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Yoga in gravidanza

Praticare yoga con la diastasi addominale si può (se si fa yoga davvero)

2 Settembre 2022 by Zénon Lascia un commento

L’assunto potrebbe valere anche se si sostituisce la diastasi addominale con il disturbo X: se sei in grado di respirare, muovere il corpo e di utilizzare la concentrazione, diceva Krishnamacharya, si può praticare yoga. Certo, bisognerebbe però alzare leggermente il tiro sull’offerta e sulla domanda.

Un post apparso su una pagina dedicata alla fisioterapia per le neomamme ci ha suggerito una riflessione che va anche oltre il tema dello yoga nel post parto. Le autrici invitano infatti alla cautela nel praticare yoga in presenza di diastasi addominale, ovvero l’eccessiva separazione tra la parte sinistra e destra del muscolo retto addominale, fenomeno molto frequente, e in parte fisiologico, dopo una o più gravidanze. 

Nel post si avverte che non basta essere praticanti di lunga data e che anzi vi possono essere casi in cui con lo yoga la diastasi e l’incontinenza peggiori. In sintesi, l’indicazione è che occorre prima imparare ad attivare pavimento pelvico e addome in risposta agli sforzi, suggerendo di chiedere una consulenza con fisioterapisti specializzati in queste problematiche. 

Concordiamo appieno in quanto sopra, compreso il suggerimento finale: in presenza di condizioni particolari, come nel caso in questione, è sempre meglio chiedere il parere di un professionista sanitario, prima di avviare o riprendere un’attività.

Il problema a questo punto è lo yoga, o meglio quanto si trova in giro sotto questo nome e le idee che vengono messe in testa a chi lo pratica e magari vi si appassiona. Non stentiamo a credere ad esempio che certe arcuazioni della colonna, come descritto nel post, possano aver indebolito l’addome di alcune neomamme; e nemmeno ci risulta inverosimile che in alcune classi, per rendere più appetibile la pratica a un pubblico poco interessato all’interiorità, si finisca per fare ‘cose’ che alla fine dei conti sì, non solo gli assomigliano, ma sono proprio dei crunch, e che quindi vengono pure eseguiti male perché in un contesto inadatto.

Però, e per l’appunto, concedeteci un po’ di amarezza per l’immagine del mondo dello yoga che trapela. Amarezza perché questa immagine è verosimile e probabilmente diffusa, ormai persino storicizzata, ma ci rattrista e un ci provoca una certa vergogna, perché non avrebbe molto a che fare con lo spirito di questa disciplina e perché non dovremmo fasci ricordare da altri alcuni principi che dovremmo conoscere bene.

Primo, perché il controllo di pavimento pelvico e addome è (dovrebbe essere) patrimonio dello yoga di lunga data: l’area pelvico-addominale è fondamentale nella regolazione del respiro e quindi dovrebbe essere esplorata nei minimi dettagli; i primi due bandha, Mula e Uddiyana, che vengono attivati sottilmente anche dalle posizioni, sono inoltre dei ‘meccanismi’ di stabilizzazione di quest’area sia da un punto di vista posturale, sia da quello pranico. Nelle arcuazioni, ad esempio, sono indispensabili non solo per l’eventuale diastasi, ma anche per la protezione della colonna lombare. Purtroppo, spesso l’obiettivo di una posizione fotogenica offusca le menti di molti praticanti e (quel che è peggio) di molti insegnanti, facendo loro confondere i mezzi con i fini.

Il secondo motivo di amarezza è ancora più sostanziale perché riguarda il diverso modo di affrontare lo sforzo, che dovrebbe essere proprio ciò che distingue la pratica yogica dalle altre pratiche fisiche. Compiere uno sforzo in assenza di sforzo in termini biomeccanici è un koan proprio come sentire il suono di una mano sola che applaude, e come tale dev’essere affrontato: la spiegazione è non pervenuta a livello razionale, ma alla portata di tutti se guidati in un ascolto profondo ed esteso del proprio corpo.

Diastasi addominale

Il compito principale dell’insegnante di yoga dovrebbe essere creare le condizioni perché gli allievi facciano ciò che devono fare con calma (il che non vuol dire per forza: lentamente), espandendo l’attenzione a fenomeni normalmente ritenuti irrilevanti o automatici, proprio come la respirazione e i movimenti viscerali. Ciò che fa veramente la differenza è che nello yoga il carico lo senti arrivare prima, con tutto il tempo per fermarti in tempo o di accoglierlo dal tuo centro, per cui potremmo dire che la precauzione sta nell’atteggiamento stesso, più che nelle misure di prevenzione (fermo restando, beninteso, che gli infortuni possono capitare anche nella più innocua delle attività).

