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Zénon | Yoga e Qi Gong

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suono

Musica parassita

27 Agosto 2015 Roberto Cerri


Ormai da una quindicina d’anni e in misura sempre crescente, siamo afflitti da un’incessante ondata di “musica parassita” che ci aggredisce in ogni luogo e in ogni circostanza: ristoranti, bar, sale d’aspetto, banche, negozi, studi medici, uffici pubblici, viali, spiagge e chiese allietano la nostra permanenza più o meno voluta nelle loro aree di competenza riversando nelle nostre orecchie un profluvio di note, ritmi e parole che dovrebbero avere il compito di farci passare gradevolmente il tempo in cui dobbiamo restare lì.

La cosa è diventata così ossessiva e pervasiva che sono rari i luoghi in cui tale musica parassita non è presente, così come sono rare le persone che chiedono ai gestori di abbassare o di togliere tale sottofondo. Il fenomeno presenta vari aspetti e certamente non pretendo di passarli in rassegna tutti, ma mi limiterò a sottolinearne alcuni.

Per iniziare dobbiamo considerare tre punti di partenza:

  1. l’orecchio non ha nulla di simile alle palpebre. Se non vogliamo vedere qualcosa, semplicemente chiudiamo le palpebre; altrettanto non possiamo fare con l’orecchio se non vogliamo sentire qualcosa.
  2. l’udito è embriologicamente più antico e si forma nel feto prima della vista; inoltre, il nervo ottico è solo nervo ottico mentre il nervo acustico ha due branche, cioè la cocleare che percepisce i suoni e la vestibolare che è responsabile dell’equilibrio e della percezione della spazialità; vi sono inoltre numerosi studi che correlano la perdita dell’udito con l’insorgenza di patologie psichiche o con il decadimento delle facoltà mentali.
  3. La “mente meccanica”. Cito le parole di sri Aurobindo da “Lettere sullo yoga”, vol. IV:

La mente meccanica è un’azione molto inferiore del fisico mentale che, se lasciata a se stessa, non farebbe che ripetere idee abituali e registrare le reazioni riflesse naturali della coscienza fisica ai contatti della vita e delle cose esteriori.

(…) quello che avete descritto lì è il fisico mentale meccanico o mente corporea che, quando è lasciata a se stessa, continua semplicemente a ripetere i pensieri e i movimenti passati abituali, o vi aggiunge al massimo altre reazioni meccaniche alle cose della vita di tutti i giorni.

La mente meccanica è una specie di motore; qualunque cosa le arrivi, la introduce nel meccanismo e la fa girare senza sosta, non importa che cosa sia.

L’uomo contemporaneo ha sempre più paura del Silenzio.

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Trovarsi da solo con se stesso lo impaurisce, perché spesso si trova a fronteggiare uno sconosciuto, e per di più uno sconosciuto con cui deve per forza convivere, per cui cerca ogni mezzo per fuggire tale evenienza. Se è in casa accende la radio, la televisione o il computer, ascolta musica e trasmissioni in cui tutti parlano senza neppure sapere quello che stanno dicendo. Nel frattempo lavora, studia, sonnecchia, legge, parla con la moglie, telefona, mangia, insomma vive. Fin qui tutto rientra nella sfera privata e non c’è nulla da dire, finché il volume è basso.

Il fenomeno della musica parassita diventa più grave quando sconfina nella sfera pubblica, perché riguarda ciascuno di noi. Teniamo presente che noi ci nutriamo di colori, suoni e idee esattamente come ci nutriamo di cibo materiale. Certamente ci ribelleremmo se, mentre camminiamo per strada, qualcuno cercasse con la forza di farci inghiottire cibi di seconda scelta o vini fatti con le polverine, ma in fondo faremmo lo stesso se si trattasse di cibi di prima qualità. Non ci accorgiamo però che l’effetto della musica parassita è altrettanto deleterio e, in più, la musica che ci viene propinata e quasi sempre di bassa qualità.

La mente meccanica di cui al punto 3 è in grado di afferrare e ripetere continuamente un concetto, una parola, un suono, perfino un’emozione. Nell’economia della vita materiale ha una sua utilità basilare, perché la vita materiale, alla sua base, ha un aspetto meccanico e ripetitivo: mangiamo a ore fisse, andiamo a dormire a una certa ora, durante il giorno compiamo gesti che si ripetono a orari fissi, ed è la mente meccanica a presiedere a tale necessità basilare.

