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hathayoga

Yoga del Kashmir: l’arte della contemplazione che diviene festa, con Gioia Lussana

24 Febbraio 2025 by Zénon Lascia un commento


Domenica 9 marzo 2025: seminario intensivo di Yoga del Kashmir con Gioia Lussana. Evento unicamente in presenza.

  • Il tema
  • Dove e quando si svolge il seminario
  • La docente
  • Contributo di partecipazione
  • Iscriviti
    • Desideri maggiori informazioni?

    Il tema

    In questo seminario teorico-pratico approfondiremo alcuni aspetti dello yoga non duale del Kashmir, che fanno di questo yoga nella sua riformulazione contemporanea una delle declinazioni più originali e creative rispetto alle diverse proposte dello Haṭha-yoga oggi più diffuse.

    Anziché come terapia corporea, rimanendo fedele al messaggio filosofico e religioso delle scuole medievali questo yoga, eminentemente contemplativo, è inteso come arte espressiva del sé più profondo. E allora contemplare diviene una festosa manifestazione della nostra natura autentica, fervida partecipazione al mistero dell’esistenza.

    Dove e quando si svolge il seminario


    Il corso si terrà in presenza domenica 9 marzo dalle 10.00 alle 18.00 presso la sede di Zénon, in via 23 marzo n.17 a Novara.

    La docente

    Gioia Lussana

    Docente yoga (Y.A.N.I.) e formatrice di insegnanti yoga. Laureata cum laude in Indologia con Raniero Gnoli e Raffaele Torella. Co-fondatrice dell’A.ME.CO con Corrado Pensa, per oltre 20 anni ha approfondito la meditazione vipassanà con maestri del buddhismo contemporaneo. Ha pubblicato saggi sullo yoga in riviste scientifiche (RSO) e divulgative. Ha conseguito il PhD presso l’Università Sapienza di Roma con una ricerca sullo yoga tantrico delle origini.

      Contributo di partecipazione

      La quota di partecipazione è di 100€.
      Se è la prima volta che ti iscrivi a un corso a Zénon quest’anno, con la quota del corso hai anche il tesseramento per un anno, valido anche per svolgere altre attività presso di noi.

      Posti attualmente disponibili: 3

      Iscriviti

      Vuoi iscriverti? Servono solo due passaggi: 1) paghi la quota e 2) compili e invii la domanda di iscrizione.


      1. Dati per il pagamento

      Costo: 100€

      Ecco le coordinate bancarie su cui versare la quota di iscrizione:

      IT32R0503410196000000000905
      Intestato a: Zenon ASD 
      Causale: Iscrizione corso e quota tesseramento [specificare il nome se il conto non è intestato all’iscritto/a]

      Oppure paga con carta di credito/debito (con o senza Paypal)

      2. Scarica e compila il modulo di iscrizione

      Scarica la domanda di iscrizione e inviala compilata all’indirizzo info@zenon.it oppure inviacela via whatsapp cliccando sull’icona in basso a sinistra.

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      Archiviato in:eventi conclusi Contrassegnato con: hathayoga, Qi Gong Novara, tantra, yoga Novara

      Yogasana 10: corpo yogico, neuroni specchio e immaginazione motoria

      2 Dicembre 2024 by Zénon Lascia un commento

      Yogasana 10
      CORPO YOGICO, NEURONI SPECCHIO E IMMAGINAZIONE MOTORIA

      Sette seminari online e in presenza

      Come le recenti scoperte nel campo dei neuroni specchio e del motor imagery hanno riattualizzato la nozione di corpo yogico e la pratica dei ‘movimenti invisibili’ con l’energia vitale: sette seminari pratici e teorici su come le discipline contemplative abbiano un impatto concreto sul corpo e su come lo yoga possa aiutare a ripensare il concetto di riabilitazione, tra neurofisiologia, pratica corporea, filosofia applicata e uno sguardo alle pratiche taoiste e alla Medicina Tradizionale Cinese…

      Contenuti

      • Contenuti di questa edizione
      • Il programma e il calendario
        • I docenti
        • Contributo di partecipazione e attestato di frequenza
        • Iscriviti
          • Desideri maggiori informazioni?

          Contenuti di questa edizione

          A livello neurofisiologico, quando simuliamo ‘mentalmente’ un movimento o lo vediamo fare da qualcuno, attiviamo pressoché le stesse aree corticali che impegneremmo per compierlo fisicamente. Basandosi su questo principio, che è connesso ai neuroni specchio, la pratica della immaginazione motoria (motor imagery) si è rivelata una risorsa di inaspettata efficacia nel campo dell’apprendimento motorio, dell’allenamento sportivo e della neuro-riabilitazione.

          La facoltà di avere una esperienza motoria in assenza di attivazione muscolare non può lasciare indifferente il praticante di yoga, il quale, laddove non abbia ricevuto una formazione votata unicamente al risultato meccanico, troverà una certa affinità con la presa di consapevolezza di quel territorio poco razionalizzabile tra il sentire e il fare. Un territorio che, se esplorato e coltivato attraverso la pratica yogica, è in grado di traboccare ed esprimere la propria dimensione attraverso il gesto esteriore al di là delle sue lacune.

          Ma non solo: l’immaginazione motoria da un lato rende attuale la nozione di corpo yogico, il quale è tradizionalmente intessuto anche dall’attività creativa e immaginale del praticante; dall’altro trova dei precedenti nelle pratiche di interiorizzazione e soprattutto nei movimenti invisibili, così essenziali in particolar modo nella tradizione del Kashmir e nelle pratiche taoiste per lo ‘svuotamento’ del corpo dalle tensioni e dall’intenzionalità egoriferita.

