo a gonfiare enormemente l’ego, è un qualcosa che stimola sempre di più a ricercare la perfezione e l’unione di tutti i particolari in maniera armonica al fine di raggiungere appunto il cosiddetto “taglio perfetto”.

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Particolare di tangka raffigurante Manjushri nero

In realtà col tempo ho imparato che il taglio (e quindi anche il significato più profondo della spada) simboleggia un qualcosa di più profondo. E fissarsi solo sulla tecnica rischia di distogliere l’attenzione dagli aspetti più importanti, come peraltro anche in altre discipline come la Meditazione. La lama col suo filo tagliente serve appunto a “tagliare” e quindi a rimuovere e in definitiva a eliminare ciò che di nocivo e superfluo ci intossica.

A tal proposito in diverse Tradizioni alla spada viene appunto attribuito il potere simbolico di squarciare il velo di buio dell’ignoranza. Nel Buddismo Tibetano alcune divinità tantriche protettrici del Dharma (vedi articolo Tao) e dissipatrici dei difetti della mente (attaccamento, illusione, ignoranza) sono rappresentate appunto con delle spade fiammeggianti in mano.

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San Michele Arcangelo sconfigge gli angeli ribelli Luca Giordano (1666 ca)

In maniera simile anche nella Tradizione Cristiana l’Arcangelo Michele è rappresentato con una spada infuocata, come primo e più acerrimo combattente delle forze malefiche.

Spesso si sente dire “tagliare i rami secchi”, per rimuovere il superfluo, alleggerirsi e ripartire con rinnovato vigore e determinazione verso un nuovo obbiettivo. La spada, a mio parere, simboleggia proprio questo, e ci aiuta a rimuovere simbolicamente il superfluo, liberando la mente dai blocchi e dai difetti che la appesantiscono e le impediscono di percepire la vera essenza delle cose.

Concludendo questa chiacchierata spero di non essere stato troppo noioso e spero che tra le righe, al di là delle emozioni, sia stato colto anche il profondo rispetto verso questa spada e tutto quello che simboleggia. Una sorta di devozione che sono sicuro molte altre persone e non necessariamente praticanti di arti marziali condividono con me e a cui piace ogni tanto contemplarla abbandonandosi al fluire della mente.

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Codex Seraphinianus

5 Novembre 2014 di Zénon


La prima edizione del Codex Seraphinianus vede la luce nel 1981 grazie a Luigi Serafini, eclettico architetto romano con una spiccata vena artistica. Da iniziale libro semisconociuto e semi-clandestino (pare che le prime copie andarono a ruba e poi per molto tempo fu difficile reperirlo), questa opera ha visto diverse edizioni e, da appannaggio di pochi, con l’avvento dell’era digitale e di internet, si è trasformata in un must have per tutti i cultori del surreale, peraltro ristampato in una edizione di lusso lo scorso anno da Rizzoli.

Ma in definitiva cos’è il Codex Seraphinianus?

Luigi Serafini
Luigi Serafini

È un’enciclopedia di un mondo apparentemente alieno che contiene però molti elementi riconducibili al nostro mondo, ibridando i regni umano, vegetale, animale, minerale e tecnologico. La modalità con cui l’autore ce lo presenta è quella appunto di un’enciclopedia come potrebbe essere quella di Diderot, dove si susseguono spiegazioni e schematizzazioni di tutti gli aspetti di questo mondo “parallelo”: architettura, flora, fauna, abbigliamento, scienza eccetera.

Ciò che rende però unico questo libro è come l’autore affronti questi temi: con delle suggestive tavole disegnate a mano (sono diverse centinaia) accompagnate da una scrittura che non è riconducibile ad alcun linguaggio conosciuto e quindi ritenuta “inventata”, di cui offriamo qui una galleria (basta cliccare sulle immagini per ingrandirle):

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Codex Seraphinianus
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Una prima riflessione personale è dettata da alcune riminiscenze filosofiche liceali riguardanti le idee nel pensiero platonico e neoplatonico, intesa come fondamento gnoseologico e ontologico della realtà. Se quindi le idee sono degli assoluti esistenti a prescindere dal processo mentale del singolo, possiamo veramente concepire un qualcosa che non esiste?

A parte questa considerazione, la chiave del fascino che questo libro ha esercitato e continua ad esercitare sul pubblico sta più che altro nel suo perché: qual è il suo significato? Cosa ha spinto l’autore a impegnarsi in un lavoro così imponente? Quale sarà il messaggio celato dietro tutto ciò? Una burla di un buontempone eccentrico o un’opera esoterica che dietro alle tavole e al linguaggio apparentemente senza senso, celi degli inimmaginabili segreti?

Alcuni hanno voluto cercare dei paralleli con il Manoscritto di Voynich, un’analoga sorta di misteriosa enciclopedia che Rodolfo II di Asburgo, noto per il suo interesse verso l’alchimia, acquistò a caro prezzo da John Dee nel ‘600. Tuttavia l’enigma del Codex è ancora più sconvolgente in quanto non si tratta di un misterioso testo cifrato di un oscuro alchimista del passato, bensì di un personaggio tutt’ora vivente, interrogabile, disposto al dialogo, ma che tuttavia sembra ritrarsi dal fornire una chiave.

