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Solo con la propriocezione il corpo è reale

18 Dicembre 2025 by Zénon Lascia un commento

Se pensiamo che la propriocezione riguardi solo l’equilibrio e la coordinazione, stiamo sottovalutando il nostro ‘sesto senso’: ce lo spiega Oliver Sacks nel suo libro più famoso e J. Nigro Sansonese in un testo pressoché sconosciuto.

Ne L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Oliver Sacks descrive il caso di una paziente che perde del tutto il senso della propriocezione a causa di una rarissima patologia. Il titolo del capitolo – La disincarnata – è piuttosto eloquente sulle terribili conseguenze di questa perdita.

È la stessa protagonista, Christina, a definirsi disincarnata: i medici le dicono che ha perso la propriocezione, ovvero uno dei tre elementi, insieme alla vista e all’apparato vestibolare, che formano il senso del corpo.

Le conseguenze, soprattutto all’inizio, sono estremamente drammatiche.

Non era in grado di stare in posizione eretta – scrive Sacks – se non guardandosi i piedi. Non riusciva a tenere niente in mano, e le mani, se non le osservava, «annaspavano qua e là». Se cercava di afferrare qualcosa o di portarsi il cibo alla bocca, esse mancavano l’oggetto o l’oltrepassavano con uno scatto.

Col tempo, tuttavia, e grazie a una straordinaria determinazione, Christina riesce a recuperare in gran parte le funzioni perse, compensandole soprattutto con la vista per regolare la postura e i movimenti; e, per quanto riguarda la capacità di modulare la voce (anch’essa dipendente dalla propriocezione), ricorrendo all’udito.

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Anche se con artifici che richiedono costante vigilanza, Christina può tornare a condurre una vita “possibile, ma non normale”. Può tornare dalla sua famiglia. Può persino tornare a svolgere il suo lavoro di programmatrice.

Tuttavia, la sua è “la storia di una vittoria e insieme di una sconfitta. La vittoria è che essa riesce ad agire, la sconfitta è che non può essere”.

A fronte degli straordinari risultati funzionali, Christina infatti non riuscirà mai più a riconoscere il corpo come ‘suo’, come se il suo corpo fosse “cieco e sordo a se stesso”.

“Insieme al senso della propriocezione, – osserva Sacks – [Christina] ha perso l’àncora fondamentale, organica dell’identità – almeno di quella identità corporea, o «io corporeo», che Freud considera la base dell’io.”

Uno dei rari e parziali sollievi lo ha quando la sua pelle viene stimolata: per questo ama le macchine scoperte.

Questo caso, per fortuna molto raro, ci aiuta a comprendere il ruolo fondamentale e meno evidente – forse perché fin troppo sotto i nostri occhi – della propriocezione: quello di rendere reale la nostra esperienza corporea, e quindi la nostra esperienza del mondo.

A questo punto, visto che ci occupiamo di yoga, è d’obbligo una domanda: perché lo yoga stimola ed espande così tanto la propriocezione, visto che tutte le filosofie indiane – tantrismo compreso – affermano che l’identificazione con il corpo fisico è una delle principali cause della sofferenza umana?

Nel corso di Yogasana 12, analizzeremo questo apparente paradosso da diverse angolazioni e con il contributo di diversi docenti, tra cui Mauro Bergonzi.

Per il momento, però, vorremmo far riferimento a un altro testo che ci offrirà diversi spunti di riflessione, e che tra l’altro ha ispirato il titolo di questa edizione.

The Body of Myth: Mythology, Shamanic Trance, and the Sacred Geography of the Body (1994) di J. Nigro Sansonese analizza sotto il profilo neurologico il ruolo del corpo nella mitologia, soprattutto greco-romana, e nelle prassi yogiche, teorizzando che la prima sarebbe una spiegazione esoterica degli stati indotti dalle seconde.

In entrambi i casi, il corpo è il luogo in cui – e attraverso cui – avviene la trance nel suo significato letterale (transire, andare oltre). Più che un ‘abbandono’ del corpo in favore di un ‘altrove’ ultraterreno, gli stati più elevati dello yoga sono la naturale conseguenza di un elevato stato di propriocezione:

Nello yoga, la trance estatica è stata distillata in enstasi (trance suprema) una trance che non ha bisogno di nessun oggetto-feticcio in cui risiede un potere desiderato – una trance da cui un intero gergo sciamanico, come “lasciare il corpo” o “volo magico”, è stato espulso. La transizione è una conseguenza della consapevolezza, maturata nel tempo, ovvia e insieme misteriosa, che tutte le esperienze avvengono esclusivamente all’interno del corpo.
Quando lo sciamano tiene il suo feticcio, che sia una lancia, una brocca d’acqua, o un ramo d’albero sente prima di tutto il suo sistema nervoso. Il potere o l’energia del feticcio è prima di tutto compreso all’interno della sua neurologia. 

In altre parole, il ruolo centrale della propriocezione nello yoga (sia nella sua forma più ‘alta’ come dottrina soteriologica e contemplativa, sia nella sua forma di pratica psicofisica) è riassumibile nella formula del Kiraṇatantra: “Senza corpo non c’è liberazione”.

Aggiungeremmo: non si può abbandonare o andare oltre qualcosa se non lo si abita fino in fondo e nel pieno delle possibilità che ci sono date, che si parli di ego o di corporeità.

Ed è proprio da qui, dalla convergenza tra farsi corpo–incarnazione (embodyment) e il transire attraverso il corpo, in un oltre che non è altrove, che cominceremo il percorso di Yogasana 12, permettendoci di citare un’ultima volta Sansonese: “Il tuo corpo è il tuo dove e quando”.

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Info Zénon

Zénon è Marco Invernizzi e Francesco Vignotto. Marco Invernizzi è medico, ricercatore in riabilitazione, ma anche insegnante di agopuntura ed istruttore di Pratiche di Lunga Vita (Qi Gong medico, Daoyin).
Francesco Vignotto è un insegnante di Yoga ed è il responsabile di tutte le attività relative a questa disciplina a Zénon, di cui è fondatore assieme a Marco Invernizzi.

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