          In questa decima edizione di Yogasana, che coincide peraltro con il decimo anniversario di Zénon, ci muoveremo tra queste coordinate attraverso sette seminari in cui, accanto al confronto con la neurofisiologia e le pratiche riabilitative, riscopriremo come alcuni concetti filosofici e alcuni aspetti più interni della pratica yogica abbiano un impatto molto più profondo di quanto non pensiamo sul corpo fisico e sulle sue abilità di fare e di sentire.

          Saranno con noi in questo percorso Claudio Molinari, neurofisiologo, agopuntore e professore associato UPO, Gioia Lussana, PhD esperta nello Yoga tantrico delle origini, oltre al prof. Marco Invernizzi e Francesco Vignotto.

          in presenza e online

          Il corso potrà essere seguito anche in differita tramite le registrazioni, che saranno disponibili il giorno dopo ogni seminario

          Il programma e il calendario

          Tutti i seminari dureranno circa due ore e conterranno una parte teorica e una parte pratica. Potranno essere seguiti in queste tre modalità:

          • in presenza presso la nostra sede a Novara in via XXIII marzo al numero 17
          • online in diretta tramite la piattaforma Zoom
          • online in differita, tramite le registrazioni che saranno disponibili per la visione in streaming a partire dal giorno seguente

          Le registrazioni, assieme alle slide di ogni seminario, saranno a disposizione di tutti gli iscritti, anche di chi sceglierà di seguire in presenza.

          Le date:

          • 6 febbraio
          • 13 febbraio
          • 20 febbraio
          • 6 marzo
          • 20 marzo
          • 27 marzo
          • 3 aprile

          Ed ecco il dettaglio degli incontri:


          MODULO 1: Sentire la mano non è pensare alla mano: abitare e abilitare il corpo yogico oggi

          Online e in presenza, giovedì 6 febbraio ore 19.10-21.00
          Con Francesco Vignotto

          Quando si parla di aspetti energetici nella pratica dello yoga, uno si immagina che vi sia una teoria da apprendere e poi applicare. Quindi ecco un fiorire di mappe spesso eterogenee (nadi, chakra, involucri, soffi, meridiani) che si stratificano sovrapponendosi peraltro ai paradigmi medici e biomeccanici creando ulteriori bias. Tuttavia, prima di farne esperienza diretta, queste mappe sono fuorvianti (e spesso contengono deliberatamente errori), perché tutto inizia proprio da qui: nel capire che sentire la mano non è pensare alla mano, che il sistema nervoso custodisce gli schemi motori ma non può trascenderli perché non è l’origine dell’intenzione. In questo primo seminario introduttivo, quindi, lavoreremo sul sentire ciò ché appare banalmente corporeo per scoprire che banale non è, trovando quel non-luogo da cui l’intenzione autentica nasce, informando il gesto. In altre parole: abilitare la presenza corporea.


          MODULO 2: Neurofisiologia dei neuroni-specchio

          Online e in presenza, giovedì 13 febbraio 19.10-21.00
          Con Claudio Molinari e Francesco Vignotto

          La teoria dei neuroni specchio, o meglio del sistema specchio (che comprende diverse aree oltre quella motoria) è stata formulata da circa una trentina di anni ed è alla base del motor imagery, ossia della pratica di avere una esperienza motoria immaginando un movimento senza compierlo fisicamente, con importanti effetti sulla plasticità cerebrale, sull’apprendimento motorio e sulla riabilitazione: i meccanismi alla base di tutto ciò ci saranno illustrati dal professor Claudio Molinari, neurofisiologo, mentre con Francesco Vignotto esploreremo affinità e divergenze con la pratica yogica riprendendo il filo pratico del seminario precedente.


          MODULO 3: Motor imagery e ‘movimenti invisibili’/1: il movimento

          Online e in presenza, giovedì 20 febbraio 19.10-21.00
          Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

          Giungiamo al cuore di questo ciclo, con il primo di un gruppo di tre seminari in cui il professor Marco Invernizzi ci illustrerà i principi del motor imagery applicati alla riabilitazione, che confronteremo con quelli delle pratiche psicofisiche dello Yoga e del Qi Gong, valutando con Francesco Vignotto come sia possibile espandere e arricchire la prospettiva grazie a queste ultime. Questa prima parte è dedicata al movimento.


          MODULO 4: Motor imagery e ‘movimenti invisibili’/2: la stasi

          Online e in presenza, giovedì 6 marzo 19.10-21.00
          Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

          La seconda parte su motor imagery e movimenti invisibili è dedicata alle posizioni statiche, ovvero come la pratica immaginativa (ma si tratta veramente di immaginare?) può essere di enorme aiuto nella rettificazione della postura, sia praticando movimenti sia altre posture, e su come ciò possa essere di aiuto per allievi con forti limitazioni motorie e/o patologie come neuropatie.


          MODULO 5: Motor imagery e ‘movimenti invisibili’/3: il respiro

          Online e in presenza, giovedì 20 marzo 19.10-21.00
          Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

          La terza e ultima parte è dedicata al respiro, che nella pratica del motor imagery non è contemplata, ma di quella yogica è il fondamento. Il cervello custodisce, oltre agli schemi motori, anche quelli respiratori, compresi quelli che mettiamo in atto quando cerchiamo di controllare volontariamente il respiro. Questi schemi consci e inconsci tendono il più delle volte a meccanizzare la respirazione più che a liberarla, e a legarla ancora di più agli schemi motori. Più che la tecnica, è proprio la pratica immaginativa (ma, ancora una volta: è corretto chiamarla immaginazione?) che ha il potere di bypassare questi schemi restituendo al respiro la sua libertà.