Per questo, se a lezione  di yoga non vi insegnano il controllo di pavimento pelvico e addome e se state sottoponendo il vostro corpo a carichi paragonabili a quelli di una sala pesi in una palestra low-cost, il suggerimento è: fatevi qualche domanda su ciò che vi viene somministrato, e soprattutto se è proprio lo yoga che vuoi. Se prevale l’obiettivo di tonificare o dimostrare a te stessa che puoi fare acrobazie, esistono infatti numerose altre attività oggi molto più al passo con le conoscenze scientifiche, che hanno reso lo yoga performante obsoleto. Se prevale invece il bisogno di esplorare il vasto e misterioso territorio tra mente e corpo, se anzi percepisci interiormente che la distinzione stessa mente-corpo è limitante, allora lo yoga è una strada senza tempo.

Un’ultima considerazione sulle classi avanzate di yoga, che nel post da cui abbiamo tratto ispirazione vengono sconsigliate per chi soffre di diastasi. Il problema, dal nostro punto di vista, è proprio il concetto di classe avanzata e il criterio che molto spesso lo definisce (ne abbiamo già parlato qui), che non solo invita ad abbassare la guardia sull’ascolto, ma che non ha nulla a che vedere con lo yoga, quanto piuttosto con la sua commercializzazione. Siamo consapevoli che questo criterio è diffuso e non abbiamo mancato di sottolineare quanto sia deleterio il messaggio che trasmette: che la pratica di yoga ‘avanzata’ sia fare posizioni estreme, come se allora bastasse prendere una brava ballerina, o un ginnasta, per fare un grande yogi (e se qualcuno, tra insegnanti e praticanti, è sfiorato dal pensiero “Però sono avvantaggiati”, allora dovrebbe ricominciare dalle elementari). Non è scritto da nessuna parte che più ‘tiri’ o ti allunghi e più ascendi o avanzi nel cammino dello yoga, e infatti non è così.  

La pratica di yoga avanzata è quando capisci che tutto ciò che fai è superfluo: prima di allora, per onestà, ascriviamoci tutti tra i principianti.

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Archiviato in:Yoga, Articoli, Yoga in gravidanza Contrassegnato con: gravidanza, yoga Novara, yoga post parto

Yoga per il parto attivo: insegnare yoga in gravidanza

14 Marzo 2022 by Zénon


Yoga in gravidanza non significa semplicemente adattare le posizioni, ma proporre un percorso strutturato che offra alla donna strumenti per vivere al meglio non solo la gravidanza, ma anche il travaglio e il parto.

5 incontri per confrontarsi, scoprire quali aspetti della pratica yoga può essere più utile approfondire e affrontare durante la gravidanza.

Seminario via Zoom

Il corso potrà essere seguito anche in differita: le registrazioni rimarranno disponibili fino a un mese dal termine del corso

Il programma

Tutti i seminari dureranno circa due ore. Si terranno in diretta via Zoom e potranno essere seguiti anche in differita. Se raggiungeremo un numero minimo di richieste, sarà possibile anche seguire le lezioni in presenza. Al termine di ogni seminario tutti i partecipanti riceveranno le registrazioni, che rimarranno disponibili per sei mesi dalla fine dell’intero ciclo.

La gravidanza, la nascita e lo yoga

Con Erika Pizzo

Sabato 30 aprile ore 10.00

Lo Yoga in gravidanza non è semplicemente uno yoga adattato a una condizione particolare, ma per molti versi è una pratica con caratteristiche specifiche, e quindi richiede anche competenze specifiche all’insegnante.
Quali sono i principi fondamentali dello Yoga in gravidanza? Quali testi e autori possono essere di riferimento per completare la propria formazione?

Lo Yoga può aiutare le donne a partorire?

Con Chiara Uglietti, ostetrica

Sabato 7 maggio ore 10.00

Se conosciamo i benefici durante la gravidanza, in che modo aver praticato Yoga può aiutare nel momento del parto? E su cosa dovrebbe focalizzarsi la pratica per fornire strumenti utili a partorire? Ne parliamo con l’ostetrica Chiara Uglietti.


Il piano perineale

Con Erika Pizzo e Marco Invernizzi, professore associato di Medicina Fisica e Riabilitazione

Sabato 14 maggio ore 10.00

Come agiscono le modificazioni fisiche e il maggior peso corporeo sul piano perineale? Ne parliamo con il professor Marco Invernizzi, mentre Erika Pizzo ci guiderà in una pratica di percezione consapevole e di controllo volontario delle pelvi.


Asana durante la gestazione

Con Erika Pizzo

Sabato 21 maggio ore 10.00

Scegliere, adattare, persino “re-inventare” gli yogasana per promuovere il movimento e la consapevolezza corporea per il benessere psicofisico durante i 9 mesi di gestazione.


