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Zénon | Yoga e Qi Gong

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prevenzione

Lo Yoga è ‘sicuro’?

30 Luglio 2014 Marco Invernizzi


Che lo Yoga sia una pratica in netta espansione non vi è alcun dubbio. Basti vedere il grafico più sotto sul numero di praticanti negli Stati Uniti per capire la dinamica del fenomeno e il trend di crescita costante registrato negli ultimi 20 anni. E, se questo non bastasse, l’enorme proliferare di stili diversi, insegnanti e centri più o meno pubblicizzati ad ogni angolo di strada, testimonia una domanda sempre più crescente verso questo tipo di disciplina. Tuttavia, proprio per la presenza da una parte di un’estrema varietà di stili, interpretazioni, commistioni con altre discipline e dall’altra l’assenza di enti regolatori, albi, scuole e/o federazioni, definire il termine Yoga diventa a mio parere ogni giorno sempre più difficile.

E infatti di preciso che cos’è lo Yoga? È una disciplina? È un tipo di ginnastica? Appartiene a quelle attività che si “fanno” o invece si “pratica”?

Forse la definizione che più si avvicina alla realtà è che lo Yoga è una Filosofia in cui la componente psicofisica è il principale strumento di indagine, profondamente radicata nella Tradizione Indiana, ma le cui origini cronologiche non sono chiaramente individuabili e già questo dovrebbe dirla lunga sulla sua vastità e complessità.

Tuttavia, in questo articolo non voglio addentrarmi in un discorso filosofico complesso ed estremamente profondo, su cui esistono testi sacri classici indiani millenari, tomi e tomi di letteratura interpretativa e, non ultimo, moltissime persone infinitamente più qualificate di me nel trattare tali argomenti.

Invece è a mio parere interessante un inquadramento dello Yoga dal punto di vista medico. Infatti una delle prime perplessità da parte di pazienti e non, con cui mi scontro quasi quotidianamente è la seguente: “Ma è sicuro? Non mi farà male? Non mi romperò qualche articolazione? Oddio non riesco neanche a toccarmi i piedi, come potrò mai fare quelle posizioni da contorsionista?”

A queste domande, che spesso sorgono per una pubblicizzazione esagerata degli aspetti più fisici e “contorsionistici” dello Yoga a discapito – ahimè – di quelli più profondi, rispondo principalmente in due modi: in primis condividendo la mia esperienza personale, dove, partendo anch’io da una rigidità fisica notevole, data da anni di attività sportiva molto intensa, nello yoga ho trovato un utilissimo strumento per migliorare l’elasticità muscolare e articolare, prevenendo, se non quasi azzerando, il rischio di infortuni e addirittura andando a correggere una serie di problematiche croniche muscolo-scheletriche che ormai avevo accettato come irreversibili (d’altronde come si dice il ciabattino ha sempre le scarpe rotte…).

In secondo luogo, rispondo con i risultati di una review effettuata nell’ambito della letteratura medica scientifica su quali siano le reali incidenze di eventi avversi associati alla pratica dello Yoga.1Cramer H, Krucoff C, Dobos G (2013) Adverse Events Associated with Yoga: A Systematic Review of Published Case Reports and Case Series. PLoS ONE 8(10): e75515. doi:10.1371/journal.pone.0075515 E qui, come accaduto già per altri argomenti come l’agopuntura o il Tai Chi, ho trovato una letteratura sorprendentemente vasta che dimostra l’efficacia dello Yoga nella cura o nella prevenzione delle patologie più disparate.

Il primo dato, espresso nel grafico qui sotto e già citato in precedenza, è il numero esorbitante di praticanti negli Stati Uniti, circa 15 milioni di persone e, dato secondo me ancora più interessante che a ben 14 milioni di americani (6% della popolazione) è stato suggerito di iniziare a praticare Yoga proprio dal loro medico in relazione ad una problematica specifica di salute.

Grafico 1.001

Purtroppo a causa della eterogeneità di stili e di formazione degli istruttori non esistono dei registri ufficiali e le statistiche presenti in letteratura sugli infortuni legati alla pratica sono perlopiù aneddottici, quindi, per definizione, scarsamente scientifici. Tuttavia questo lavoro effettua un interessante riassunto di tutto lo scibile scientifico sull’argomento e i dati emersi sono comunque interessanti e di spunto per molte riflessioni.