          MODULO 6: Più reale del reale: è possibile una “mente che non mente”?

          Online e in presenza, giovedì 27 marzo 19.10-21.00
          Con Gioia Lussana

          Nello śivaimo kashmiro la phantasía anziché distrarre, in quanto immaginazione non verbale, diviene sinonimo di pura creatività svincolata dal pensiero discorsivo.
          L’arte dello yoga usa l’immagine intuitiva, quella che sgorga dall’inconscio come evocazione del proprio sé più profondo.


          MODULO 7: Il rilassamento, ovvero la spontaneità dell’energia vitale

          Online e in presenza, giovedì 3 aprile 19.10-21.00
          Con Marco Invernizzi e Francesco Vignotto

          Non solo śavāsana, non solo yoga nidra: il rilassamento è premessa di qualsiasi pratica contemplativa e psicofisica e non a caso è uno dei sette Fattori di Risveglio secondo il buddhismo. Perché il rilassamento, l’agio, è ciò che permette all’energia vitale di esprimersi spontaneamente pur attraverso forme strutturate e altrettanto spontaneamente manifestarsi come coscienza. Per questo, oltre alle forme consuete del sonno yogico in questo seminario andremo alla ricerca di percorsi soprattutto corporei per ‘bucare il pallone’ delle nostre tensioni e imparare a riconoscere la consapevolezza non come risultato di uno sforzo ma come stato naturale a cui tornare per sottrazione anche durante lo sforzo stesso.


          Un momento della didattica, durante la prima edizione di Yogasana


          I docenti

          Marco Invernizzi

          Medico e Professore Ordinario presso la cattedra di medicina fisica e riabilitativa dell’Università del Piemonte Orientale.
          Agopuntore ed esperto in Medicina Tradizionale Cinese, insegnate di Tai Chi e Qi Qong presso Zénon.

            Francesco Vignotto

            Insegnante di yoga e meditazione presso Zénon.

              Gioia Lussana

              Docente yoga (Y.A.N.I.) e formatrice di insegnanti yoga. Laureata cum laude in Indologia con Raniero Gnoli e Raffaele Torella. Co-fondatrice dell’A.ME.CO con Corrado Pensa, per oltre 20 anni ha approfondito la meditazione vipassanà con maestri del buddhismo contemporaneo. Ha pubblicato saggi sullo yoga in riviste scientifiche (RSO) e divulgative. Ha conseguito il PhD presso l’Università Sapienza di Roma con una ricerca sullo yoga tantrico delle origini.

                Claudio Molinari

                Medico e Dottore di Ricerca in Fisiologia, Agopuntore.
                Professore Associato di Fisiologia presso la Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” di Novara.
                La sua attività di docente si svolge anche presso:
                la Scuola di Agopuntura ALMA di Milano;
                il Corso di Perfezionamento in Regolazione Biologica e Medicine Complementari dell’Università di Milano;
                il Corso di Perfezionamento in Coordinamento di Medicina Integrata dell’Università di Pavia.
                Si impegna da anni per far entrare la Medicina Complementare nel mondo Accademico.

                  Contributo di partecipazione e attestato di frequenza

                  Il contributo di partecipazione del corso (comprensivo dei 7 seminari) è di 300€. Per chi si iscrive versando la quota entro il 26 gennaio il prezzo è agevolato a 280€. Non è possibile iscriversi a singoli seminari, in quanto il corso è da intendersi come un blocco unitario.

                  Al termine del percorso verrà rilasciato un attestato di frequenza. Chi segue online, in diretta o differita, può ottenere l’attestato compilando un piccolo test finale con domane a risposta multipla.

                  Iscriviti

                  Vuoi iscriverti? Servono solo due passaggi: 1) paghi la quota e 2) compili e invii la domanda di iscrizione.


                  1. Dati per il pagamento

                  Costo: 300,00€ 280€ (entro il 26/1)

                  Ecco le coordinate bancarie su cui versare la quota di iscrizione:

                  IT32R0503410196000000000905
                  Intestato a: Zenon ASD 
                  Causale: Iscrizione corso e quota tesseramento [specificare il nome se il conto non è intestato all’iscritto/a]

                  Oppure paga con carta di credito/debito (con o senza Paypal)

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                  Scarica la domanda di iscrizione e inviala compilata all’indirizzo info@zenon.it oppure inviacela via whatsapp cliccando sull’icona in basso a sinistra.

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                  Hasta mudra: i sigilli delle mani. Con Antonella Usai

                  23 Ottobre 2024 by Zénon Lascia un commento

                  Seminario pratico e teorico sul linguaggio delle mani nelle pratiche contemplative e nella danza classica indiana, 9 novembre 2024 ore 14.00-18.00. In collaborazione con la Compagnia NAD.