Il respiro e la gestione del dolore

Con Erika Pizzo e Marco Invernizzi, professore associato di Medicina Fisica e Riabilitazione

Sabato 28 maggio ore 10.00

Il respiro, oltre a essere elemento imprescindibile nello Yoga, non è soltanto importante per il rilassamento del corpo e l’acquietamento della mente durante la gestazione. Il respiro, e questo aspetto è spesso sottostimanto, è anche movimento che coinvolge profondamente le strutture che sono maggiormente coinvolte nella gestazione e nel parto. Anche per questo, ma non solo, il respiro è fondamentale nella gestione del dolore…




I docenti

Erika Pizzo

Insegnante di yoga in gravidanza e post parto, allenamento funzionale presso Zénon.

    Marco Invernizzi

    Medico e Professore associato presso la cattedra di medicina fisica e riabilitativa dell’Università del Piemonte Orientale.
    Agopuntore ed esperto in Medicina Tradizionale Cinese, insegnate di Tai Chi e Qi Qong presso Zènon.

      Chiara Uglietti

      Ostetrica

        Contributo di partecipazione e attestato di frequenza

        Il contributo di partecipazione del corso (comprensivo dei 5 seminari) è di 220€. Per chi si iscrive entro il 15 aprile – versando la quota – il prezzo è agevolato a 200€.

        Sempre entro il 22 marzo, puoi iscriverti a questo seminario assieme a Comprendere i bandha al prezzo agevolato di 280€.

        Al termine del percorso – con una frequenza minima dell’80% delle lezioni – verrà rilasciato un attestato di frequenza.

        Richiedi informazioni o iscriviti

        Vuoi iscriverti o chiedere informazioni? Puoi chiamarci al 3492462987 o scriverci su Whatsapp

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        Diventare madri nell’era della ‘paura di vivere’

        20 Aprile 2020 by Erika Pizzo Lascia un commento


        In questa clausura causata dal coronavirus, un insieme di frustrazione, paura e isolamento invade un buon numero di persone, e tra queste le più facilmente colpite potrebbero essere le future mamme o le neo mamme.

        Vivere l’evento della nascita in un momento simile significa un po’ andare contro la corrente del comune sentire. Per fortuna, mi viene da aggiungere. Ma viverlo senza la possibilità di condividere la gioia e le paure con familiari e amici, in isolamento totale, può in alcuni casi far emergere un senso di inadeguatezza e insicurezza più forte del previsto.

        Si spera chiaramente nell’armonia dell’ambiente domestico, ma ciononostante non è possibile sfuggire del tutto alle emozioni che dilagano intorno a noi, assieme al pensiero della malattia e della morte. Emozioni che nell’isolamento del post parto potrebbero facilmente sfociare in depressione e tristezza.

        Ragionandoci, non solo come insegnate di yoga in gravidanza, ma anche da donna incinta, mi rendo conto di come questa condizione di apparente maggiore fragilità sia in realtà anche una grande risorsa. Percepire la vita che prosegue nella sua crescita e formazione, apparentemente ignara di tutto ciò che accade fuori, è già di per sé un ottimo aiuto a veder positivo, a pensare al ‘dopo’, a intravedere in quel bambino in arrivo (o appena giunto) l’inizio della ricostruzione di un nuovo equilibrio.

        Ma è il tempo propizio per abbandonare la visione della nascita fatta di cuoricini e nuvolette rosa o azzurre che ci propinano normalmente ovunque. E’ il tempo per guardare al parto con occhi diversi, più reali, senza gli occhiali a lenti colorate indossati negli anni ‘80 e mai più tolti.

        Non posso infatti fare a meno di pensare anche all’ambivalenza vita/morte ed alla forza delle donne, il loro essere simbolicamente porte di passaggio tra i due mondi.

        Penso soprattutto a concetti rappresentati e simboleggiati da varie divinità femminili quali ad esempio: Kali, Iside, Afrodite, Sheela na Gig e tutto l’infinito elenco di divinità femminili dal neolitico in poi. Appartengono ad epoche e culture differenti, ma tutte sono simboli della forza generatrice femminile: sia essa indirizzata a creazione fisica di vita, o a idee, progetti, progressione interiore e personale. (Nota: per quanto questa riflessione sia incentrata sulla gravidanza, in realtà è espandibile facilmente anche a contesti differenti).

        Tutte queste divinità rappresentano figure femminili forti, istintive, che generano creazione e rinnovamento, ma al contempo morte e distruzione.

        (Nel tantrismo e nello yoga, il concetto si sintetizza in Shakti: il femminile è energia, è la manifestazione stessa a livello universale e individuale).