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Non ci accorgiamo facilmente della presenza di questa parte della mente, a meno che, e ciò avviene inevitabilmente nell’evoluzione della Coscienza, a un certo punto non cominciamo a sentire che tale serie di abitudini fisiche, mentali ed emotive sono una gabbia che tende a perpetuare quel meccanismo che chiamiamo “io”. Solo allora ci si accorge di come tale mente meccanica, lasciata a se stessa, ci mantenga nel solco prefissato, che è poi quello degli avi e delle generazioni precedenti. Entro i limiti della semplice base fisica tale aspetto della mente ha un’utilità, ma essa tende a pervadere altri aspetti della vita che dovrebbero essere meno meccanici e più aperti ad influssi superiori.

Ora, tenendo presente anche i punti 1 e 2, proviamo a prendere in esame quale tipo di musica ci viene propinata nel 95% dei casi:

  • Il ritmo è ripetitivo e ossessivo, con poche variabili, quasi sempre anch’esse ripetitive ad intervalli stabiliti. Non solo, ma i tempi forti vengono marcati con violenza e tutto ciò dà una sensazione di affanno e di ansia, anche perché quasi sempre il ritmo è più veloce del ritmo medio cardiaco e ciò non può certo avere un effetto rilassante.
  • L’armonia è ripetitiva e si basa sugli accordi elementari costruiti sul I-IV-V grado della scala, con pochissime variazioni. Ciò infonde, da un lato, un senso di sicurezza perché si tratta dei primi armonici, che tutti sentono come confortevoli e consonanti, e poi perché si sa sempre cosa avverrà tra un attimo, essendo gli accordi sempre gli stessi. Questo però ingenera anche, più subdolamente, un’incapacità di uscire da questo schema di accordi, un blocco che in parte è ipnotico e in parte incatenante.
  • La melodia è elementare, di poche note ripetitive, limitatissima in estensione. Nessuno sviluppo fantasioso viene proposto, tutto è semplicemente ripetuto tale e quale e anche le poche varianti sono poco più che ripetizioni camuffate.

Sulle parole preferisco stendere un velo, attenendomi solo all’aspetto musicale.

Ciò che balza agli occhi come elemento comune è la ripetizione.

Cerchiamo però di capire bene la differenza tra RIPETIZIONE MECCANICA e RITMO.

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Tutto nell’universo è governato dal ritmo. Invano cercheremmo, fra tutte le manifestazioni fisiche e sottili, una di esse che non abbia il ritmo come base fondante. Dal manifestarsi e il riassorbirsi delle galassie alla velocità di rotazione degli elettroni tutto è governato dal ritmo. Il ritmo presiede alle stagioni, alla circolazione sanguigna, alle maree, a tutto. In ogni aspetto del creato ci sono tempi forti, di azione e manifestazione, e tempi deboli, di riposo e riassorbimento. La forza centrifuga e quella centripeta sono costantemente in equilibrio in un alternarsi delle loro manifestazioni che si chiama ritmo. Tale ritmo però non è meccanico, essendo mutevole e fluido nella sua infinita variabilità.

Tutta la musica, da sempre, è impregnata di ritmo e anche nelle strutture musicali esiste la ripetizione, che però è concepita come un ritorno al tema originale dopo il lungo viaggio nella variazione e nella fantasia. La forma tema originario-variazione-tema originario (spesso non identico) è una delle norme che regolano le varie forme musicali, perché esse rispettano la legge della Vita, in cui tutto ritorna alla Sorgente dopo il viaggio della manifestazione.

Nella musica parassita non esiste variazione, se non un’elementare ripetizione del tema appena camuffata. Non c’è un vero ritmo, ma una ripetizione ossessiva del battito, della melodia e dell’armonia.

Insomma, tutto ciò è costruito appositamente per dare cibo avariato alla mente meccanica, che immediatamente afferra un inciso ritmico, melodico, armonico e lo ripete ossessivamente, così come ossessivamente ripete concetti, paure, fissazioni. Ad essa non importa cosa mastica, purché mastichi. Così senza accorgercene, subdolamente, ci troviamo la mente piena di cose ripetitive e meccaniche, perché non dobbiamo dimenticare che suono-vibrazione-emozione sono inseparabili.

Evidentemente tali strutture musicali elementari, grossolane e ripetitive non possono che generare stati emotivi elementari, grossolani e ripetitivi. Alcuni stati emotivi in cui sembriamo intrappolati sono alimentati anche da tale ripetizione meccanica di musica parassita che è connessa ad emozioni le quali, di conseguenza, anch’esse si ripetono. A loro volta le emozioni più grossolane, cercando di perpetuarsi, ci spingono a cercare proprio quelle musiche più grossolane che le alimentano. E così il cerchio è completo.