                  Antonella Usai è la prima danzatrice occidentale ad essere scritturata nella prestigiosa compagnia indiana Darpana Performing Group, con cui ha compiuto tournée in tutta l’India e nel sud est asiatico.
                  Leggi di più

                  • Cosa sono le hasta mudra
                  • Programma
                  • Dove e quando si svolgono le sessioni
                  • La docente
                  • Contributo di partecipazione
                  • Iscriviti
                    • 1. Dati per il pagamento
                      • Con carta di credito/debito (con o senza Paypal)
                      • Con bonifico bancario
                    • 2. Scarica e compila il modulo di iscrizione
                  • Richiedi informazioni

                  Cosa sono le hasta mudra

                  Le mani, assieme al viso, sono le parti del corpo che occupano più spazio nella corteccia motoria, che a sua volta svolge un importante ruolo in compiti cognitivi come il linguaggio, l’empatia e le abilità visuomotorie.

                  Già questo dato può rendere onore alla grande attenzione che la cultura indiana riserva all’espressività delle mani sia in ambito artistico sia in ambito contemplativo.

                  Di fatto, le cosiddette hasta mudrā sono gesti codificati delle mani nati con funzione cultuale, rituale ed estetica nel contesto religioso buddhista e induista e oggi diventate molto note anche in Occidente, soprattutto come strumento per la pratica meditativa.

                  Questo seminario, partendo da una introduzione e una messa a fuoco rispetto al contesto originario, si concentra sulle mudrā collegate al teatro danza bharatanatyam e intreccia riflessione teorica e pratica esperienziale.

                  L’incontro è aperto a tutti ed è adatto sia a chi non ha alcuna esperienza pregressa, sia a praticanti e insegnanti di yoga che vogliono approfondire la pratica e la teoria mudrā.

                  Programma

                  • Inquadramento storico antropologico: le hasta mudra dal contesto rituale a quello performativo, dalle pratiche di benessere alla New Age (passando per le campagne pubblicitarie)
                  • Le hasta mudra: una pratica yogica trans-generazionale per tutte e tutti. Benefici e controindicazioni.
                  • Asamyukta e samyukta hasta mudra: Studio dei 28 sigilli delle mani singole e dei 24 sigilli delle mani che interagiscono.
                  • Ganesha mudra come pratica individuale e collettiva. Lo yoga tra benessere individuale e sviluppo di una coscienza collettiva.
                  • Domande e feed back.

                  Dove e quando si svolgono le sessioni


                  Il corso si terrà sabato 9 novembre dalle 14.00 alle 18.00 presso la sede di Zénon, in via 23 marzo n.17 a Novara.

                  La docente

                  Antonella Usai

                  Laurea magistrale in Storia del Teatro e Master in Storia dello Yoga, danzatrice, coreografa e fondatrice di NAD, Antonella Usai si occupa da anni di relazione tra danza, arti e natura. È stata tra l’altro la prima danzatrice occidentale ad essere scritturata nella prestigiosa compagnia indiana Darpana Performing Group, con cui ha compiuto tournée in tutta l’India e nel sud est asiatico. Si occupa di didattica, direzione artistica e ideazione di progetti innovativi in campo artistico e sociale. È artista residente presso il Museo di Arte Orientale di Torino e consulente per Hangar Piemonte per l’accompagnamento delle organizzazioni al cambiamento della cultura organizzativa. Il suo operato, impregnato di interdisciplinarietà e visione sistemica, è mosso dal desiderio di stimolare e nutrire una partecipazione più consapevole dell’essere umano al grande mistero della Danza della Vita.

                    Contributo di partecipazione

                    La quota di partecipazione è di 70€.
                    Se è la prima volta che ti iscrivi a un corso a Zénon quest’anno, con la quota del corso hai anche il tesseramento per un anno, valido anche per svolgere altre attività presso di noi.

                    Posti attualmente disponibili: 6

                    Iscriviti

                    Vuoi iscriverti? Servono solo due passaggi: 1) paghi la quota e 2) compili e invii la domanda di iscrizione.


                    1. Dati per il pagamento

                    Costo: 90€

                    Puoi scegliere di pagare:

                    • con carta di credito o di debito attraverso Paypal (non serve avere un account): in questo caso puoi anche usufruire dell’opzione paga in tre rate;
                    • con bonifico bancario.

                    Con carta di credito/debito (con o senza Paypal)

                    Con bonifico bancario

                    Ecco le coordinate bancarie su cui versare la quota di iscrizione:

                    IT32R0503410196000000000905
                    Importo: 90,00 intestato a: Zenon ASD 
                    Causale: Iscrizione corso e quota tesseramento [specificare il nome se il conto non è intestato all’iscritto/a]

                    2. Scarica e compila il modulo di iscrizione

                    Scarica la domanda di iscrizione e inviala compilata all’indirizzo info@zenon.it oppure inviacela via whatsapp cliccando sull’icona in basso a sinistra.

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                    “Trasforma la tua vita, diventa insegnante di Yoga”, ovvero la vittoria non consiste che in continue batoste

                    7 Ottobre 2024 by Francesco Vignotto Lascia un commento


                    È curioso come gli slogan dei corsi di formazione per insegnanti di yoga si stiano sintonizzando quasi tutti su questa falsariga: “Diventare insegnante di Yoga può cambiare la tua vita”, “Realizza il tuo sogno”, “Vivi della tua passione”. È curioso (ma è una curiosità retorica, conosciamo il movente) perché proprio in riferimento a un passaggio in cui io dovrei smettere di fare qualcosa solo per me e cominciare a farla anche per qualcun altro, non venga oggi in mente altro argomento efficace che quello egoriferito, col rischio di sollecitare o le persone non adatte o comunque le corde sbagliate.