        Inanna Ištar
        Inanna Ištar

        Prendiamo l’ambivalenza della Dea Kali, ad esempio: in un caso è raffigurata nel gesto di partorire il mondo, mentre nell’altro, più comune e diffuso, è rappresentata nella sua espressione più terrifica. Non esiste il nuovo, se prima non si distrugge il vecchio. Così come non esisterebbe la luce senza il buio. Vita e morte sono legate in modo indissolubile.

        Allo stesso modo, la donna incinta si trova a dover creare spazio dentro di sé, ad elaborare vecchi modelli e generarne di nuovi. Il parto stesso è un morire per rinascere: la paura che proviamo in quei momenti è legata inevitabilmente alla paura istintiva della morte/abbandono.

        La trasformazione richiesta alla donna in questa fase e la fusione delle due espressioni del femminile, è ben esplicitata in uno dei poemi dedicati alla Dea Inanna-Ištar, una tra le divinità considerate protettrici delle partorienti ed ispiratrice di molti miti di epoche successive:

        …Inanna, Regina del Cielo e divinità dell’amore, della fecondità e della guerra, scende alla scoperta delle profondità del Mondo Sotterraneo, dominato dalla sorella. Inizia il suo viaggio riccamente vestita e adorna di gioielli, ma dovrà attraversare sette porte: ad ogni porta le verrà chiesto di lasciare qualcosa. Giungerà così nuda nel mondo degli Inferi, dove verrà maltrattata, tramutata in cadavere e appesa ad un chiodo.

        Tuttavia Inanna prima della partenza aveva lasciato ordini precisi ai suoi servitori perché la aiutassero. (…) Così, dopo tre giorni, due creature dal regno del Cielo scesero a loro volta nelle profondità della Terra nel momento propizio: la sorella di Inanna, Regina del Regno degli Inferi, era percossa dai dolori del parto. Le creature portarono sollievo alle sue pene, chiedendo in cambio la libertà della loro regina Inanna.

        Inanna attraversò il percorso a ritroso, recuperando ad ogni porta le sue vesti e i suoi gioielli, ma dovette comunque pagare un prezzo per la sua discesa.

        La sua integrità ritrovata risulterà rinnovata e arricchita dall’esperienza vissuta.

        (Estrema sintesi e semplificazione del poema sumero Discesa di Ištar negli Inferi)

        Questi modelli sono poco conosciuti nella nostra società, offuscati dalla sola visione della dolcezza e accoglienza dell’amore materno e femmineo. Ma i due aspetti possono e dovrebbero coesistere in ognuna di noi.

        In questo periodo di reclusione e difficoltà personalmente sento molto la necessità di risvegliare quegli istinti forti e decisi. Perché la reclusione non ci trasformi in topi nascosti nella tana, ma sia l’occasione per dedicarci alla scoperta delle leonesse nascoste in noi, pronte a generare e crescere figli capaci di essere costruttori di un mondo nuovo e a gestire in totale autonomia paure e avversità.

        Leggere di questi miti e divinità, o meditare su di essi, praticare āsana o prāṇāyāma che lavorino su questo tipo di energia sono alcuni dei metodi a nostra disposizione, offerti dalla pratica yoga, per risvegliare in noi quei lati sommersi.

        Al contempo, l’acqua placa il fuoco eccessivo e così altri āsana, altri prāṇāyāma possono aiutare a non esasperarli e a trovare il nostro equilibrio.

        Ci saranno posizioni che ci disturberanno. Accade. Non per una fatica fisica, ma per la difficoltà a “stare” in quella data forma corporea. Eppure proprio lì inizia la pratica yoga. In quel disagio. Lo stesso che si prova cercando di concentrarsi sul semplice respiro, finendo completamente altrove con la mente.

        Non esiste una soluzione al problema, se non la costanza nel permanere. Prima o poi, qualcosa accade.

        Praticare yoga è un po’ come mettersi sul divano con la mano in grembo, in ascolto del bambino: prima o poi, il calcetto arriva. Si tratta di aspettare, pazientemente, con l’attenzione posta nella giusta direzione, senza mai smettere di crederci.

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        Archiviato in:Articoli, Yoga, Yoga in gravidanza Contrassegnato con: covid-19, gravidanza, hathayoga, yoga in gravidanza, yoga Novara

        La gravidanza non è smart, ovvero l’impazienza della dolce attesa

        21 Febbraio 2019 by Erika Pizzo Lascia un commento

        Il tuo cambiamento interiore viene negato socialmente. Più che una persona in trasformazione, sei vista come portatrice di un bambino. La maternità è vista come un’interruzione fastidiosa del ritmo di lavoro e come una parentesi inevitabile di passaggio, da chiudere prima possibile.

