• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale
Zénon | Yoga e Qi Gong

Zénon | Yoga e Qi Gong

  • Home
  • Corsi
    • Tutti i corsi e gli orari
    • Yoga
      • Yoga (lezioni collettive)
      • Respirazione – Pranayama
      • Tandava
    • Yoga in gravidanza
    • Attività Post Parto: yoga e allenamento funzionale
    • Qi Gong e Taijiquan
    • Functional Training
    • Meditazione
  • Eventi
  • Chi siamo
  • Blog
  • Contatti

Zénon

Nello Yoga non ci sono clienti. E l’allievo non ha sempre ragione

8 Febbraio 2016 Zénon


Ovvero perché non tutti devono per forza dedicarsi allo Yoga (o al Tai Chi, o al Qi Gong), perché nessun luogo di insegnamento può essere adatto a tutti e perché anche gli insegnanti devono imparare a dire qualche volta di no, per il bene stesso degli allievi. 

Non è un paese per turisti

Approcciamo il discorso da un punto che riteniamo fondamentale: praticare Yoga, secondo noi, implica fare una scelta. Non per forza una scelta di vita o di fede (nello Yoga non è necessario credere in qualcosa), ma per lo meno di investire un po’ di tempo e andare oltre le impressioni superficiali.

Normalmente, noi non scegliamo: compriamo prima di scegliere, e spesso compriamo cose che nemmeno useremo, o che accumuleremo in un angolo della soffitta dopo averci giocato per qualche tempo, ma senza mai averne compreso la reale utilità. Così, dicono, si fa “girare l’economia”, ma non è così che funziona l’economia yogica, nella quale le cianfrusaglie esperienziali accumulate durante il turismo inconsapevole sono zavorre che alla lunga impediscono qualsiasi progresso: e questa è una dura realtà non solo per gli allievi, ma anche per gli insegnanti.

Anche per questo, come in ogni luogo, a Zénon ci sono delle regole. Una delle prime è che non facciamo lezioni singole a sconosciuti o abbonamenti “a ingressi”, cioè quelle formule tramite cui compri un tot di lezioni e le fai entro un orizzonte temporale illimitato.

Non ne facciamo perché senza un minimo di frequenza l’allievo rimarrebbe un principiante a vita e ciò sarebbe inutile e dannoso per lui, per i compagni di pratica e per il centro stesso, perché non si potrebbe nemmeno immaginare un percorso collettivo in cui le persone possono progredire col tempo.

Proprio per questo, riteniamo che in questi casi il dovere di un onesto insegnante sia invitare a riflettere su come si possa apprendere a suonare il piano partendo da zero con una lezione al mese e sapendo già di non avere la costanza (né gli strumenti) per esercitarsi nel frattempo da solo.

Naturalmente, in alcuni casi, arriva anche un momento in cui l’allievo dispone di strumenti e di sufficiente costanza per praticare anche da solo – ed è anzi è auspicabile che lo faccia. Ma questo discorso non può applicarsi a neofiti quali sono quasi tutti coloro che ci rivolgono richieste simili.

1576671 039

Lo scorso anno fece qualche rumore la dichiarazione di uno Yoga Studio canadese, che decise di smettere di insegnare le posizioni capovolte e di proibire ai propri allievi di eseguirle nel centro al di fuori delle lezioni. Le motivazioni erano a nostro parere abbastanza discutibili: ad esempio, che i benefici effettivi di tali posizioni non superassero gli effetti collaterali; ma non è questa l’occasione di discuterne.

Tuttavia, dall’articolo che annunciava la decisione emergeva un particolare per noi determinante: che quasi tutte le lezioni in quello Studio seguivano la formula ‘drop-in‘ (ovvero, “a ingressi”); la responsabile dello studio ammetteva che nella maggior parte delle lezioni si trovava in sala persone che non frequentano regolarmente oltre a una certa quantità di perfetti sconosciuti. A queste condizioni, nemmeno noi insegneremmo posizioni capovolte – a dire il vero, non insegneremmo proprio nessuna posizione – ed è proprio per questo che rinunciamo volentieri alla pur redditizia formula del drop-in.

A ognuno il suo posto

Il caso degli abbonamenti ‘a ingressi’ e gli aneddoti riportati contengono secondo noi un insegnamento chiaro, che vale la pena contestualizzare all’ambito della nostra attività: più si allarga indiscriminatamente il proprio pubblico per motivi commerciali e/o di spirito ecumenico, più è necessario un livellamento verso il basso della proposta, e spesso nel tentativo di accontentare tutti si rischia di non accontentare nessuno, oltre a rendere del tutto irrilevante il proprio lavoro.