                    In altri tempi si sarebbe scomodata una parola ad alto rischio di enfasi e fraintendimento come vocazione, ma probabilmente è oggi ritenuta troppo selettiva: d’altronde, il più delle volte si sta vendendo un prodotto a più ampio pubblico possibile, mica si sta pubblicizzando veramente una scuola che dovrà valutare o meno l’idoneità dei soggetti paganti.

                    Sta di fatto che i poveri allievi non vengono ormai quasi nemmeno nominati, se non come risorse che magicamente pioveranno dal cielo non appena vedranno il volantino dell’ennesimo corso di yoga, e che al massimo dovrai avere cura di non danneggiare.

                    Viene da domandarsi inoltre come mai la figura dell’insegnante di yoga sia diventata così sexy per un così vasto numero di persone, vista la progressione geometrica dell’offerta e l’affollamento dei corsi per ricevere l’ambito diploma. Consideriamo pure che una certa porzione di partecipanti lo faccia o per approfondire (oggi, almeno nello yoga, non esistono più i corsi per chi è semplicemente interessato a conoscere: devono darti l’investitura da insegnante); un’altra porzione si iscriverà per integrare lo yoga nelle proprie competenze professionali (operatori di varie dicipline, psicologi, educatori, insegnanti, per alcuni dei quali esistono percorsi specifici e mirati); rimane tuttavia una notevole fetta di pubblico – quella a cui si rivolgono le pubblicità summenzionate – che proietta sulla figura dell’insegnante la possibilità di un futuro più brillante del grigiore quotidiano.

                    Ora, mi sia concessa una piccola digressione personale. Qualche anno fa (mi rendo conto che in realtà dovrei sostituire qualche con parecchi) svolsi per un certo tempo un lavoro che, come l’insegnante di yoga, non ti garantisce sicurezze reddituali invidiabili, ma fa ugualmente sfuggire alle persone a cui lo si racconta un candido e incosciente che bello, come piacerebbe anche a me. Il mestiere era l’agricoltore. Bene, coloro che allora mi esprimevano la loro – innocente – invidia erano spesso persone con posizioni lavorative solide, che tuttavia avvertivano lo stress di pesanti responsabilità e lo stridore di ritmi innaturali, nonché la nostalgia di un contatto perduto con la terra, per quanto molto idealizzato.

                    E proprio a fronte di molta idealizzazione posso dire che il mestiere con la terra e quello di insegnante di yoga hanno due cose in comune. Ti obbligano da un lato ad affrontare la delusione delle aspettative, dall’altro a cogliere ciò che arriva invece.

                    A meno che tu non abbia un patrimonio da dilapidare in una bolla anestetica di soggiorni a Bali e di storie su Instagram di felicità simulata, fare l’insegnante di yoga ti pone di fronte alla prospettiva di essere ormai uno tra i tantissimi, ma anche di dover trovare un luogo dove esercitare e di mantenerlo – oltre a mantenere te, con questo o un altro mestiere – e soprattutto ti pone di fronte alla volatilità degli allievi, che giustamente hanno delle vite al di fuori dell’ora di yoga, e spesso all’incostanza di quelli su cui ti eri fatto le maggiori aspettative; alle classi vuote, che capiteranno anche dopo anni; ai malintesi, inevitabili lavorando a contatto con le persone, anche con le migliori intenzioni; e alla apparente mancanza di risultati, che ti visiterà ciclicamente proprio come ogni anno la terra, alle nostre latitudini, in apparenza muore.

                    E tutto questo genera sempre un’emozione, non raccontiamoci la favola del distacco, anche se osservare e vivere questa emozione non significa reagire di impulso: questo tuffo al cuore è proporzionale allo slancio con cui la meraviglia ti coglierà al momento della ripresa, se vivrai o resisterai abbastanza a lungo.

                    Ma al tempo stesso, dicevamo, oltre a digerire la sconfitta reale o apparente, provvisoria o definitiva, dovrai imparare a cogliere quell’invece che molto spesso non vedi perché accecato dalla delusione delle aspettative, come la persona che ritenevi totalmente unfit che invece, costringendoti a riformulare il tuo insegnamento, innesca un processo di reciproca crescita; come la base stabile di allievi che, se coltivata senza forzature e con correttezza, crescerà nel tempo senza gli scrosci delle folle urlanti ma con il silenzio e la costanza di una foresta. La vittoria, insomma, non consiste che in continue batoste. Le storie di successo mancano sempre del triste epilogo, tanto più amaro se il vittorioso non avrà imparato a fondare la sua stabilità nel sé e a riconoscerla sia attraverso il successo che la sconfitta.

                    Perché il punto è proprio questo. Se lo yoga non è semplicemente la patina con cui ricoprire il tuo bisogno di identificarti con qualsiasi cosa, se la parola yoga vuol dire qualcosa e, mi si passi il termine, ‘funziona’, che tu faccia il mestiere dei tuoi sogni o un lavoro di merda non cambia moltissimo, anche se non possiamo pretendere, così come c’è chi non digerisce questo o quel cibo, che tutti siano in grado digerire qualsiasi situazione lavorativa. Eppure, se praticare yoga, attraverso il tempo, dà dei cosiddetti risultati, li vediamo più nella capacità di metabolizzare le situazioni della vita che nel successo nel creare condizioni ideali, le quali, oltre a non verificarsi mai, non dipendono in gran parte da noi ma soprattutto imprigionano nel conosciuto.