In totale la letteratura medica aggiornata al 2013 registra 76 rapporti aneddottici di eventi avversi associati allo yoga, la stragrande maggioranza dei quali a carico dell’apparato muscolo-scheletrico. Più di metà dei casi sono andati incontro a completa guarigione, uno non si è risolto e addirittura è riportato anche un caso di decesso.

Gli studi più sistematizzati citati nella review riguardano popolazioni che praticano principalmente lo stile Vinyasa che, come sottolineano gli autori, è caratterizzato da un elevata accentuazione dell’aspetto atletico. Tra quelli più rilevanti vi è uno studio Australiano condotto su oltre 2500 praticanti di Yoga che ha indicato come l’80% non abbia mai riportato alcun danno dalla pratica e i restanti danni di lieve entità che si sono risolti in breve tempo senza necessità di alcuna cura 2Penman S, Cohen M, Stevens P, Jackson S (2012) Yoga in Australia: Results of a national survey. Int J Yoga 5: 92–101.

Un altro studio, condotto invece nel Nord America, giungeva a conclusioni simili, di cui di seguito un breve estratto a mio parere molto significativo:

A survey in more than 1300 mainly North American yoga teachers and therapists found that respondents considered injuries of the spine, shoulders, or joints the most common; many respondents regarded yoga as generally safe and associated adverse events with excessive effort, inadequate teacher training, and unknown medical preconditions. 3Penman S, Cohen M, Stevens P, Jackson S (2012) Yoga in Australia: Results of a national survey. Int J Yoga 5: 92–101

Una indagine in più di 1300 insegnanti di Yoga Nordamericani hanno considerato gli infortuni alla schiena, spalle e articolazioni in genere come le più comuni; molti intervistati hanno definito lo Yoga come una pratica generalmente sicura associando l’insorgenza di effetti collaterali a sforzi eccessivi, inadeguata preparazione dell’insegnante e scarsa considerazione di patologie mediche preesistenti.

Ora, per quanto sia poco simpatico scherzare su un argomento serio come un decesso, tuttavia mi sembra doveroso specificare (come fatto peraltro dagli autori stessi) che l’unica “casualità” yogica parrebbe essere riconducibile ad una non meglio specificata pratica descritta come “voluntary mouth-to-mouth Yoga breathing exercises” (letteralmente esercizi di respirazione Yoga volontaria bocca a bocca), peraltro non documentato come effettiva pratica yogica. Inoltre, un esame tossicologico post-mortem aveva rivelato un quantitativo notevole di barbiturici nel sangue, che sicuramente hanno concorso se non addirittura causato, il decesso dello sfortunato soggetto (caso peraltro occorso nella fine degli anni ’60, in piena epoca hippy).4Corrigan GE (1969) Fatal air embolism after Yoga breathing exercises. JAMA 210: 1923

Non così grave ma comunque significativo è un altro caso di neuropatia indotta da addormentamento indotto da oppiacei e antidepressivi in posizione a gambe incrociate5Walker M, Meekins G, Hu SC (2005) Yoga neuropathy. A snoozer. Neurologist 11: 176–178. Anche qui, come sottolineano gli autori, siccome lo yoga necessita di consapevolezza e concentrazione, è altamente sconsigliato di praticare sotto effetto di alcool o droghe ricreative.

Visto quindi che gli infortuni più gravi sono riconducibili ad altre cause più che allo Yoga in sé, risulta invece molto più interessante a mio parere la parte riguardante gli infortuni più “comuni” e anche “reversibili”. Ne emergono degli elementi che dovrebbero far riflettere sia i praticanti ma soprattutto gli istruttori di Yoga.

Infatti uno dei primi dati è come la maggior parte degli infortuni sia stata riportata a livello aneddottico negli insegnanti. Ciò pare un controsenso in quanto l’esperienza dovrebbe portarli ad evitare di infortunarsi o comunque a farlo meno rispetto ai loro allievi, anche se rispetto a quest’ultimi – almeno è auspicabile – praticano più a lungo.

Secondo, le posture più associate agli eventi avversi sono tutte posizioni considerate già “avanzate” e non praticabili da principianti o persone con problematiche mediche specifiche, come la posizione sulla testa, il loto e alcune posizioni capovolte.