Lo Yoga – ma vale per tutte le pratiche – non può essere adatto a tutti. A maggior ragione, un particolare tipo di Yoga insegnato da un particolare insegnante non può essere adatto a tutti. Può esserlo a molti, ma non a tutti.

In alcuni centri di Yoga, convivono diversi insegnanti con diverse formazioni, si fanno molte attività diverse tra loro e  si insegnano tante discipline diverse, per allargare il proprio pubblico. Pur rispettando queste scelte, nel nostro centro preferiamo connotarci in modo piuttosto preciso per quanto riguarda l’insegnamento dello Yoga e delle altre pratiche, che devono riflettere la nostra sensibilità e la nostra esperienza personale; inoltre, non ci interessa fare di tutto semplicemente per fare audience, soprattutto se non ci convince (ad esempio, negli ultimi mesi abbiamo rifiutato una dozzina di proposte da parte di suonatori di campane tibetane).

Chi voglia farsi un’idea di come lavoriamo, è benvenuto a provare di persona. Un’altra regola di questo luogo è: devi sentirti in sintonia con quello che si fa, con chi lo fa e come lo si fa; se qualcosa stride, nessun problema: non è il luogo adatto a te.

Spesso però sembra esserci un argomento che psicologicamente sovrasta qualsiasi altro dato, ovvero l’argomento del cliente che paga e quindi ha sempre ragione, anche quando si trova in un ristorante giapponese ma vorrebbe una pizza. E questo è un grave errore in cui possono incappare sia l’insegnante, sia l’allievo. Per l’allievo, occorre comprendere che non può pretendere di piegare il luogo ad adattarsi a sé. Per l’insegnante, occorre svestirsi dei panni messianici e deporre la falsa coscienza di aver negato l’accesso alla salvezza a una povero peccatore.

great-oom_wide-93982a31c3b6d59205f8c65df1652133343cc923
Immagine tratta da THE GREAT OOM: THE IMPROBABLE BIRTH OF YOGA IN AMERICA, di Robert Love

Per questo, ci riteniamo sollevati dall’obbligo di accogliere chiunque semplicemente perché è un allievo o un allieva in più che pagano una quota: riteniamo che non sarebbe rispettoso in primo luogo verso il potenziale allievo stesso, che considereremmo solo in quanto denaro sonante e non come essere umano che ha il diritto ad avere le proprie necessità e i propri tempi, magari distogliendolo da altre strade che potrebbe percorrere con molto maggiore profitto.

E, naturalmente, per il bene comune e onde ridurre al minimo gli episodi spiacevoli, non accogliamo o invitiamo ad andarsene coloro che si comportano in modo non compatibile con il luogo e con le attività insegnate.

Non ci riteniamo inoltre in obbligo di accogliere chiunque non prenda sul serio l’attività – consapevolmente o inconsapevolmente – a causa della malsana idea che lo Yoga sia “a prova di imbecille” e che quindi non sia degno nemmeno della minima attenzione necessaria in qualunque attività psicomotoria. Come abbiamo già ampiamente spiegato, se c’è una cosa sicura nello Yoga, è che non è sicuro; e tantomeno non esiste alcuna procedura sicura – ci dispiace molto per chi sostiene il contrario – a prescindere dalla consapevolezza e dalla presenza mentale del praticante, che deve essere responsabile di sé stesso.

Ora, non tutti hanno gli strumenti per valutare se quello che stanno facendo è adatto a sé: in questo caso, per il bene comune, ci riteniamo in dovere di aiutare a vedere le cose in modo più chiaro, anche invitando a prendersi pause di riflessione o a cercare altrove.

Non ci è in alcun modo possibile ricostruire un identikit dell’allievo ideale: i dati anagrafici, gli interessi, persino le caratteristiche psicofisiche sono per noi del tutto irrilevanti alla prova dei fatti. Chiunque, a qualunque età e in qualunque condizione, può trovarsi a proprio agio da noi, così come chiunque, per qualsiasi motivo che non deve nemmeno giustificare, può ritenere altrimenti. E lo stesso vale per le nostre decisioni.

Ma qui non ci sono clienti

sadhu

Il cliente non ha sempre ragione, soprattutto quando non ha ben chiaro cosa vuole e quando non lo chiede con il dovuto rispetto. Ma, a voler essere ancora più precisi, noi siamo convinti che nello Yoga non ci siano clienti.

Non solo perché nello Yoga nessun risultato può essere meccanicamente garantito e quindi venduto, ma anche perché il rapporto insegnante-allievo richiede un’assoluta schiettezza che non può essere subordinata ai compromessi inevitabili in cui si incorre nel rapporto fornitore-cliente.