                    Per questo, a mio parere personale, se davvero vuoi approfondire lo yoga, che tu voglia insegnarlo o meno, è importante che tu sia consapevole che su un certo piano realizzare i propri sogni o meno non ha importanza affatto; tutte queste proposte basate su obiettivi sono anzi la morte di qualsiasi aspirazione spirituale, se non si comprende la natura provvisoria e pretestuale di ogni obiettivo. Il pretesto per cosa? Per risvegliare il desiderio. Il desiderio che, come cantavano gli Einstürzende Neubauten, in barba al catechismo patanjaliano ma in linea col controcanto tantrico, è davvero l’unica energia, senza la quale né i libertini né gli austeri e castigati meditanti muoverebbero un dito verso l’obiettivo delle proprie aspirazioni.

                    Ma mi si permetta di concludere con un’altra citazione. “Il sussistere nella forma corporea costituisce l’osservanza religiosa” recitano gli Śivasūtra. Per chi ha realizzato che è il Sé, che il suo percepire, sfrondato dall’identificazione anagrafica, è Coscienza che conosce sé stessa, il sacro, lo straordinario è qualsiasi forma, qualsiasi mansione la sorte ci abbia riservato. Ma vale anche il contrario, come sempre: accorgersi che lo straordinario avviene in ogni momento è un modo, forse l’unico, per realizzarlo.
                    Porsi un obiettivo, come ad esempio iscriversi a un corso per diventare insegnante di yoga, non è il vero l’obiettivo: è l’additivo che serve a mettere in moto energie che altrimenti non sarebbero messe in gioco. Comprendere la sottile differenza prima di trarre conclusioni affrettate.


                    PS: questo articolo, forse ultimo di una riflessione in tre parti (le altre due qui e qui), arriva a pochi giorni dall’inizio del primo seminario del primo corso di formazione insegnanti che abbiamo mai organizzato, nonché a un paio di mesi dal compimento dei dieci anni dall’apertura di Zénon come centro fisico.

                    PPSS: “La vittoria non consiste che in continue batoste” è una frase dello scrittore ceco Ladislav Klíma, citata da Bohumil Hrabal in epigrafe a Lezioni di ballo per anziani e progrediti.

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                    Perché ci infortuniamo facendo yoga? (Ovvero la dimenticata arte di conservarsi)

                    5 Agosto 2024 by Francesco Vignotto Lascia un commento

                    la vera camera ha l’entrata occultata,
                    l’altra (la prima) resta vuota
                    per deludere coloro che la visitassero

                    Alessandro Ceni

                    In questo articolo non troverete, se non nelle note, come evitare lo ‘yoga butt’1 o come evitare di infortunarvi alle spalle e ai polsi in chaturanga dandasana2. Certo, fatalità, distrazione e patologie pregresse sono dietro l’angolo, ma a leggere degli infortuni più frequenti che capitano ai praticanti di yoga oggi, si rimane stupefatti per la prevedibilità delle cause, che spesso possono ridursi alla co-occorrenza di due fattori: superamento dei limiti fisiologici e ripetizione nel tempo (ognuno decida in cuor suo se si tratti della naturale conseguenza o della parodia del dettato patanjaliano: distacco e pratica costante).

                    Se la soluzione sembrerebbe semplice e di buonsenso, a complicare il quadro c’è il fatto che molti insegnanti – spesso in buona fede – sono ancora convinti per imprinting che l’asana sia un valore in sé e che la versione più estrema di una posizione comporti più benefici. Il che giustifica la forzatura e il dolore in vista di un bene e di un equilibrio che probabilmente non arriverà mai, semplicemente perché il punto di equilibrio è ormai parecchio dietro le nostre spalle.

                    Ma al di là di un generico invito alla moderazione, l’infortunio può essere però a volte più sottile e insidioso, perché molto spesso è la conseguenza di un matrimonio infelice, quello tra la rappresentazione mentale del corpo (sia essa di tipo performativo, medico-anatomico, olistico o filosofico) ed esperienza reale del corpo e degli strati di coscienza di cui è ricettacolo, con l’aggravante che uno dei due coniugi è convinto di conoscere in ogni dettaglio le esigenze dell’altro.

                    Possiamo quindi con una piccola iperbole usare la parola infortunio per indicare inconvenienti di diversa portata e qualità, non necessariamente una lesione: anche il semplice e vago fastidio persistente dopo una pratica di yoga, in particolare se accompagnato dalla relativa e altrettanto vaga sensazione di ‘non essere a posto’. Questa sensazione, se affrontata con il principio di compensazione a cui siamo abituati, può innescare un circolo vizioso di autocorrezioni che non faranno altro che esacerbare il problema, proprio perché rispondono alla stessa logica che li ha generati. Ma se indaghiamo e ascoltiamo bene, può rivelarsi qualcosa di molto interessante.

                    Spesso infatti, questo disagio è sintomo che il tentativo volontario di allinearsi a una forma esteriore non trova una risposta se non passiva nel corpo, che la percepisce come estranea. In altre parole, se l’azione esterna non muove incontro a un molto meno definibile moto interno, procederà ottusamente e superficialmente verso il suo estremo.

                    Il che, se non porta a vere e proprie lesioni (e per molti praticanti di lunga data queste sono all’ordine del giorno, soprattutto negli stili più intransigenti), provoca comunque uno scollamento dalla realtà corporea, o meglio a un divario tra l’idea di corpo e corpo in sé, la cui esperienza, quando è reale, equivale ogni volta a un primo contatto, anche se col tempo si impara a gestire lo shock culturale.

