Milarepa fu mago, poeta ed eremita. Lo fu successivamente ed in modo così completo che i Tibetani fanno fatica a non separare questi tre personaggi e, a seconda del loro punto di vista di maghi, di laici o di religiosi, Milarepa è il loro più grande mago, poeta o santo. Questo essere singolare visse nell’undicesimo secolo della nostra era e la sua memoria è ancora viva nel Tibet come fosse di una personalità da poco scomparsa.
Jacques Bacot – Vita di Milarepa
Introduzione
Il Tibet da sempre mi ha affascinato. Sarà per la sua inaccessibilità, sarà per le montagne, il “tetto” del mondo, o sarà per l’alone di misticismo che lo avvolge. Forse, più probabilmente, ciò che mi ha sempre attratto è l’unicità della sua tradizione e di ciò che si è venuto a creare in questo luogo: un crogiolo di culture, tradizioni, religioni e misticismo che ha dato vita ad un qualcosa che viene etichettato sotto il nome di Buddhismo Tibetano ma che in realtà comprende appunto aspetti e tradizioni molto diverse, riorganizzate, metabolizzate ed integrate in un corpus originale che difficilmente trova pari al mondo, e di cui appunto non è facile cogliere le radici profonde in cui affonda.
Un qualcosa di unico che poteva probabilmente svilupparsi solo e soltanto in un luogo così estremo; una terra, come ho già evidenziato in questo altro articolo, dove i contrasti più aspri e gli assoluti sono di casa e dove la spiritualità e la ricerca interiore sono stati per tempo immemore la massima aspirazione a cui dedicare la propria esistenza. Tuttavia, più volte mi è sembrato di percepire che in Occidente ne sia stata tramandata e idealizzata una versione edulcorata, mentre questa tradizione al contrario poggia anche su aspetti tutt’altro che docili e amorevoli. E la storia di Milarepa ne è un esempio a mio parere lampante.
Marpa e Milarepa
Come emerge dal breve estratto nell’incipit di questo articolo, Milarepa è il personaggio più singolare e poliedrico della tradizione tibetana. La “Vita di Milarepa” è un resoconto dettagliato non solo del cammino di redenzione di Milarepa, ma anche del percorso interiore e del rapporto intenso col suo maestro Marpa, che lo hanno condotto alla Bodhi, cioè alla realizzazione spirituale, in una sola vita.
Al di là degli aspetti più pittoreschi e a tratti divertenti riguardo la cultura Tibetana che traspaiono in ogni pagina, a “Vita di Milarepa” va riconosciuta una grande qualità. Infatti riesce a mio parere a trasmettere un qualcosa di unico e complesso e cioè quella tensione, costante e a tratti estrema, che produce la volontà focalizzata, indispensabile anche solo per avvicinarsi ad un qualunque serio percorso di Ricerca.
A maggior ragione, questa qualità doveva essere espressa ancora maggiormente in un personaggio come Milarepa che, dovendo liberarsi dal fardello karmico enorme legato alle azioni deplorevoli e criminali commesse in giovane età, si ritrovava a percorrere un cammino ancora più arduo e in salita di quanto già non sia in condizioni normali. E sarebbe stato impossibile appunto percorrerlo senza avere dalla propria una volontà assoluta, disposto a sacrificare qualunque cosa, inclusa la propria vita, per il raggiungimento del proprio fine, cioè la Bodhi.
In questo risulta molto istruttivo e illuminante, come abbiamo detto, il rapporto tra Milarepa e il suo Maestro Marpa, capostipite del lingnaggio Kagyupa – ancora oggi esistente – e detentore della dottrina dei Quattro Supremi Tantra che a sua volta aveva ottenuto dal suo maestro Naropa (Naro) durante i suoi viaggi in India.
“Per purificarti dalle tenebre del peccato, ti ho caricato del lavoro via via più terribile delle torri. Tuttavia ogni volta che ti scacciavo crudelmente dal numero degli ascoltatori e che ti colmavo di dolore, tu non avevi pensieri cattivi contro di me.”