Sappiamo di correre il rischio di essere considerati un po’ idealisti – o ipocriti, dai diffidenti – e sappiamo che il mondo ‘olistico’ è ormai un mercato in cui accaparrarsi più anime possibile con ogni mezzo, soprattutto con il massiccio uso di tecniche di manipolazione che poco si conciliano con l’intento dichiarato di rendere l’essere umano più libero e autonomo.

Eppure, fino al secolo scorso, chi volesse dedicarsi a queste discipline doveva sottoporsi a viaggi lunghi, incerti e pericolosi per trovare qualcuno che potesse insegnargli qualcosa. Qualcuno che poteva anche rifiutarsi di farlo, se non lo riteneva adatto e pronto; non necessariamente “all’altezza”, perché magari a quella particolare persona era destinata un altro tipo di insegnamento.

Non rimpiangiamo quei tempi, ma ci piace ancor meno l’estremo caso opposto, in cui per qualsiasi pratica (o, ancor peggio, non per lo strumento ma per il risultato finale) chiunque viene ritenuto pronto o adatto, purché versi una quota di partecipazione.

Noi rimaniamo convinti che, se scegliessimo di operare in un contesto simile, la transazione economica rimarrebbe l’unica forma di trasmissione che potremmo garantire.

Leggi

Archiviato in: Yoga

Canto Armonico/Presenza Armonica: tre brani e una spiegazione

17 Novembre 2015 Zénon


Pubblichiamo con piacere due estratti audio dal seminario di Canto Armonico – Presenza Armonica tenuto da Roberto Cerri il 15 novembre 2015, che riteniamo rappresentativi del lavoro svolto e del tipo di Canto Armonico proposto da Roberto. Le esecuzioni sono avvenute con il solo utilizzo delle voci dei partecipanti (che in tutto erano otto), senza l’ausilio di alcuno strumento musicale o effetto.

Oltre ai brani, abbiamo aggiunto alcune riflessioni su una domanda che ci viene posta di frequente soprattutto da esperti del settore, che vogliono sapere se durante questi seminari viene insegnata la tecnica “precisa” con cui “fare” gli armonici.

Intanto, per chi volesse farsi un’idea rapida, abbiamo preparato un condensato in pochi minuti di quello che è accaduto durante il seminario. Chi vuole approfondire, può proseguire oltre nell’articolo e ascoltare i brani completi.

Brano 1: M con armonici

Il primo brano è stato registrato durante la mattinata e le indicazioni di Roberto sottolineano e guidano l’esecuzione. Speriamo che queste indicazioni aiutino a rendere un’idea di come si articoli il lavoro. Da notare come, dopo la modulazione nella lettera M, il canto si apra con le vocali dispiegando tutta la sua carica di armonici verso il minuto 5:30.

https://www.zenon.it/wp-content/uploads/2015/11/02-M-con-armonici-tagliato.mp3

Brano 2: Suoni gravi

Il secondo brano è molto particolare. Nel secondo brano Roberto ha chiesto ai partecipanti di scavare nei suoni più gravi, generando un magma sonoro profondo da cui si risale infine verso i suoni più alti.

https://www.zenon.it/wp-content/uploads/2015/11/03-Nota-grave-con-armonici.mp3

Brano 3: Solo di Roberto Cerri

E infine, last but not least, una esecuzione a solo che Roberto Cerri ci ha voluto gentilmente regalare.

https://www.zenon.it/wp-content/uploads/2015/11/01-Solo-Roberto.mp3

Una domanda frequente: perché i tuvani non c’entrano e perché preferiamo il rilassamento allo sforzo

Intendersi a parole non è semplice. Ad esempio, spendiamo molte parole in approfondimenti per spiegare il Canto Armonico proposto da Roberto Cerri qui a Zénon; e per spiegare che gli armonici sono già presenti naturalmente nella voce (non è un’affermazione poetica, ma una legge ben conosciuta da chi ha un’infarinatura di teoria musicale1Vale la pena citare per una volta Wikipedia alla voce Armonici naturali: “Un suono prodotto da un corpo vibrante non è mai puro, ma è costituito da un amalgama in cui al suono fondamentale se ne aggiungono altri più acuti e meno intensi” ). Abbiamo speso anche numerose parole per spiegare che il vero lavoro è fare emergere tali suoni, invece di produrli, e non è cosa da poco.

No, i Tuvani non c’entrano con il Canto Armonico praticato a Zénon.

Tra l’altro, il lavoro proposto da Roberto è accompagnato da una tale preparazione teorica e pratica in campo musicale – e a tutto tondo – che lo rende immune da sospetti di “spontaneismo” naif tipo “liberate il vostro chakra della gola”.

Eppure, ci accorgiamo che alcuni addetti ai lavori, nel chiederci informazioni, spesso si arenano sulla domanda: “D’accordo, ma la tecnica per fare gli armonici la insegnate? Ad esempio, quella dei tuvani?”