        Verena Schmid, Venire al mondo e dare alla luce

        L’opportunità o meno di lavorare fino al nono mese di gravidanza è un tema che ricorre spesso. Senza voler entrare in un dibattito politico/economico che non mi compete, trovo interessante che si parli dei ritmi della gravidanza in questa epoca smart, in cui a volte la sensazione è che non ci sia tempo per attendere 9 mesi un figlio e men che meno rallentare i ritmi.

        O almeno questo è ciò che i media e i social in particolare spesso trasmettono.

        Che si tratti di lavoro, di uscite con amici, sport o altro poco importa: la tendenza generale è mostrare donne capaci di ‘essere sul pezzo’ fino a pochi istanti prima della sala parto.

        Sia chiaro: essere incinta non vuol dire certo fermarsi e abbandonare completamente lavoro, famiglia, interessi… Ma un figlio non stravolge forse la vita, dal momento stesso del concepimento? E questi 9 mesi non dovrebbero essere il tempo giusto necessario per prepararsi a questo cambiamento?

        Accade anche nello yoga: i social sono ricchi di foto di donne in avanzato stato di gravidanza in posizioni intense da un punto di vista fisico (soprattutto inversioni, arcuazioni e torsioni), senza alcun adattamento per la loro condizione. In queste foto spesso la pancia appare un elemento utile a sottolineare la scioltezza fisica delle madri e l’alto livello della loro performance. Mi spiace in questi casi costatare come la pratica venga svilita e utilizzata come un ennesimo modo per mostrare come la donna possa mantenersi bella, efficiente, prestante… ‘nonostante’ la maternità.

        Mi appare chiaro il perché di questa tendenza, perché anche io stessa ho vissuto queste dinamiche: il cambiamento fa paura. Mantenere le stesse abitudini e gesti del “prima” è un modo per ancorarsi a false certezze nel bel mezzo del travolgente cambiamento. Mantenere una corazza (credendola un salvagente) nel momento in cui l’unica via di salvezza sarebbe al contrario gettarsi nude in mezzo all’oceano.

        Nello yoga, per stare in tema, ricordo in me una certa soddisfazione quando mi rendevo conto di riuscire a fare ancora certe posizioni senza cuscini o adattamenti. La gravidanza e il periodo successivo al parto sono stati un’occasione per cambiare rotta: l’esperienza ha totalmente cambiato il mio modo di intendere e approcciare la pratica e seguire ora a lezione le donne in questa fase della loro vita è costantemente uno stimolo di riflessione e di approfondimento.

        Quello ‘stato di grazia’ che viene offerto a noi donne è per me la possibilità di rallentare, di allentare i vincoli e la frenesia della vita ordinaria non solo per abituarci ai ritmi del nascituro, ma per poter anche tendere l’orecchio verso quello spazio sospeso, ignoto, che apre le porte ad universi più ampi.

        Si possono cogliere molte affinità tra travaglio, parto ed una lezione di yoga: non solo per la ricerca delle posizioni, l’attenzione al respiro, il lasciar andare… ma soprattutto per la ricerca di quello stato meditativo in cui la mente si spegne ed emerge la connessione più profonda con la parte più istintiva di noi stesse.

        Il percorso di una donna incinta non è così distante da quello di un praticante yoga: passando attraverso l’accettazione dei propri limiti e resistenze, tentano entrambi di spegnere il ronzio costante della mente, delle emozioni e delle influenze esterne per mettersi in connessione con qualcosa che al tempo stesso li attrae li spaventa: che sia lo “sconosciuto in grembo” o, nel senso più ampio del termine, l’Ignoto, il Divino o il Vuoto, poco cambia.

        Questo credo dovrebbe rendere lo yoga diverso da una qualsiasi ginnastica, e offrire a chi già pratica da prima del concepimento una doppia opportunità: non solo ampliare la naturale tendenza all’interiorizzazione delle donne in dolce attesa, ma anche facilitare il loro percorso volto a ridurre o annullare la distanza tra sala pratica e vita.

        l’occasione di metamorfosi per la donna è unica e irripetibile.

        E, che lo si accetti o meno, nulla potrà davvero più essere come prima.

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        Lo yoga in gravidanza: un seminario a Ostetricia

        24 Maggio 2018 by Zénon Lascia un commento

        Il 18 e il 22 maggio abbiamo partecipato (con Marco Invernizzi ed Erika Pizzo, ospiti del prof. Claudio Molinari), al seminario “Lo Yoga in Gravidanza: tra corpo e respiro, un percorso per aiutare la donna a scoprire la sua innata capacità di partorire” presso il Corso di Studio in Ostetricia dell’Università del Piemonte Orientale.

        È stata un’occasione per introdurre ai benefici dello yoga durante la gravidanza, con diversi momenti di pratica dedicati alla respirazione e al lavoro posturale. Ma, soprattutto, abbiamo colto l’occasione per definire una prospettiva chiara con cui accostarsi a questa disciplina.