Così dice Marpa infine, prima di concedere a Milarepa i tanto agognati insegnamenti, dopo averlo sottoposto a qualunque tipo di prova e di angheria (tra cui la costruzione di una torre più volte fatta edificare e quindi demolire), portandolo all’estremo esaurimento fisico e mentale, fino a fargli sfiorare la disperazione più buia e addirittura l’idea del suicidio.
Durante tutto questo calvario, l’unico aiuto che Milarepa riceve viene dalla moglie del suo Maestro Marpa che, oltre a sostentarlo fisicamente, lo rincuora e lo sostiene, dopo ogni episodio in cui Marpa ha deciso di mettere alla prova la sua reale dedizione e motivazione. E difficilmente Milarepa avrebbe resistito senza questo prezioso sostegno, a tratti materno, a tratti a sua volta iniziatico, in quanto anche la “padrona” (così è chiamata spesso nel libro oltre che “madre”) elargisce insegnamenti preziosi a Milarepa, a volte iniziandolo lei stessa a pratiche legate in particolar modo alle divinità tibetane tantriche femminili. E in questo tradisce il suo ruolo non solo di consorte fisica di Marpa ma anche di consorte tantrica, esprimente una qualità complementare a quella veicolata dal marito.
Le prove terribili a cui Marpa sottopone Milarepa hanno quindi un duplice senso: da una parte esaurire tutte le conseguenze dalle terribili azioni commesse in gioventù e dall’altra testarne e accrescerne in potenza quella volontà e risoluzione indispensabili a procedere sul sentiero verso la realizzazione. E Milarepa stesso esprime perfettamente in questo dialogo con sua sorella quanto appunto debba essere “terribile” e “assoluta” tale risoluzione :
Il lama Marpa della Roccia del Sud mi ha dato questo precetto:
“Tu rinuncerai al rumore e all’agitazione che governano il mondo. Povero, rinuncerai al cibo, alle vesti e alla parola. Ti ritirerai in qualche luogo solitario e prima di ogni altra cosa porterai a compimento la terribile risoluzione di meditare per tutta la vita.”
È quest’ordine che io adempio… e volendo io ottenere la Bodhi in questa vita, con ardore io mi sono consacrato alla meditazione.
lo strumento più importante, oltre agli insegnamenti orali segreti che Marpa dona a Milarepa è la tecnica del fuoco interiore (Tummo) che gli permette, oltre a penetrare stati meditativi profondissimi, di vivere nelle grotte himalayane coperto solo da qualche povera e stracciata veste di cotone.
Marpa pensò: “Bisogna che dia ad ognuno dei miei discepoli la sua legge particolare e il suo dovere da compiere”. A me diede la legge eminente del calore mistico (Tummo), simile ad un fuoco di legna ben ordinata”
Ydam, Grandine e ortiche
Un commento completo sulla “Vita di Milarepa” richiederebbe non un articolo ma un trattato di una tale lunghezza e complessità che è ben al di là della mia portata e sulla cui reale utilità ci sarebbe da discutere.
Preferisco invece considerare questo libro come uno di quei testi da “rileggere” ogni tanto, proprio perché, come altri, racchiude in se diversi livelli di significato che possono essere penetrati soltanto a seconda di quanto noi stessi mutiamo nel tempo e la “rilettura” appunto ci permette di cogliere aspetti e insegnamenti che in un altro momento della nostra vita non ci erano completamente accessibili. O semplicemente non volevamo o potevamo coglierli.
Tutta la vita di Milarepa è caratterizzata da eccessi, un tema tra l’altro molto caro al tantrismo. Milarepa nella sua vita passa da un eccesso all’altro: prima una vita votata alla magia nera, alla vendetta e ai crimini, successivamente un cammino di ‘recupero’ durissimo ed estenuante, seguito da un periodo di ascetismo e rinuncia totale a qualunque cosa, persino il proprio corpo.