Quando si parla di Canto Armonico, la popolazione mongolica di Tuva spunta sempre a un certo punto della conversazione. E proprio questa popolazione, assurta alle cronache per il tipico canto folkloristico “di gola” (comune anche ai pastori sardi che tuttavia non sono altrettanto popolari tra gli operatori olistici), proprio costoro ci offrono l’occasione per marcare la differenza tra il canto armonico proposto da Roberto, che si è formato con David Hykes, e altri tipi di canto armonico.

Il throat singing dei mongoli Tuva, infatti, è basato sullo sforzo degli organi fonatori e – tra le altre cose – non è necessariamente legato a un lavoro introspettivo o spirituale. Il Canto Armonico praticato e insegnato da David Hykes e dal ‘nostro’ Roberto Cerri, è invece basato sul rilassamento, ed è una pratica specificamente di tipo meditativo. Nel primo caso parliamo di uno stile che può essere identificato tramite una tecnica specifica di produzione degli armonici. Nel secondo caso, la tecnica… non c’è: è il risultato di un lavoro interiore di de-strutturazione e di ri-strutturazione del rapporto tra Ascolto e Voce. Non è per forza una dichiarazione di superiorità di un metodo su un altro, ma è una differenza che è importante sottolineare perché non si generino false aspettative.

Per questo accanto alla dicitura Canto Armonico compare sempre quella di Presenza Armonica: il Canto Armonico così inteso ha molto più a che fare con la Consapevolezza e con la Coscienza che con l’estetica di una performance vocale.

nadayoga

Il principio è molto simile a quello del respiro nello Yoga: è in primo luogo necessario disimparare e dismettere le cattive abitudini, mentre le tecniche utilizzate ‘producono’ gli armonici solo in modo molto indiretto, così come l’esecuzione meccanica di una tecnica respiratoria non determina direttamente e necessariamente l’attivazione energetica a cui mira (e vorremmo ricordare a questo proposito il sutra in cui Patanjali che descrive il lavoro del contadino che rimuove gli argini perché il campo si allaghi, citato in uno degli ultimi articoli). Solo con queste premesse si può decidere in seguito se navigare liberamente, oppure seguire delle strutture (e che strutture), ma giunti a questo punto la divergenza tra le opzioni è solo apparente quanto il gioco tra dissonanza e assonanza.

Insomma, pensare che “io produco gli armonici” attraverso l’esecuzione di una tecnica presuppone l’idea che “io controllo” gli armonici. Ma in realtà gli armonici, intesi come entità archetipiche, non si controllano, così come non si controlla il respiro o meglio l’energia vitale: gli armonici, come il respiro, avvengono, sono la manifestazione di una legge generale nel particolare, e il risultato della risonanza del singolo nell’ambiente generale.

Altra cosa, però, ci sia concesso di dirlo, è un atteggiamento che in alcuni – pochi – casi abbiamo riscontrato e che pretende di avere tutto subito, ovvero: se non insegnate la tecnica per produrre meccanicamente i suoni armonici allora vi state tenendo per voi i segreti del mestiere, oppure state vendendo fumo.

Sulla profondità del lavoro svolto da Roberto, lasciamo giudicare in base all’ascolto dei brani audio che abbiamo riportato più sopra, alla cui realizzazione hanno partecipato persone che fino a pochi mesi fa mai avrebbero pensato di poter usare la propria voce per cantare. Intanto, a tutti coloro disposti ad ascoltare abbandonando anche per un istante le strutture preconcette, auguriamo buon Ascolto.

Ringraziamenti

Ringraziamo Michael Andenna, Luca Borgogna, Alessandra Onnis, Erika Pizzo, Damiano Valloggia e Chiara Arrigoni per il contributo fornito e la partecipazione nei brani.

Il corso di Presenza Armonica – Canto Armonico

https://www.zenon.it/orari/canto-armonico-seminario/
Il prossimo appuntamento con il Canto Armonico a Zénon.

Note[+]

Note
↑1 Vale la pena citare per una volta Wikipedia alla voce Armonici naturali: “Un suono prodotto da un corpo vibrante non è mai puro, ma è costituito da un amalgama in cui al suono fondamentale se ne aggiungono altri più acuti e meno intensi”
Leggi

Archiviato in: Canto Armonico

Lo Yoga, in gravidanza

11 Marzo 2015 Zénon

Nelle immagini che seguono, Erika ed Elisa sono circa all’ottavo mese di gravidanza. Delle due future madri, una aveva già una buona esperienza di Yoga, mentre l’altra ha deciso di iniziare proprio durante questo periodo. Entrambe ci hanno gentilmente concesso di fissare l’esperienza che hanno voluto fare con noi.