        Lo yoga in gravidanza rischia spesso di finire nel calderone delle tante attività ludico motorie, con un tocco di spiritualità e chakra attivati, con cui si intrattiene la donna durante la gestazione. Per comprenderne il significato più profondo, dobbiamo tuttavia risalire all’essenza dello yoga, nata in ambienti molto differenti da quelli odierni e occidentali.

        Nelle società tradizionali, la nascita è da sempre vissuta come un momento sacro: qualcosa che in precedenza non c’era ora viene alla luce. È il momento di passaggio tra il non manifesto e il manifesto, tra il mare indifferenziato delle possibilità e ciò che si caratterizzerà in una forma specifica.

        Secondo questa prospettiva, non è possibile affrontare il tema della gravidanza considerando solo il lato manifesto ed evidente, perché in questo periodo la donna partecipa di entrambe le dimensioni: fisicamente, energeticamente, emotivamente. Per questo, durante la gestazione vive sensazioni, acquisisce gusti e repulsioni e spesso anche abilità molto diverse da quelle che aveva in precedenza e che tornerà ad avere dopo la nascita.

        Un’esperienza che può essere bellissima ma anche sconvolgente, e non di rado il momento più difficile sarà il ritorno alla ‘normalità’ (se così si può definire, visto l’arrivo di un nuovo nato) dopo il parto.

        Pertanto, oltre a offrire benefici psicofisici alle gestanti, lo yoga è soprattutto uno strumento che può aiutare la donna a sintonizzarsi su questa nuova frequenza senza disconnettersi dagli aspetti concreti, guidandola in un ascolto profondo dei punti di contatto delle due dimensioni. Un ascolto che – per evitare di perdersi – parte dal corpo e dal respiro, e che per naturale decorso risale a strati sempre più rarefatti e silenziosi.

        Questo ascoltare – libero il più possibile dalle aspettative, e anche da protocolli rigidamente predefiniti – è l’unico vero principio attivo dello yoga, senza il quale ci sono solo una serie di esercizi ginnici e aerobici che, applicati con scarsa consapevolezza e senza prospettiva, potranno anzi produrre disorientamento.

        E forse in nessun caso come nella gravidanza, lo yoga ci insegna come occorra accostarsi con il massimo rispetto e delicatezza a quel ‘non sapere’ che riguarda ciò che ancora non è.

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        Yoga e gravidanza: quando e perché incominciare?

        11 Marzo 2016 by Zénon 1 commento


        Quando?

        Una delle domande più frequenti sullo Yoga in gravidanza, forse prima ancora del perché farlo, è quando incominciare a farlo. La domanda è legittima principalmente per le preoccupazioni legate al delicato periodo delle prime 12 settimane, oltre a frequenti malesseri che accompagnano spesso questo periodo di adattamento fisico e psicologico alla nuova condizione.

        Da un lato abbiamo la giusta cautela che la situazione richiede, dall’altra la necessità della gestante di non abbandonare qualsiasi attività ma semmai di svolgerne di adatte e orientate alla gravidanza. Dobbiamo infatti tener conto che i cambiamenti a cui la donna sarà sottoposta, se non bilanciati da un esercizio costante, non solo rischiano di compromettere sempre di più la forma fisica, ma – come abbiamo già visto – anche di incorrere in spiacevoli inconvenienti durante e dopo il parto, soprattutto per quanto riguarda l’area pelvica.

        Lo Yoga contiene una serie innumerevole di strumenti adatti o adattabili alla gravidanza che hanno il vantaggio di non essere prettamente esercizi fisici, ma di mettere in contatto il corpo con lo stato psichico. In assenza di particolari problemi – e quindi previa consultazione del proprio ginecologo – è possibile in linea generale praticare questa attività durante tutto l’arco della gravidanza. Ci permettiamo però alcune puntualizzazioni:

        • Chi già praticava yoga prima della gravidanza non è obbligata ad abbandonare la pratica nelle prime dodici settimane, durante le quali andranno osservate alcune precauzioni, ma anzi può trarre maggior beneficio dalla continuità invece che da un’interruzione; per quanto ci riguarda, durante questo periodo a volte permettiamo alle gestanti con una sufficiente esperienza di frequentare  anche le normali lezioni di yoga, naturalmente dedicando loro una particolare attenzione e dopo averle istruite sulle precauzioni da adottare. Nel periodo successivo, tuttavia, le orientiamo nei corsi specifici per la gravidanza.
        • Chi non ha mai praticato yoga può cominciare in qualsiasi momento, perché lo yoga può trovare un ruolo in ogni fase della gravidanza, ma deve anche decidere in base al proprio stato di benessere, alla propria sensibilità e non ultima alla propria disponibilità di tempo, perché sappiamo che ci sono in gioco molti fattori. Come ripetiamo spesso, lo yoga implica una scelta consapevole di dedicarvi del tempo. Svolto senza costanza non produce benefici, ma anzi può essere dannoso.