Potremmo chiederci, visto che ogni tradizione antica attribuiva al suono un aspetto creatore, che cosa stiamo creando nell’ambiente interno, personale, intimo e in quello esterno, pubblico, con questa musica parassita.

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Nell’evoluzione individuale e collettiva, la mente meccanica, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione animale, deve probabilmente trasformarsi in “mente ritmica”, in grado di cogliere e riproporre il Grande Ritmo universale ed è per questo che i Mantra venivano usati. Oltre agli altri effetti globali, il Mantra agiva anche su tale mente meccanica che, impregnata da tale ripetizione, veniva così impregnata da una vibrazione più alta e tenuta lontana da quelle più basse.

Nel chiudere questo breve articolo, che non esaurisce affatto l’argomento, vorrei ricordare quanto sia importante che impariamo a nutrirci di suoni in maniera intelligente e sensibile, cercando quelle vibrazioni che più possono portarci al Centro del nostro essere e non quelle che “ci piacciono”, perché questo è spesso un tentativo mascherato da parte dei condizionamenti passati di mantenerci sempre allo stesso livello.

Comprendere questa differenza è uno dei passi fondamentali che possiamo fare per la nostra evoluzione e per quella dell’umanità.

Il prossimo appuntamento con il Canto Armonico a Zénon.

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Archiviato in: Canto Armonico, highlights Contrassegnato con: musica, suono

Akròasis, il canto armonico

20 Maggio 2015 Roberto Cerri


Una corda vibra nell’Infinito.

L’Infinito stesso si manifesta come corda vibrante nel Suo desiderio di manifestazione.

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L’atto del pizzicare la corda è l’atto iniziale della Creazione, e subito la corda inizia a muoversi sinuosamente, secondo movimenti, curve e nodi che tessono la trama di una struttura preesistente nell’Idea, ma che si manifesta in una sconfinata varietà di toni, di vibrazioni e di intervalli tra di essi. La loro perenne interazione dilaga creando interminabili combinazioni che si traducono in forme perennemente evolventesi da se stesse.

Ma il tono è anche numero, frequenza, ritmo, e la struttura si manifesta come concatenazione, interazione e rapporto tra numeri viventi che fluiscono in un’ Armonia che svela a poco a poco la sua preesistente perfezione. Tale perfezione non è statica, ma dinamica. Il tono o numero fondamentale 1 dà una stabilità basilare che permette ai toni o numeri che sorgono da esso di manifestarsi nelle più varie combinazioni senza perdere il punto di riferimento, l’Origine su cui poggia la Manifestazione.

Il fenomeno della serie dei suoni armonici che si generano da una corda in vibrazione (ma anche da una colonna d’aria, da una membrana e, sostanzialmente, da ogni mezzo in grado di produrre suono) è la manifestazione materiale di tale struttura preesistente e si esprime attraverso il suono, il numero e la misura nei vari regni della Natura. In modo intuitivo noi parliamo di Armonia quando percepiamo dei rapporti che rientrano tra quelli Armonici, anche se tale affermazione andrebbe ampliata ad altre considerazioni che qui non possono essere sviluppate.

La complessità, la bellezza e la profonda intensità di tale struttura può essere solo sfiorata in uno scritto come questo; basti dire che:

  1. in una nota fondamentale tutte le altre sono racchiuse,
  2. all’interno di tale serie non esistono, tra due armonici vicini, due intervalli simili e
  3. tale serie è potenzialmente infinita.
Ouroboros 2.86 kHz, Gary James Joynes
Ouroboros 2.86 kHz, Gary James Joynes

Il senso dell’Udito è quindi molto di più di un senso materiale utile per difendersi dai pericoli che si possono riconoscere da suoni o rumori: si tratta di un senso che percepisce rapporti tra toni, numeri e che li veicola in sensazioni animiche. Considerare ovvia tale affermazione è il modo migliore per non capire l’eccezionale portata di una funzione che, se osservata con attenzione, appare nella sua sbalorditiva unicità. Frequenza vibratoria, numero, tono musicale e percezione animica coincidono in una facoltà interiore che si chiama Ascolto e che ha in sé una finezza nel riconoscere i rapporti che nessun altro senso possiede.