E in questo ultimo periodo si colloca l’evento che è riportato anche nel titolo di questo articolo, in cui Milarepa, dopo lungo tempo passato a meditare in una grotta nutrendosi soltanto di ortiche, esasperatamente magro, assume il colore verde nella pelle e nei peli del corpo. La sua figura risultava talmente orribile e agghiacciante che alcuni viandanti lo scambiarono per uno spettro. Da qui l’abitudine a rappresentare Milarepa nudo, a volte di colore verde, coperto soltanto di una piccola misera veste di cotone.
E gli eccessi caratterizzano anche i luoghi e la cultura del Tibet in cui si svolge la narrazione. Ci troviamo in un mondo, decida il lettore se crederci o meno, in cui esistono delle forze terribili, in parte evocabili dall’uomo, che possono influire sugli eventi sia in maniera positiva che estremamente negativa. Gli Ydam, o protettori del Dharma, possono essere ad un tempo feroci custodi delle dottrine dalle insidie che le possono minacciare, oppure tremendi dispensatori di catastrofi. E la variabile che decide la loro polarità è sempre l’uomo, a testimonianza, come già descritto qui, che non può esistere un qualcosa che è sempre benefico a prescindere, a meno che il suo reale beneficio sia illusorio.
Gli Ydam appunto ricorrono in tutto il racconto, sia quando Milarepa ottiene dal suo mentore di magia nera le formule per lanciare la grandine sui raccolti a piacimento e portare distruzione nel suo villaggio natale, sia quando Marpa officia rituali e dispensa ai discepoli le iniziazioni tantriche agli Ydam che sono appunto i custodi di particolari dottrine e rivelazioni divine.
Non lasciamoci ingannare da quella che solo in superficie è la storia di una “redenzione”, ma è in realtà la presa di coscienza estrema dell’impermanenza del mondo dei sensi, presa di coscienza che al tempo stesso richiede che tale mondo sia attraversato in ogni suo aspetto, oltre il bene e il male. Proprio per questo, nella dimensione tibetana il bianco e il nero sono molto più sfumati di quello che sembra e coesistono in un rapporto di tolleranza, e può sembrare assurdo che siano considerati lama sia i praticanti di magia nera che esseri illuminati e ‘positivi’ come Marpa.
Ma è proprio in questo che si nasconde uno dei messaggi più importanti di questa cultura e di questo libro: la luce e la sua assenza sono semplicemente due aspetti complementari di un qualcosa che è Unico ma necessità della dualità per manifestarsi ed essere percepito. E non a caso una delle vette più alte se non la più alta del buddhismo tantrico tibetano è il raggiungimento della non-dualità. E il passare di Milarepa da un eccesso all’altro è probabilmente il suo modo di realizzare il proprio cammino verso la Bodhi, attraversando la dualità e superandola, in maniera ovviamente assoluta e terribile.
Conclusione
Assoluti, contrasti feroci ed esperienze al confine dell’incredibile e soprattutto improponibili per la nostra cultura e visione del mondo: tutto ciò può sembrare assurdo e a tratti ridicolo, tuttavia è proprio Milarepa, col suo percorso poco “umano”, a mostrarci come la Via sia potenzialmente percorribile da ogni essere umano e la sua storia di miseria, disperazione, crimini terribili a cui seguono, forse proprio grazie ad essi, le più alte vette spirituali, simboleggia anche come, se si è sul sentiero giusto, a prescindere da dove si parta, si abbia sempre la possibilità di raggiungere la realizzazione, anche in una vita.
Non per sé ma per il bene di tutti gli esseri.
Mi sono inflitto la privazione di cibo, di vesti e di parola. Ho fortificato la mia anima. E senza preoccuparmi delle prove imposte al mio corpo andai a meditare nelle montagne deserte. Allora si manifestò la virtù dello stato di spiritualità. Anche voi seguite il mio esempio con tutto il vostro cuore.
Jetsun Milarepa
L’immagine di copertina di questo articolo è di Socrates Geens.
Giancarlo Lenzini dice
UN BELLISSIMO BRANO. SUL GRANDE MILA
Marzis dice
Grazie