        In linea di principio, tuttavia, ci sentiamo di consigliare di non attendere a gravidanza troppo inoltrata. Certo, lo yoga può essere intrapreso anche al settimo o all’ottavo mese, tuttavia ci sono due limitazioni:

        • La prima è che gli effetti della pratica sono normalmente ridotti, perché manca la giusta preparazione;
        • La seconda è che non sempre la forma fisica della gestante le permette di essere inserita in un lavoro collettivo (e in ciò influisce sia la forma fisica precedente alla gravidanza, sia come è stata affrontata, sia il fatto che ogni fisico reagisce in modo diverso alla gravidanza) o perlomeno richiede un lavoro molto specifico e più difficoltoso, che a ridosso del parto potrebbe anzi essere di scarso aiuto.

        Perché scegliere (o non scegliere) lo yoga in gravidanza

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        Per le neofite, occorre sempre valutare se lo yoga è realmente ciò che vogliono. 

        Lo yoga è un’attività che differisce da altre in quanto si pratica principalmente in silenzio, trasferendo gradualmente la propria attenzione all’interno: il proprio corpo (percepito “da dentro” come impressioni derivate dalla propriocezione, dalle modificazioni delle cavità interne, dall’attività dei vari organi), il proprio respiro, l’osservazione dei pensieri sono un mezzo per disidentificarsi da preoccupazioni, ossessioni e distrazioni che poco hanno a che fare in realtà con noi stessi. Questo, molto più che il “cosa” si fa durante le lezioni, è ciò che definisce lo yoga.

        Questa vigilanza viene mantenuta in modo rilassato anche durante la pratica fisica ed è ottima per sintonizzarsi su un evento che ci richiama alla nostra natura in un mondo che si è allontanato parecchio dalla natura. Ma anche per questo, come abbiamo già detto, non è per tutti: molte persone si sentono a proprio agio in questo ambiente, mentre altre preferiscono circostanza più movimentate.

        A patto di questo impegno, tuttavia, i benefici sono molti. Una ricerca del 2014  ha dimostrato l’efficacia della pratica dello yoga nella riduzione dell’ansia – soprattutto nei confronti del parto – che spesso è associata alla purtroppo molto diffusa depressione nel post parto.

        Un’analisi sistematica della letteratura medica sullo Yoga durante la gravidanza ha dato i seguenti risultati:

        Tra le scoperte significative degli studi randomizzati vi sono un aumento del peso del neonato, minore incidenza di complicazioni nella gravidanza, minor durata del travaglio e minor dolore tra le praticanti di yoga. Tra le scoperte significative degli studi non randomizzati e qualitativi vi sono la diminuzione del dolore, la miglior qualità del sonno, l’incremento della confidenza materna e il miglioramento delle relazioni interpersonali tra le gestanti che praticano yoga.

        Ovviamente, come abbiamo evidenziato altrove, ciò non deve alimentare l’aspettativa di “essere all’altezza” della gravidanza o di avere un “parto perfetto”, ma anzi permette di accettare e assecondare i cambiamenti, ognuno con la propria dose di aspetti piacevoli e di aspetti spiacevoli, cercando di minimizzare questi ultimi ma accettando entrambi con equanimità.

        Cosa deve offrire lo yoga

        Teniamo presente che lo yoga durante la gravidanza offre, o perlomeno dovrebbe offrire, tre elementi, che sono interconnessi.

        1. La preparazione fisica

        utero-gravidanza
        L’espansione dell’utero durante la gravidanza

        Il lavoro sul corpo garantisce l’elasticità necessaria e prepara ad affrontare il notevole carico che col proseguire della gravidanza il fisico dovrà supportare. La pratica delle āsana, come abbiamo visto, differisce dal normale esercizio fisico in quanto lavora sull’allungamento e il rilassamento dello sforzo, donando una sensazione di leggerezza alle membra, di maggior stabilità e minore sforzo.

        Grazie a queste caratteristiche, negli ultimi tempi alcuni studi hanno dimostrato che anche alcune posizioni sulla cui sicurezza vi erano dei dubbi possano in realtà essere eseguite senza problemi. Naturalmente la pratica delle āsana dovrà essere selezionata e adattata a seconda dello stadio della gravidanza e della capacità della gestante.