Nell’ascolto, per esempio, di una 5a DO-SOL, uno degli intervalli fondamentali in tutte le tradizioni musicali, l’orecchio non si accontenta di un’approssimazione, ma pretende il rapporto perfetto tra le due frequenze. Trattandosi del 2° (DO) e del 3° (SOL) armonico della fondamentale 1 (DO) esse hanno una frequenza tripla (SOL) e doppia (DO) della fondamentale, perciò il rapporto di 5a DO-SOL è 3/2.

Se una delle due note è solo di poco calante o crescente, vale a dire se il rapporto 3/2 non è preciso, l’orecchio avverte e comunica all’anima una sensazione di disagio che si traduce come dissonanza. Questa capacità dell’udito è tutt’altro che ovvia ed apre a considerazioni vastissime. Mi limito a far notare che se si entra in una stanza di 3×2 m. e una delle dimensioni è di poco sbagliata, per esempio 2,90×2, l’occhio non può accorgersene se non misurando la stanza con un metro.

Ascolto e Voce sono gli strumenti che l’uomo ha a disposizione, in un corpo vibrante, per manifestare il Suono della Creazione. La complessità e la finezza degli organi di percezione sonora e di fonazione (che non a caso sono strettamente interconnessi anche fisiologicamente) mettono in condizione l’uomo di con-vibrare e di manifestare il Suono creatore.

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Solo un ascolto superficiale e unidimensionale ci può far credere che il suono della nostra voce sia piatto, banale, insignificante. In realtà la nostra voce (non quella di un altro, proprio la nostra) è lo strumento che abbiamo a disposizione per manifestarci come esseri sonori e armonici, anche se si dovrebbe parlare di uno strumento più ampio, che si può indicare come Ascolto-Voce che in effetti risultano essere indivisibili.

I Greci usavano i termini “aesthesis” (visione) e “akròasis” (audizione) come opposti e complementari. Oggi il primo ha preso il sopravvento sul secondo ed è, credo, necessario che il cercatore della Conoscenza sviluppi l’akròasis, intesa come “ascolto del mondo”. Allora l’inscindibilità dei due termini Ascolto-Voce può essere compresa, così come la stretta interdipendenza fisiologica dei loro organi fisici.

Con il termine Canto Armonico si intende generalmente un insieme di pratiche vocali atte a “produrre” i suoni armonici con la voce.

Tale visione è estremamente parziale e superficiale. Anzitutto perché, come abbiamo visto, gli armonici non possono essere “prodotti”, in quanto elementi di una struttura preesistente; a rigore di termini e più corretto dire che noi siamo i prodotti degli armonici! Poi perché la abituale attitudine egoica di porsi al centro dell’universo con tutto il resto come contorno fa sì che si vedano i suoni armonici come opportunità di “esibizione”, di “bravura” e di “vantaggi” che si possono ottenere praticandoli. Un simile approccio non può che appartenere a una spiritualità spuria e superficiale di cui, ahimè, abbiamo abbondanti esempi dovunque.

David Hykes e Roberto Cerri
David Hykes e Roberto Cerri

L’akròasis, o “Presenza Armonica”, ci fa sentire quanto i suoni armonici di quella che chiamiamo “la mia voce”, siano già presenti in essa, così come in tutti gli altri suoni, e quindi la voce si mette al servizio di tale struttura profonda. Allora, nel canto individuale e corale, improvvisando in un ascolto senza barriere, vengono alla luce mandala sonori di insospettata bellezza, intensi e prolungati, di cui i partecipanti non sospettavano la presenza prima di lasciarli emergere.

L’ascolto si apre, la voce si arricchisce di vibrazioni, la coscienza canta ciò che la costituisce: vibrazione pura, suono, numero. E l’anima sente l’intensità di tali forze in azione vivendo un senso di spaziosità, di armonia non cercata, ma trovata dove meno se l’aspettava: in se stessa. Si scopre poi che le dissonanze, lungi dall’essere il contrario dell’Armonia, ne fanno parte, come intervalli disagevoli e faticosi, ma che, ascoltati con fiducia e attenzione, si rivelano come passaggi verso altre armonie non ancora percepite.

Tale scritto non può che essere un primissimo scorcio su qualcosa di estremamente vasto e profondo, qualcosa che però, nel nostro essere, tutti noi siamo. Lasciamo che tutto ciò risuoni della nostra anima.

Un’esecuzione di Canto Armonico di Roberto Cerri

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Archiviato in: Canto Armonico Contrassegnato con: canto armonico, David Hykes, suono

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