Non vogliamo aggiungere molte parole, e lasciar parlare le immagini. Vorremmo solo avvertire che la scelta delle foto è esemplificativa e non ha l’intenzione di essere una sequenza-tipo di āsana, o una lista di posizioni necessariamente consigliate a tutte in gravidanza.

Alcune di esse sono piuttosto impegnative e difficilmente eseguibili senza una buona esperienza precedente. Mai come in questo caso, la pratica dello yoga non può essere standardizzata in assoluto e deve adattarsi alle situazioni personali sotto la guida diretta (leggi: con la presenza fisica) di una guida esperta.

Erika ed Elisa, che ringraziamo, ora sono madri rispettivamente di Ambra e Matilde, due bambine molto belle (lo possiamo testimoniare) e sane.

Un sentito ringraziamento anche ad Andrea Ballaratti, che ha scattato queste foto, per l’ottimo lavoro svolto.

Simhasana
Simhasana
Marjasana
Marjasana
Utthita Trikonasana
Utthita Trikonasana
Utthita Trikonasana
Virabhadrasana
Virabhadrasana
Virabhadrasana
Vriksasana
Vriksasana
Adho mukha svananasana
Malasana
Parivrtta janu sirsasana
Parivrtta janu sirsasana
Parivrtta janu sirsasana
Parivrtta janu sirsasana
Upavistha konasana
Upavistha konasana
Upavistha konasana
Salamba sarvangasana
Setu Bandha Sarvangasana
Setu Bandha Sarvangasana
Baddha Konasana
Bharadvajasana
Bharadvajasana
Bharadvajasana
Virasana
Supta virasana
Supta virasana
Supta virasana
Supta virasana
Posizione di rilassamento per favorire la respirazione addominale
Posizione di rilassamento per favorire la respirazione addominale

 

 

Leggi

Archiviato in: Yoga Contrassegnato con: gravidanza, yoga in gravidanza

Codex Seraphinianus

5 Novembre 2014 Zénon


La prima edizione del Codex Seraphinianus vede la luce nel 1981 grazie a Luigi Serafini, eclettico architetto romano con una spiccata vena artistica. Da iniziale libro semisconociuto e semi-clandestino (pare che le prime copie andarono a ruba e poi per molto tempo fu difficile reperirlo), questa opera ha visto diverse edizioni e, da appannaggio di pochi, con l’avvento dell’era digitale e di internet, si è trasformata in un must have per tutti i cultori del surreale, peraltro ristampato in una edizione di lusso lo scorso anno da Rizzoli.

Ma in definitiva cos’è il Codex Seraphinianus?

Luigi Serafini
Luigi Serafini

È un’enciclopedia di un mondo apparentemente alieno che contiene però molti elementi riconducibili al nostro mondo, ibridando i regni umano, vegetale, animale, minerale e tecnologico. La modalità con cui l’autore ce lo presenta è quella appunto di un’enciclopedia come potrebbe essere quella di Diderot, dove si susseguono spiegazioni e schematizzazioni di tutti gli aspetti di questo mondo “parallelo”: architettura, flora, fauna, abbigliamento, scienza eccetera.

Ciò che rende però unico questo libro è come l’autore affronti questi temi: con delle suggestive tavole disegnate a mano (sono diverse centinaia) accompagnate da una scrittura che non è riconducibile ad alcun linguaggio conosciuto e quindi ritenuta “inventata”, di cui offriamo qui una galleria (basta cliccare sulle immagini per ingrandirle):

Una prima riflessione personale è dettata da alcune riminiscenze filosofiche liceali riguardanti le idee nel pensiero platonico e neoplatonico, intesa come fondamento gnoseologico e ontologico della realtà. Se quindi le idee sono degli assoluti esistenti a prescindere dal processo mentale del singolo, possiamo veramente concepire un qualcosa che non esiste?

A parte questa considerazione, la chiave del fascino che questo libro ha esercitato e continua ad esercitare sul pubblico sta più che altro nel suo perché: qual è il suo significato? Cosa ha spinto l’autore a impegnarsi in un lavoro così imponente? Quale sarà il messaggio celato dietro tutto ciò? Una burla di un buontempone eccentrico o un’opera esoterica che dietro alle tavole e al linguaggio apparentemente senza senso, celi degli inimmaginabili segreti?