        Le famigerate āsana non sono tuttavia gli unici mezzi utili sotto questo aspetto. Nello yoga vi è una importante serie di tecniche che coinvolgono a livello neuromuscolare l’area pelvica, che come abbiamo visto deve essere preparata non solo al parto, ma prima ancora a supportare durante tutta la gestazione il peso crescente del feto e prevenire alcuni inconvenienti comuni come le problematiche emorroidarie. Queste tecniche comprendono mudra e bandha quali mula bandha, ashwini e sahajoli mudra, che coinvolgono rispettivamente l’area perineale, quella dello sfintere anale e quella genitale.

        2. La pratica respiratoria

        Contrariamente a quanto si tende a credere (e alla percezione delle stesse gestanti), durante la gravidanza la quantità di aria respirata aumenta in termini di profondità del respiro, per soddisfare il fabbisogno di ossigeno del feto (che ancora non respira) e della placenta. Tuttavia, questa aumentata capacità è accompagnata da un senso di “fiato corto” dovuto principalmente alla progressiva compressione del degli organi e delle cavità interne, oltre che all’aumento di peso. Lo yoga in questo periodo deve aiutare in modo molto naturale a riconnettersi con la propria respirazione profonda, in associazione con movimenti mirati e la pratica delle āsana, recuperando spazio per il respiro.

        Alcune tecniche di prāṇāyāma, come l’ujjay, brahmari e nadi shodana, se insegnate assieme a una corretta respirazione diaframmatica e toracica, hanno un notevole effetto calmante e bilanciano l’eccesso di calore che accompagna spesso la gravidanza. Assieme ad altre tecniche con effetto energizzante, possono essere utili durante il travaglio, indipendentemente dal fatto che la madre le metta in atto in modo consapevole.

        Come teniamo spesso a sottolineare, il ruolo dello yoga in gravidanza non è insegnare “cosa fare” nel momento del parto, ma “preparare il terreno” riarmonizzando il sistema nervoso autonomo e quindi le risposte inconsce che il nostro organismo mette in atto, le quali, soprattutto in momenti di così forte impatto emotivo e fisico, hanno un impatto ben maggiore su quelle consce.

        3. Il rilassamento e la meditazione

        Il rilassamento e la meditazione, nello yoga costituiscono una naturale conseguenza dei primi due punti ma  è anche un passo oltre di essi, in quanto implica il progressivo staccarsi dagli stimoli sensoriali esterni, e risulta fondamentale per recuperare le energie durante quelle fasi in cui la donna si sente particolarmente stanca e ansiosa. A tal proposito, lo Yoga Nidra, ad esempio, è una tecnica molto proficua.

        Grazie a queste componenti, è possibile rilasciare le ansie e le preoccupazioni lasciandole emergere dall’inconscio senza analizzarle, osservandole con lo sguardo distaccato del testimone.

        Gravidanza o “attesa del parto”?

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        Alcune gestanti decidono di rivolgersi allo yoga solo nelle ultime settimane. Ci sia permesso di fare alcune osservazioni sul perché.

        Nella nostra cultura, infatti, la gravidanza è spesso vissuta come una “attesa di”. Sappiamo che c’è stato un momento del concepimento e sappiamo che ci sarà il momento del parto, ma il lasso di tempo che intercorre è molto svilito se considerato solo come sala d’aspetto.

        Questa cultura, che spesso la donna subisce alimentata anche dalla umanissima tendenza a procrastinare, la porta a vivere questo periodo semplicemente in funzione del parto. Spesso, comincia a preoccuparsene solo quando i segnali diventano stringenti. Un po’ come se sapesse di dover prendere un aereo per andare in un paese esotico, vivendo tutto esclusivamente in programma della futura partenza.

        Il fatto è che non ci si accorge di aver già preso quell’aereo: la vita non cambia dal momento del parto, ma è già cambiata fin dal primo giorno della gravidanza. Gli eventi che cominciano a verificarsi portano la donna sempre più verso una dimensione profonda, con tratti primordiali, che poco si concilia con la vita quotidiana fatta di lavoro, impegni e doveri legati alle convenzioni comuni.

        Lo Yoga dovrebbe innanzitutto aiutare a riconciliare queste due dimensioni in modo tale che non cozzino in maniera dannosa tra loro, anche accettando gradatamente che una delle due – quella della gravidanza – prevalga naturalmente sull’altra.

        Quindi, a nostro parere, non esiste uno Yoga preparto, ma esiste uno yoga in gravidanza, che comprende sia la fase pre sia la delicata fase post, che spesso è una zona d’ombra di cui le stesse neo-madri hanno diverse remore a parlare. Non uno yoga finalizzato a un evento futuro, ma uno Yoga che aiuti a cogliere l’evento in atto e a sintonizzarci meglio con esso.

        E alla domanda “quando iniziare” forse la risposta più corretta potrebbe sembrare leggermente indiretta: fai qualcosa per te adesso, non semplicemente in vista di qualcosa che non è ancora.

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