So-called inversions like headstand and shoulder stand are often regarded as a special category of yoga postures that should be practiced only by experienced practitioners, with extreme care. 6Cramer H, Krucoff C, Dobos G (2013) Adverse Events Associated with Yoga: A Systematic Review of Published Case Reports and Case Series. PLoS ONE 8(10): e75515. doi:10.1371/journal.pone.0075515

Le cosiddette inversioni, come la posizione sulla testa sono spesso considerate come una categoria a parte di posizioni yoga che dovrebbero essere praticate solo da praticanti esperti e con estrema cura

Ad esempio, la posizione sulla testa può portare ad un aumento della pressione intraoculare, che comunque ritorna immediatamente a valori di normalità dopo l’uscita dalla posizione e non sono stati registrati casi di patologie croniche a carico dell’occhio date dalla pratica prolungata di tale posizione. Quindi non si vuole scoraggiare la pratica di tali posizioni, ma sensibilizzare sul fatto che bisogna approcciarvisi con una certa consapevolezza, dopo l’aver maturato una discreta esperienza di pratica e soprattutto sotto la guida esperta di un insegnante che sappia bene riconoscere quali sono i limiti dell’allievo.

Da ultimo, molti degli infortuni reversibili riportati in letteratura sono descritti in seguito alla pratica del Bikram Yoga. Per chi non lo conosce, si tratta di uno stile moderno molto fisico che si pratica in stanze riscaldate a 40° e col 40% di umidità. La pratica è molto intensa dal punto di vista fisico e stimola una certa competizione tra i praticanti. Questi elementi, uniti alla temperatura che permette una maggiore facilità di allungamento muscolare oltre alle normali possibilità, può ridurre la capacità di avvertire il proprio limite da parte dell’allievo, aumentando di conseguenza il rischio di infortuni muscolari e/o articolari. Inoltre, sempre legati a questa tecnica, sono stati registrati iponatremia da sudorazione eccessiva che, essendo una prerogativa di soltanto questo stile, non può essere generalizzato allo Yoga.

Concludendo, da questa review emerge che sul numero enorme di praticanti nel mondo l’incidenza di eventi avversi seri è talmente esigua da rendere lo Yoga una pratica sicura. Tuttavia, le certezze sono molto poche a questo mondo e quindi ogni pratica fisica e psicofisica non può dirsi sicura al 100%, anche se i punti emersi in tutto l’articolo dovrebbero far riflettere anche il lettore meno preparato (e forse anche il più prevenuto…) su come alla base degli infortuni vi siano una serie di fattori che esulano dallo Yoga in sé, ma riconducibili a mio parere a quel “buon senso” che dovrebbe essere applicato a prescindere per qualunque attività che si voglia intraprendere.

Infatti la pratica di tecniche avanzate senza adeguata preparazione, l’affidarsi ad istruttori non capaci, l’uso di farmaci o droghe sono, a mio parere, delle bombe a orologeria poste alle fondamenta di qualunque pratica fisica o psicocorporea e non soltanto allo Yoga.

Da ultimo, proprio alla luce di queste considerazioni, sarebbe auspicabile anche un maggiore interesse verso lo Yoga da parte del mondo medico italiano (prendendo esempio dai colleghi americani), visti i numerosi benefici dimostrati in svariate patologie. Magari non limitandosi solo ad una passiva accettazione di efficacia ma cercando di indagare il perché provochi una serie di effetti benefici a diversi livelli (fisico, emotivi e psicologico), da sempre considerati tra loro separati ma forse in realtà più legati di quello che sembra.

In conclusione, una domanda lecita da porsi è: “Sto facendo veramente Yoga?”. Ma la risposta a questa domanda implica considerazioni che esulano dallo scopo di questo articolo e che vorremmo approfondire separatamente. Ad esempio: qual è la vera natura delle posture fisiche nello Yoga? Qual è il loro scopo? Se non siamo in grado di percepire la differenza rispetto alle comuni attività fisiche ‘ludico motorie’, allora forse la risposta alla prima domanda è negativa. E, se siamo davvero interessati a qualcosa che ci faccia entrare in un rapporto differente con il nostro corpo – con notevole beneficio anche per la nostra eventuale attività sportiva e per il nostro benessere complessivo – forse è il caso di cercare oltre.

Note[+]

Note
↑1, ↑6 Cramer H, Krucoff C, Dobos G (2013) Adverse Events Associated with Yoga: A Systematic Review of Published Case Reports and Case Series. PLoS ONE 8(10): e75515. doi:10.1371/journal.pone.0075515
↑2, ↑3 Penman S, Cohen M, Stevens P, Jackson S (2012) Yoga in Australia: Results of a national survey. Int J Yoga 5: 92–101
↑4 Corrigan GE (1969) Fatal air embolism after Yoga breathing exercises. JAMA 210: 1923
↑5 Walker M, Meekins G, Hu SC (2005) Yoga neuropathy. A snoozer. Neurologist 11: 176–178
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Archiviato in: highlights, medicina, Yoga Contrassegnato con: infortuni, prevenzione, yoga

Mammografia, o il fallimento della prevenzione

26 Maggio 2014 Marco Invernizzi


Abolire la mammografia?