Alcuni hanno voluto cercare dei paralleli con il Manoscritto di Voynich, un’analoga sorta di misteriosa enciclopedia che Rodolfo II di Asburgo, noto per il suo interesse verso l’alchimia, acquistò a caro prezzo da John Dee nel ‘600. Tuttavia l’enigma del Codex è ancora più sconvolgente in quanto non si tratta di un misterioso testo cifrato di un oscuro alchimista del passato, bensì di un personaggio tutt’ora vivente, interrogabile, disposto al dialogo, ma che tuttavia sembra ritrarsi dal fornire una chiave.

voynich_manuscript_170
Il manoscritto di Voynich

Si sa che l’essere umano è di per sé curioso e spesso la mente lo costringe a razionalizzare, riconducendo a schemi a lei propri e familiari qualunque fenomeno le capiti davanti. Per questo motivo cercando nel web, si possono trovare i commenti più disparati nel tentativo di decifrare e/o trovare una spiegazione razionale a questa opera. C’è addirittura chi, per la gioia dei nerd, ha messo online un decodificatore che traduce da inglese, italiano, spagnolo e francese nell’alfabeto serafiniano, nonostante lo stesso Serafini abbia più volte affermato che tale scrittura è per lui “solo un gioco”.

In realtà, molto probabilmente, accettare l’assenza di un significato al di fuori dell’opera stessa è lo scoglio più grande per entrare in sintonia con il Codex.

Infatti, sfogliando, il susseguirsi di immagini surreali, spesso grottesche, accompagnate da una scrittura morbida e sinuosa ma incomprensibile, il lettore è sottoposto ad un continuo susseguirsi di emozioni molto discrepanti, il tutto esacerbato dal tentativo incessante della mente di cercare di ricondurre la somma di queste percezioni a degli schemi preconfezionati riguardo la propria concezione di realtà. Frustrazione che è esasperata ulteriormente dalla coerenza e dalla coesione di un testo che tuttavia rifiuta di fornire significati.

Un approccio opposto è quello delineato da Douglas Hofstader che al Codex dedicò uno dei suoi Metamagical Themas:

Molte persone a cui ho mostrato questo libro lo trovano spaventoso o in qualche modo sgradevole. Sembra che glorifichi l’entropia, il caos e l’incomprensibilità. C’è molto poco a cui aggrapparsi; tutto slitta, luccica, scivola. Eppure il libro ha una sorta di bellezza e di logica propria, qualità apprezzate da una calsse di persone diversa: persone che si trovano molto più a proprio agio con la fantasia a ruota libera e, in un certo senso, con la follia. Trovo alcune somiglianze tra la composizione musicale e questo tipo di invenzione. Entrambe sono astratte, entrambe creano uno stato d’animo, entrambe si basano principalmente sullo stile per trasmettere contenuti. La musica è, in un certo modo, una sorta di nonsense che nessuno comprende realmente. Incanta quasi ogni essere umano che può ascoltare ed eppure, di tutto ciò, sorprendentemente sappiamo ancora poco su come la musica azioni le sue meraviglie. Ma se la musica è una sorta di nonsense uditivo, ciò non impedisce il sorgere di forme ancora più estreme di super-nonsense auditivi. I lavori di Karl-Heinz Stockhausen, Peter Maxwell Davies, Luciano Berio e John Cage forniranno una splendida introduzione a quel genere, nel caso qualche lettore non sappia di cosa sto parlando. 1Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books

Bene, abbiamo toccato i due estremi dell’esperienza con il Codex che delineano anche gli estremi di ogni esperienza con la realtà: il tentativo frustrante di decodifica, di trovare l’altra metà del guscio, e il perdersi nella fantasticheria e nel nonsense, ossia nel perdersi e nel compiacersi della metà che ci è data. Tuttavia vorremmo suggerire una terza via, leggermente più ardua, che consiste nel mantenersi in equilibrio sulla china tra i due cigli, che è poi la via – a nostro parere – della produzione e della fruizione artistica nel senso più autentico.

codex-seraphinianus-abbeville

Il Codex non si “fa” leggere nel modo comune con cui possiamo intendere questo termine, ma richiede una modalità decisamente più originale e che mi ha ricordato ad esempio, la “lettura” delle mappe alchemiche Taoiste: non è tanto il “perché” che è importante in questo caso ma il ”come” e il processo a cui la “lettura” del libro porta. Il tutto ovviamente senza un fine, proprio come il Taosimo che individua nel “non agire” e nel “non profitto” la centralità del proprio messaggio.

Ed è proprio in questo punto di equilibrio, nel silenziare il processo di decodifica razionale e al tempo stesso nel mantenersi “sul pezzo” evitando le derive fantastiche che si apre la possibilità di ciò che in una parola sola possiamo definire: intuizione. Che è infine il quarto dei significati attribuiti ai testi medievali; ovvero, oltre a quello letterale, morale, allegorico c’è il significato segreto. Che è al tempo stesso oggettivo ma deve essere esperito soggettivamente, non può essere spiegato da persona a persona senza passare dall’esperienza diretta. E alla fine, è lo stesso autore che suggerisce che l’unico a detenere il significato del Codex è soltanto il lector in fabula che il Codex costringe a venire allo scoperto:

In fondo il Codex è come le macchie di Rorschach: ciascuno ci vede quel che vuole. E’ una sorta di visione oracolare, hai la sensazione che il libro ti parli ma in verità sei tu che lo fai parlare vedendoci dentro delle cose. 2Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini

Note[+]

Note
↑1 Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books
↑2 Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini
Leggi

Archiviato in: arte Contrassegnato con: arte, codex serafinianus, filosofia, mappe alchemiche

La sofferenza

6 Giugno 2014 Zénon

E allora, senza solide fondamenta,
tutto è andato in frantumi.
La falsa ebbrezza, quanto è durata?
Dipende.