                    Vista la predominanza e l’importanza attribuita, nello yoga contemporaneo, ai modelli teorici (soprattutto di stampo medico e terapeutico), non dobbiamo dare troppo per scontato di sapere realmente riconoscere una esperienza corporea. Anzi, forse più crediamo di saperlo, più la prevediamo e la preveniamo, più siamo fuori strada.

                    Come mi disse Gioia Lussana in un confronto proprio su questo argomento, quello che quasi sempre manca nello yoga oggi è il coraggio di esplorare “una sensorialità più inclusiva di ciò che non è immediatamente percepibile o definibile”. Il fatto è che “rimanere nell’incerto e farci il nido” è oggi ritenuto poco autorevole: ci vuole uno schema a giustificarlo.

                    Non che qualsiasi formalizzazione sia da rigettare, ma potrebbe essere un madornale errore di prospettiva (anche e soprattutto culturale) presumere che la prassi sia l’attuazione pedissequa di una teoria che la precede, esattamente come credere che l’assenza di un modello teorico ci porti dritto verso l’infortunio o a perderci per strada.

                    Per cui ben venga, nello yoga, la formazione all’anatomia e alla biomeccanica, ben vengano i tropici e i meridiani, ma c’è anche qualcosa di ben meno definibile eppure tutt’altro che impreciso (è del resto il presupposto taciuto ma indispensabile di ogni prassi psicocorporea e contemplativa), alla cui sensibilizzazione è bene dedicare altrettanto spazio, pena l’impossibilità di uscire dal conosciuto. Senza l’approssimata precisione di questa incertezza, il corpo non apre all’increato, ma si chiude nella sua finitudine di cosa sola e separata: per questo tiriamo e stiriamo anche i canali sottili, cambiando sacco ma non comprendendo lo schema di fondo che ci limita.

                    E a chi ragionevolmente domanderà che cosa occorra fare per coltivare questa sensibilità, la risposta potrebbe essere innanzitutto imparare a non stroncarla sul nascere, perché essa emerge naturalmente quando non viene soffocata.

                    Ma c’è anche dell’altro che può aiutare ad orientarci e preferiamo lasciarlo raccontare a un episodio della tradizione taoista, quello del macellaio del principe Wen-hui narrato nello Zhuang-zi, che con essenzialità e ironia descrive con rara efficacia il senso più intimo della pratica su e attraverso il corpo:

                    Il macellaio del principe Wen-hui così smembrava un bue: con le mani afferrava la bestia; con la spalla la spingeva  e, tenendo i piedi ben fermi al suolo, la sosteneva con le ginocchia. Affondava il coltello con un ritmo così musicale che ricordava quello delle celebri melodie suonate durante la « danza del boschetto dei gelsi» e «l’appuntamento delle teste piumate ».
                    «Ehi! » chiese il principe Wen-hui « come può la tua arte giungere a un tale grado di perfezione?.
                    Il macellaio posò il coltello e disse: «Amo il Tao e così miglioro nella mia arte. All’inizio della mia carriera non vedevo che il bue. Dopo tre anni di  di pratica, non vedevo più il bue. Adesso è il mio spirito che opera, più che i miei occhi. I miei sensi non agiscono più, ma soltanto il mio spirito. Conosco la conformazione naturale del bue e attacco solo gli interstizi. Non scalfisco mai né le vene né le arterie, né i muscoli né i nervi, né a maggior ragione le grandi ossa! Un macellaio consuma un coltello all’anno perché taglia la carne. Un normale macellaio consuma un coltello al mese perché lo rovina sulle ossa. Lo stesso coltello mi è servito per diciannove anni. Ha smembrato diverse migliaia di buoi e la sua lama è ancora come fosse affilata da poco. In verità, le giunture delle ossa hanno degli interstizi e il taglio del coltello non ha spessore. Colui che sa introdurre il filo della lama in quegli interstizi usa agevolmente il proprio coltello perché si muove attraverso i vuoti. E per questo che io ho usato il mio coltello per diciannove anni e il suo taglio sembra sempre affilato di fresco. Ogni volta che devo dividere le giunture delle ossa, osservo le difficoltà da superare, mi concentro, fisso lo sguardo e lentamente procedo. Con grande dolcezza maneggio il coltello e le giunture si separano cadendo al suolo come terra che frana. Ritraggo il mio coltello e mi rialzo; volgo lo sguardo attorno e mi distraggo, compiaciuto; con cura pulisco allora il mio coltello e lo ripongo nel suo astuccio».
                    «Molto bene, » disse il principe Wen-hui « dopo aver udito le parole del macellaio ho capito l’arte di conservarmi ».

                    Zhuang-zi (Chuang-tzu)

                    Ecco cosa caratterizza moltissimo yoga contemporaneo: il suo coltello rovina sulle ossa o sulla carne. E ancora crede che, non riuscendo a spremere dal corpo risultati prevedibili e pianificabili, occorra aumentare la dose: nemmeno li cerca, gli interstizi che su nessuna cartina possono trovarsi.