Nel 2013 lo Swiss Medical Board è stato incaricato da diversi organi sanitari e governativi svizzeri di redigere un rapporto sullo screening del cancro della mammella tramite esame mammografico.
I risultati ottenuti dal board sono decisamente sfavorevoli riguardo la reale efficacia preventiva di questa metodica, e hanno scatenato una polemica internazionale culminata in un articolo sul New England Journal of Medicine, che ha fatto e sta facendo molto discutere in tutto il mondo scientifico medico. Cogliamo questo spunto per proseguire la nostra riflessione sulla prevenzione.

In realtà, quanto emerso con il rapporto dello Swiss Medical Board non dovrebbe destare così tanta sorpresa. Infatti è solo l’ultimo atto in ordine cronologico di un dibattito riguardo alla reale efficacia preventiva della mammografia che si trascina ormai da più di 10 anni.

Gli autori di questo board multidisciplinare costituito da medici, farmacologi, avvocati, esperti di economia sanitaria e di etica erano consapevoli già prima di iniziare questo lavoro delle criticità che sarebbero emerse. Tuttavia, la situazione è apparsa loro sempre più complicata e controversa man mano che stilavano il rapporto, analizzando le evidenze della letteratura.

Tre punti hanno colpito profondamente il board svizzero e sono stati analizzati dal New England Journal of Medicine:

1Biller-Andorno N, Juni P. Abolishing Mammography Screening Programs? A View
from the Swiss Medical Board. N Engl J Med. 2014 Apr 16.
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp1401875

  1. Tutto l’attuale dibattito riguardo lo screening mammografico si basa su dati, spesso rianalizzati, di vecchissimi studi, alcuni datati anni ’50 e di cui il più recente è datato 1991.2Gøtzsche PC, Jørgensen KJ. Screening for breast cancer with mammography. Cochrane Database Syst Rev 2013;6:CD001877. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23737396G
  2. I danni dello screening mammografico superano i benefici. Infatti, se la maggior parte dei gruppi di esperti riconoscono alla mammografia, una riduzione della mortalità da cancro alla mammella di circa il 20%,3Independent UK Panel on Breast Cancer Screening. The benefits and harms of breast cancer screening: an independent review. Lancet 2012;380:1778-86. http://www.thelancet.com/pdfs/journals/lancet/PIIS0140673613606194.pdf tuttavia non tengono conto dei “falsi positivi” al test. Infatti nel cercare a tutti i costi una patologia, in questo caso il tumore della mammella, spesso si trovano delle lesioni che non sarebbero mai altrimenti state clinicamente evidenti e che invece andranno incontro a una procedura diagnostica inutile come nuove mammografie, biopsie ecc. potenzialmente dannose per il paziente.
  3. La sconcertante discrepanza tra i reali benefici della mammografia e la loro percezione da parte delle donne. Infatti un recente studio4Domenighetti G,D’Avanzo B,Egger M,et al. Women’s perception of the benefits of mammography screening: population- based survey in four countries. Int J Epidemiol 2003;32:816-21. http://ije.oxfordjournals.org/content/33/4/903.full mostra come il 70% delle donne intervistate sia convinta che la mammografia riduca il rischio di mortalità da cancro alla mammella del 50%, contro il 20% ufficialmente riconosicuto (dato che, come analizzato in precedenza, a sua volta non è poi così “reale”). Evidentemente esiste della disinformazione notevole riguardo questo argomento. Come può quindi una donna decidere se fare questo screening o meno se vi è una percezione così distorta a livello collettivo riguardo la sua reale efficacia?

I costi dei falsi positivi

Ricapitolando, in sostanza non vi sarebbero prove che la mortalità complessiva si riduca grazie allo screening mammografico.
D’altro canto, i recentissimi dati provenienti dall’America portano in evidenza le conseguenze del punto 2 rilevato dallo Swiss Medical board, ovvero il problema dei falsi positivi.