Se siete rotte al dolore, se avete coraggio,
volontà orgoglio, queste false virtù tanto elogiate,
avete stretto i denti
E avete resistito.

E, per un momento, avete creduto di esserci arrivate.
Talvolta, ahimè, si tiene duro così, per parecchio tempo.
Ci hanno tanto ripetuto che bisogna soffrire sorridendo.
Sorridere, stringendo i denti…
che misera smorfia.

Qui dobbiamo fermarci.
E parlare della sofferenza che abbiamo appena incontrato.
Si è scritto tanto su di essa,
sono state dette tante stupidaggini,
avvelena ancora a tal punto
che bisogna cercare di vederci chiaro.

Voi incontrerete il dolore.
E, non si scappa, bisogna sopportarlo.
Perché?
Perché bisogna vedere. Capire.
E non accettare ciecamente.
Sopportazione, coraggio?
Sono virtù rispettabili. Di cui avrete bisogno.
Ma per superarle.
Non sono grandi virtù.
Sono dei ripieghi.

Ma allora?
Ascoltate bene:
voi incontrerete il dolore.
E non fuggirete via.
Lo sopporterete, soffrirete.
Perché?
Come punizione?
Buon Dio, no!
Punizione?
E di che?
È un’idea molto vecchia che la sofferenza sia nobile, che sia un bene in sé.
Stupidaggini! La sofferenza avvilisce, abbruttisce.
Non placa alcun dio.
Perciò, di grazia, niente crocifissioni, niente flagellazioni!
Allora, soffrire, perché?

Bisogna accettare la sofferenza
per conoscerla. Riconoscerla.
Guardarla in faccia
per capirla. E con ciò stesso liberarsene.
La sofferenza cerca di dirvi qualcosa.
Come potete capire questa messaggera
se la sfuggite!
Aspettatela a piede fermo, datevi a lei,
fondetevi con lei, e scoprirete che era solo
la paura.
Era la distanza che, follemente,
cercavate di mettere tra
lei e voi.
Voi
e la sensazione.
Quale voi?
C’è un voi distinto
da ciò che sentite?

Sì, ancora una volta, ascoltate bene:
la sofferenza…
invece di fuggire, voi vi offrite a lei,
lasciate che vi investa, che vi invada totalmente
senza lottare
e, come per miracolo, scompare!
L’«io» cercava di fuggire, di rifiutare,
scomparso questo «io», c’è solo
la sofferenza.
O, invece, una estrema intensità
che vi apre
e una respirazione immensa, illimitata, onnipotente
che vi invade e vi trascina,
e fa sì che la sofferenza tanto temuta
diventi estasi.

Ci siamo accorti che su Zénon non abbiamo ancora parlato di Yoga, nonostante questa disciplina faccia parte delle vite di gran parte dei nostri autori.

Abbiamo dunque voluto rompere il ghiaccio con questo brano del ginecologo francese Frédérick Leboyer (tratto da Dalla luce, il bambino), che parla della gravidanza, ma le cui parole – che vengono da un’esperienza stra-ordinaria dello Yoga – potrebbero essere dirette a qualsiasi esperienza umana.

In fondo, non c’è una sola nascita (così come non c’è una sola morte), e lo Yoga è un acceleratore delle numerose gestazioni che andremo ad affrontare.

E, in fondo, le parole di cui sopra non riguardano anche il processo che chiamiamo guarigione?

Leggi

Archiviato in: Yoga Contrassegnato con: gravidanza, Leboyer, yoga, yoga in gravidanza

Prevenire è meglio che curare: la grande lacuna nella nostra medicina

10 Aprile 2014 Zénon


Abbiamo pensato a lungo prima di dire la nostra sulle dichiarazioni rilasciate alla trasmissione Le Iene dal Professor Franco Berrino, ex Direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Ci abbiamo pensato a lungo proprio perché la trasmissione ha purtroppo dimostrato nel passato recentissimo di voler cavalcare il sensazionalismo a discapito di un’informazione corretta. Tuttavia, abbiamo  deciso che queste dichiarazioni valevano la pena di spendere alcune considerazioni.