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Il manoscritto di Voynich

Si sa che l’essere umano è di per sé curioso e spesso la mente lo costringe a razionalizzare, riconducendo a schemi a lei propri e familiari qualunque fenomeno le capiti davanti. Per questo motivo cercando nel web, si possono trovare i commenti più disparati nel tentativo di decifrare e/o trovare una spiegazione razionale a questa opera. C’è addirittura chi, per la gioia dei nerd, ha messo online un decodificatore che traduce da inglese, italiano, spagnolo e francese nell’alfabeto serafiniano, nonostante lo stesso Serafini abbia più volte affermato che tale scrittura è per lui “solo un gioco”.

In realtà, molto probabilmente, accettare l’assenza di un significato al di fuori dell’opera stessa è lo scoglio più grande per entrare in sintonia con il Codex.

Infatti, sfogliando, il susseguirsi di immagini surreali, spesso grottesche, accompagnate da una scrittura morbida e sinuosa ma incomprensibile, il lettore è sottoposto ad un continuo susseguirsi di emozioni molto discrepanti, il tutto esacerbato dal tentativo incessante della mente di cercare di ricondurre la somma di queste percezioni a degli schemi preconfezionati riguardo la propria concezione di realtà. Frustrazione che è esasperata ulteriormente dalla coerenza e dalla coesione di un testo che tuttavia rifiuta di fornire significati.

Un approccio opposto è quello delineato da Douglas Hofstader che al Codex dedicò uno dei suoi Metamagical Themas:

Molte persone a cui ho mostrato questo libro lo trovano spaventoso o in qualche modo sgradevole. Sembra che glorifichi l’entropia, il caos e l’incomprensibilità. C’è molto poco a cui aggrapparsi; tutto slitta, luccica, scivola. Eppure il libro ha una sorta di bellezza e di logica propria, qualità apprezzate da una calsse di persone diversa: persone che si trovano molto più a proprio agio con la fantasia a ruota libera e, in un certo senso, con la follia. Trovo alcune somiglianze tra la composizione musicale e questo tipo di invenzione. Entrambe sono astratte, entrambe creano uno stato d’animo, entrambe si basano principalmente sullo stile per trasmettere contenuti. La musica è, in un certo modo, una sorta di nonsense che nessuno comprende realmente. Incanta quasi ogni essere umano che può ascoltare ed eppure, di tutto ciò, sorprendentemente sappiamo ancora poco su come la musica azioni le sue meraviglie. Ma se la musica è una sorta di nonsense uditivo, ciò non impedisce il sorgere di forme ancora più estreme di super-nonsense auditivi. I lavori di Karl-Heinz Stockhausen, Peter Maxwell Davies, Luciano Berio e John Cage forniranno una splendida introduzione a quel genere, nel caso qualche lettore non sappia di cosa sto parlando. 1Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books

Bene, abbiamo toccato i due estremi dell’esperienza con il Codex che delineano anche gli estremi di ogni esperienza con la realtà: il tentativo frustrante di decodifica, di trovare l’altra metà del guscio, e il perdersi nella fantasticheria e nel nonsense, ossia nel perdersi e nel compiacersi della metà che ci è data. Tuttavia vorremmo suggerire una terza via, leggermente più ardua, che consiste nel mantenersi in equilibrio sulla china tra i due cigli, che è poi la via – a nostro parere – della produzione e della fruizione artistica nel senso più autentico.

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Il Codex non si “fa” leggere nel modo comune con cui possiamo intendere questo termine, ma richiede una modalità decisamente più originale e che mi ha ricordato ad esempio, la “lettura” delle mappe alchemiche Taoiste: non è tanto il “perché” che è importante in questo caso ma il ”come” e il processo a cui la “lettura” del libro porta. Il tutto ovviamente senza un fine, proprio come il Taosimo che individua nel “non agire” e nel “non profitto” la centralità del proprio messaggio.

Ed è proprio in questo punto di equilibrio, nel silenziare il processo di decodifica razionale e al tempo stesso nel mantenersi “sul pezzo” evitando le derive fantastiche che si apre la possibilità di ciò che in una parola sola possiamo definire: intuizione. Che è infine il quarto dei significati attribuiti ai testi medievali; ovvero, oltre a quello letterale, morale, allegorico c’è il significato segreto. Che è al tempo stesso oggettivo ma deve essere esperito soggettivamente, non può essere spiegato da persona a persona senza passare dall’esperienza diretta. E alla fine, è lo stesso autore che suggerisce che l’unico a detenere il significato del Codex è soltanto il lector in fabula che il Codex costringe a venire allo scoperto:

In fondo il Codex è come le macchie di Rorschach: ciascuno ci vede quel che vuole. E’ una sorta di visione oracolare, hai la sensazione che il libro ti parli ma in verità sei tu che lo fai parlare vedendoci dentro delle cose. 2Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini

Note[+]

Note
↑1 Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books
↑2 Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini
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