Il 20% dei tumori al seno diagnosticati in Canada negli ultimi 25 anni ha intrapreso un destino chirurgico, radioterapico o chemioterapico (o una combinazione dei 3) senza averne assolutamente bisogno. 5Miller AB, Wall C, Baines CJ, Sun P, To T, Narod SA. Twenty five year follow-up for breast cancer incidence and mortality of the Canadian National Breast Screening Study: randomised screening trial. BMJ 2014; 348:g366. http://www.bmj.com/content/348/bmj.g366

Altre analisi rilevano che, in seguito a un programma di screening annuale mammografico dopo i 50 anni di età, in 10 anni, per ogni morte da cancro alla mammella prevenuta:

  • da 490 a 670 donne hanno subito un falso positivo mammografico, con conseguente ripetizione dell’esame e doppia dose di raggi X;
  • da 70 a 100 una biopsia mammaria non necessaria;
  • e, dato sconcertante, da 3 a 14 una “overdiagnosi” di cancro alla mammella, con conseguente trattamento, che altrimenti non sarebbe mai diventato clinicamente manifesto. 6Welch HG, Passow HJ. Quantifying the benefits and harms of screening mammography.JAMAInternMed2014;174:448-54.

Anche l’autorevole Cochrane Collaboration, un’autorità mondiale in ambito epidemiologico, arriva alle stesse conclusioni , in un recente report.7Gøtzsche PC, Jørgensen KJ. Screening for breast cancer with mammography. Coch- rane Database Syst Rev 2013;6:CD001877. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23737396

La proposta in Svizzera

Alla luce di questi dati, lo Swiss Medical Board suggerisce che in Svizzera non vengano introdotti nuovi programmi di screening mammografico e che quelli in corso vadano ad esaurirsi nei prossimi anni. Inoltre sottolinea come vi debba essere una chiara e limpida campagna di informazione alle donne sui rischi e benefici di questa metodica, per evitare di falsare la percezione del reale beneficio della mammografia.

“At least three quarters of all Swiss women 50 years of age or older have had a mammogram at least once in their life. Health insurers are required to cover mammography as part of systematic screen- ing programs or within the framework of diagnostic workups of potential breast disease.
It is easy to promote mammography screening if the majority of women believe that it prevents or reduces the risk of getting breast cancer and saves many lives through early detection of aggressive tumors. We would be in favor of mammography screening if these beliefs were valid. Unfortunately, they are not, and we believe that women needtobetoldso.From an ethical perspective, a public health program that does not clearly produce more benefits than harms is hard to justify. Providing clear, unbiased information, promoting appropriate care, and preventing overdiagnosis and overtreatment would be a better choice.”

(Almeno 3/4 delle donne svizzere sopra i 50 anni hanno eseguito una mammografia almeno una volta nella vita. Le assicurazioni sanitarie devono coprire i costi della mammografia sia che sia parte di programmi di screening sistematici o entro protocolli diagnostici per appurare la presenza di potenziali patologie alla mammella.
È facile promuovere lo screening mammografico se la maggioranza delle donne crede che prevenga o riduca il rischio di contrarre il cancro alla mammella e di salvare molte vite attraverso una diagnosi precoce di tumori aggressivi.
Saremmo favorevoli allo screening mammografico se questi assunti fossero validi. Tuttavia, purtroppo, non lo sono e crediamo che sia giusto dirlo alle donne. Da un punto di vista etico, un programma di sanità pubblica che non produce chiaramente più benefici che danni è difficile da giustificare. Fornire informazioni chiare, promuovere i metodi di cura appropriati e prevenire la “overdiagnosi” e i trattamenti non necessari dovrebbe essere una scelta migliore.)

8Biller-Andorno N, Juni P. Abolishing Mammography Screening Programs? A View
from the Swiss Medical Board. N Engl J Med. 2014 Apr 16.
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp1401875

Overdiagnosi e Overtreatment: la malattia a tutti i costi

In conclusione, vorrei approcciare il problema da un punto di vista completamente diverso e cogliere uno spunto di riflessione.
Innanzitutto due concetti, quello di “overdiagnosis” e “overtreatment” meritano un piccolo approfondimento, in quanto, il pubblico non medico potrebbe non essere molto avvezzo a questa terminologia, anche per il fatto che non esiste una traduzione letterale di questi termini in Italiano.

Il termine “overdiagnosis” cioè “eccesso di diagnosi” o “sovradiagnosi” si verifica quando si classifica come malattia un qualcosa che in realtà non lo è; ciò porta a trattare questo qualcosa che non è una malattia come una malattia vera e propria, definendo così l’”overtreatment”, ovvero l’eccesso di trattamento.