Prima di tutto, l’antefatto: alcune settimane fa, un paziente malato di tumore aveva raccontato alla trasmissione di esserne guarito grazie ad una dieta vegana crudista che gli era stata prescritta dall’oncologa nutrizionista del S. Raffaele di Milano, la Dr.ssa Michela De Petris.

In questo contesto – e dalla constatazione di ciò che normalmente si somministra ai malati negli ospedali – si inserisce l’intervista al Prof. Franco Berrino, da cui si possono trarre delle considerazioni interessanti sulla nostra Medicina, sul nostro sistema sanitario e sul concetto generale di salute e prevenzione.

Innanzitutto il prof. Berrino – come del resto la dott.ssa De Petris – conviene sul fatto che via sia una grande ignoranza da parte della classe medica riguardo all’alimentazione e al suo potenziale curativo. Tale lacuna origina da una “dimenticanza” nell’iter formativo di studi che quindi porta il medico a “sottovalutare” l’alimentazione e le sue proprietà in termini di prevenzione e anche di cura.

Non è nostro interesse discutere qui di quale alimentazione sia migliore per prevenire o curare alcune malattie (lo faremo presto, con maggiore approfondimento, perché l’argomento è complesso). Tuttavia ci limiteremo a notare, assieme al prof. Berrino, che l’alimentazione – a differenza ad esempio del fumo – non viene per nulla considerata e/o consigliata dai medici ai propri pazienti tra le misure per prevenire l’insorgenza di malattie come i tumori.

Mediamente quello che diamo da mangiare ai malati nei nostri ospedali è il peggio del peggio. Ma, sa, io dico sempre: noi vogliamo bene ai nostri malati, vogliamo che tornino.

Tuttavia il discorso diventa ancora più ampio: in cosa consiste veramente la prevenzione? Anche qui il Prof. Berrino lancia una “bomba” non da poco, sostenendo che: “Ad oggi non c’è un interesse economico nei confronti della prevenzione… che parola si potrebbe usare per definirla? Una gran commissione di ignoranza, di stupidità e di interessi”.

E infatti immaginiamo che chiunque legga può riconoscere la vaghezza e l’inconsistenza di molte risposte che in genere i medici forniscono riguardo alla prevenzione di determinate malattie.

Quindi cosa fare? Un famoso spot pubblicitario di un dentifricio parecchi anni fa diceva “Prevenire è meglio che curare” e nella sua semplicità questo slogan forse non aveva tutti i torti. Ma se, come sottolinea il Prof. Berrino, in realtàla prevenzione  nel nostro modello sanitario non esiste, cosa dobbiamo fare?

Uno spunto interessante potrebbero darcelo altre Tradizioni che da millenni sostengono l’importanza della prevenzione al pari della cura, come ad esempio la Medicina Tradizionale Cinese, e le cosiddette “pratiche di lunga vita”, che ne costituiscono uno dei capitoli più interessanti, ma allo stesso tempo più complessi da imparare.

Osservando il Prof. Berrino durante l’intervista, si nota una certa rassegnazione ad accettare un determinato status quo che tuttavia poi si tramuta in rabbia crescente, fino ad arrivare a rinnegare completamente tale sistema, demolendolo dalle fondamenta. Colpisce molto vedere una reazione simile in una persona che ha ricoperto per così tanti anni una carica così “centrale” e “delicata” nel sistema stesso che va invece adesso a demolire.

Pensiamo che per una persona la cui vocazione è dedicarsi a lenire la sofferenza altrui, essere costretti ad accettare e quindi a sostenere ed alimentare un sistema che tradisce questi ideali vada a ledere in profondità le motivazioni più intime e profonde che hanno portato una persona a scegliere un percorso così difficile e impegnativo come quello di medico.

Una “ferita”, profonda e aperta, che genera frustrazione e insoddisfazione, che viene spesso percepita anche dai pazienti stessi e che inevitabilmente col passare degli anni inquina e insterilisce la vocazione originaria del medico, cioè il cuore, in cui risiede la parte più nobile e sacra dell’atto di guarigione.

L’intervista alle Iene

E alcuni consigli sull’alimentazione del prof. Berrino a Report

Leggi

Archiviato in: alimentazione, medicina Contrassegnato con: alimentazione, cura

  • « Vai alla pagina precedente
  • Vai alla pagina 1
  • Pagine interim omesse …
  • Vai alla pagina 8
  • Vai alla pagina 9
  • Vai alla pagina 10
  • Vai alla pagina 11
  • Vai alla pagina successiva »

Copyright © 2014-2022 – Zénon Cooperativa Sportiva Dilettantistica Corso XXIII marzo 17 28100 Novara C. F. e P. IVA 02419740036 Privacy Policy. Contributi pubblici.