                    1. Si tratta di una fastidiosa irritazione o infiammazione dei tendini dei muscoli posteriori delle cosce o ischiocruali, molto diffusa tra i praticanti che ripetono molto spesso piegamenti in avanti (pinze e ‘cani a testa in giù’) con le gambe completamente tese: si evita piegando anche solo leggermente le ginocchia, dacché gli ischiocruali limitano l’anteroversione del bacino. ↩︎
                    2. Al di là delle frammentarie indicazioni di allineamento che si trovano ovunque su internet per qualsiasi posizione, basate sull’infausta idea che una postura sia la somma di particolari anatomici, una delle spiegazioni migliori su come approcciare questa faticosa posizione è quella di Leslie Kaminoff, che integra l’ascolto delle dinamiche motorie e di quelle respiratorie, nel video più sotto.
                      ↩︎
                    3. Non a caso la parola mudra indica contemporaneamente il sigillo e lo stampo del sigillo; e non a caso mudra è un gesto esteriore che esprime un atteggiamento esteriore, o addirittura, come in bhairavi e krama mudra nella tradizione del Kashmir, un gesto del tutto interiore che non ha espressione esteriore. ↩︎
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                    Insegnante di yoga è chi l’insegnante di yoga fa

                    18 Luglio 2024 by Francesco Vignotto 2 commenti

                    Quando si diventa insegnanti di yoga? Il giorno in cui ricevi un attestato con un numero di ore? Prosegue la riflessione su cosa significa essere insegnanti oggi, in un mondo in cui sempre più persone sono ‘certificate’.

                    Qualche mese fa ho ricevuto una proposta di collaborazione presso il nostro centro, non importa tanto per quale attività, quanto il fatto che l’email di presentazione conteneva in allegato il diploma, conseguito il giorno stesso dell’invio.

                    Questi ultimi due dettagli mi hanno fatto riflettere, in primo luogo perché non mi sarei mai sognato di chiedere al mittente se avesse un certificato per l’attività che mi proponeva, né avrei chiesto di vedere con i miei occhi il pezzo di carta; in secondo luogo, perché ormai sembra naturale dover avere un diploma per fare qualsiasi cosa, e soprattutto è ormai automatico sentirsi legittimati a farlo dal giorno in cui lo si riceve.

                    Nel caso dei diplomi più ambiti, come pare essere quello da insegnante di yoga, il conseguimento sembra essere qualcosa di più: la possibilità di essere qualcuno, non semplicemente di appartenere a una categoria, o ricoprire un ruolo e svolgere modestamente ma con risonanza una funzione.

                    Del resto i percorsi per arrivarci, dalla chiamata alle armi alla foto finale di gruppo con il pezzo di carta, sono consciamente e inconsciamente progettati per questo. Che poi questo essere qualcuno sia molto spesso una etichetta di una lunga stringa di frammenti identitari estremamente volatili e intercambiabili fra loro, ma presi terribilmente sul serio per un battito di ciglia, è altro discorso che lasciamo volentieri a persone esperte in materia di psicologia sociale.

                    Ma per fortuna tutto questo, almeno nello yoga, riguarda la schiuma, e come ogni bolla, anche quella degli insegnanti di yoga certificati ovunque sarà destinata a sbocciare dissolvendosi nell’aria, senza grandi traumi per le acque profonde.

                    È anzi proprio parlando con persone che hanno già fatto fronte a una certa disillusione che mi capita di incontrare i soggetti più interessanti. In alcuni casi, si tratta di persone che hanno già alle spalle una formazione di parecchie centinaia di ore nominali, eppure riconoscono che il distintivo non ha fornito loro l’essenziale; altre, a fronte di un interesse verticale per lo yoga, si sono trovate a insegnare perché le circostanze lo hanno richiesto, senza aspettare che qualcuno desse loro il permesso e al tempo stesso senza averlo granché agognato.

                    In entrambi i casi, ad affascinare è proprio il senso di insoddisfazione, la consapevolezza che le risposte non posso essere ricevute da altri, per quanto autorevoli, e che nessun assioma scolpito nella pietra può avere l’ultima parola sul potere infinitamente generativo della realtà.

                    Proprio una di queste persone, qualche settimana fa, mi ha confessato con un certo imbarazzo di come, sempre studiando e sempre alle ricerca di risposte su come interagire con i propri allievi e con i loro problemi, non avesse quasi più il tempo per una pratica sua personale.

                    È qui invece che, le ho ribattuto, si riconosce il vero insegnante: quando non pratichi più per te soltanto, ma la tua pratica diventa una esplorazione senza fine per comprendere come percepisce il mondo l’allieva con la fibromialgia od operata al seno, quello col Parkinson e quello che soffre di attacchi d’ansia. Ovviamente non lo comprenderai mai del tutto, ma il saper essere testimone è ancora più importante delle strategie che proporrai.

                    Cominci ad essere insegnante, rifletto ancora, quando inizi a studiare mettendo in discussione anche il tuo imprinting, poco preoccupandoti di ricevere attestati o di trovare una platea per esibire il tuo sapere. Quando in un movimento avverti appena la zona lombare e ti domandi se con una discopatia anche quella minuscola goccia potrebbe far traboccare il vaso, e tra il salvare la forma letterale o preservare l’essenziale, non hai dubbi che sceglierai l’essenziale.

                    Quando, infine, capisci che non c’è pratica personale e pratica per o con altri, che non esiste la tua energia e quella di altri, perché o ci abbeveriamo tutti alla stessa improsciugabile fonte o è un impostura, l’unica differenza è conoscere e saper mostrare accessi più sgombri da detriti di altri, saper aiutare a smurarne l’acqua, anche in apparente assenza di qualsiasi breccia: ecco il momento in cui diventi insegnante. Il giorno in cui ricevi il diploma è troppo tardi.

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