A mio parere, la Medicina dovrebbe porre al centro della propria attenzione l’individuo, la sua malattia e il processo di guarigione, tuttavia, come si evince leggendo tra i dati snocciolati in questo articolo, per un certo tipo di Medicina l’individuo passa in secondo piano e tutto si focalizza sulla malattia.

L’individuo viene “identificato” come la sua malattia, catalogato e depersonalizzato. L’obbiettivo è trovare “qualcosa che non va”. Senza porsi troppe domande sul cosa sia “normale” e cosa no, ma anzi, quasi mossi da un certo autocompiacimento nel momento in cui “sicuramente” si troverà qualcosa. Perché spesso, anzi, quasi sempre, “qualcosa” che non va si trova, ma non è detto che sia necessariamente meritevole un intervento terapeutico.

Quindi da una parte si genera una forma pensiero di malattia a tutti costi, in cui qualunque riscontro o processo non aderente alla “normalità” è catalogato appunto come malattia. Nel “malato” questo instilla subdolamente una sostanziale accettazione di un destino ineluttabile in cui tutti prima o poi ci ammaleremo e quindi meglio scoprirlo prima che dopo giustificando così qualunque campagna di screening gli venga propugnata.

D’altro canto, porta l’”operatore” a perdere sostanzialmente la capacità di discernere tra cosa necessiti veramente di un trattamento e cosa no, senza considerare ogni individuo come un caso a sé stante. Infine, dato di non poco conto, tutta questa filiera porta un lievitare dei costi relativi a procedure diagnostiche e terapeutiche inutili su cui sarebbe opportuno riflettere.

E poi per concludere, su che basi si poggia il concetto di “normalità”? Il “non normale” lo è rispetto a cosa?

Già in altri articoli si è parlato del problema della prevenzione e qui, a mio parere, si ha un’altra volta un esempio lampante di come la confusione regni sovrana in questo ambito. Infatti spesso gli screening vengono, a mio parere, erroneamente catalogati come prevenzione secondaria, per distinguerli dalla prevenzione “primaria” che consiste appunto nelle misure atte a prevenire una data malattia. Tuttavia gli screening sono sostanzialmente un modo per trovare prima e più in fretta una determinata malattia, senza curarsi molto del perché ci si ammali e di come si possa invece “prevenire” realmente quella determinata patologia.

Ci si focalizza sul cercare a tutti i costi la malattia, senza curarsi del perché questa si manifesti, anche a costo di trovarla dove questa non c è (sovradiagnosi) e trattandola quando non ce ne è bisogno (overtreatment).

Ma se il benessere della persona sottoposta a screening non è più centrale e non le si apporta un beneficio, allora qual’è il reale ritorno? E soprattutto di chi è questo ritorno?

Note[+]

Note
↑1 Biller-Andorno N, Juni P. Abolishing Mammography Screening Programs? A View
from the Swiss Medical Board. N Engl J Med. 2014 Apr 16.
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp1401875
↑2 Gøtzsche PC, Jørgensen KJ. Screening for breast cancer with mammography. Cochrane Database Syst Rev 2013;6:CD001877. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23737396G
↑3 Independent UK Panel on Breast Cancer Screening. The benefits and harms of breast cancer screening: an independent review. Lancet 2012;380:1778-86. http://www.thelancet.com/pdfs/journals/lancet/PIIS0140673613606194.pdf
↑4 Domenighetti G,D’Avanzo B,Egger M,et al. Women’s perception of the benefits of mammography screening: population- based survey in four countries. Int J Epidemiol 2003;32:816-21. http://ije.oxfordjournals.org/content/33/4/903.full
↑5 Miller AB, Wall C, Baines CJ, Sun P, To T, Narod SA. Twenty five year follow-up for breast cancer incidence and mortality of the Canadian National Breast Screening Study: randomised screening trial. BMJ 2014; 348:g366. http://www.bmj.com/content/348/bmj.g366
↑6 Welch HG, Passow HJ. Quantifying the benefits and harms of screening mammography.JAMAInternMed2014;174:448-54.
↑7 Gøtzsche PC, Jørgensen KJ. Screening for breast cancer with mammography. Coch- rane Database Syst Rev 2013;6:CD001877. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23737396
↑8 Biller-Andorno N, Juni P. Abolishing Mammography Screening Programs? A View
from the Swiss Medical Board. N Engl J Med. 2014 Apr 16.
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp1401875
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